Scaroni ospite di Perrino a Trento: “Diventare leader, ecco come si fa”
Il manager: “Per sapere che cosa succederà in Italia tra qualche anno basta guardare gli Usa, l’università del mondo”
Scaroni: “Un buon curriculum è la chiave per la libertà”
Esiste un modo per costruire una carriera? Ci sono passaggi obbligati, esperienze inevitabili, soluzioni imprescindibili? Per Paolo Scaroni, manager di lungo corso e già amministratore delegato di Eni ed Enel, sicuramente sì. E la sua ricetta, composita, l’ha raccontata ad Angelo Maria Perrino, direttore di Affaritaliani.it, durante un appuntamento del Festival dell’Economia di Trento. L’incontro ha permesso di “fare il tagliando” al libro che Scaroni e Perrino diedero alle stampe nel 1986, “Professione Manager”. Un vero e proprio vademecum che raccoglie spunti e modalità per diventare un numero uno.
“Un buon curriculum – ha spiegato Scaroni – è il modo per potersi costruire la propria libertà. Vuol dire poter trovare un’alternativa se il vecchio lavoro non piace più o si è entrato in rotta di collisione con il management. Questo non vuol dire cambiare occupazione ogni 2-3 anni, ma sentirsi libero di potersi riposizionare. Tassello aggiuntivo è che si può lavorare meglio, si ha il coraggio di rivolgere al proprio manager di riferimento qualche suggerimento se non si è in linea”.
Primo: l’istruzione
Il passaggio iniziale ma fondamentale è quello di non perdere tempo durante gli studi. Concludere il liceo e l’università in tempo, magari svolgere qualche lavoretto estivo per imparare l’importanza del guadagno è un passaggio importantissimo. “Guadagnare è una cosa bella, ti rende libero, ti trasforma in una persona che non ha bisogno di nessuno” chiosa Scaroni. Un esempio pratico? Il nuovo patron del Milan e fondatore di RedBird, Gerry Cardinale. Il quale ha ricevuto un’istruzione notevole in atenei di prestigio come Harvard o Oxford.
Secondo: i primi passi
Importante anche dove si muovono i primi passi nel mondo del lavoro. Cardinale, ad esempio, dopo gli studi è stato assunto in Goldman Sachs, dove ha scalato le gerarchie fino a diventarne managing partner. Anche le aziende da cui si parte sono fondamentali. Ad esempio nel caso di McKinsey. “Solo perché si è superato il processo di selezione” in quella società di consulenza, spiega Scaroni, “significa aver iniziato un processo di qualità. Lì non prendono i ‘fessi’, c’è un sistema estremamente rigoroso. Tra l’altro, proprio McKinsey insegna anche un modo di vestirsi e di comportarsi: quando ci arrivai io, erano solo 5 anni da quando era stato tolto l’obbligo del cappello per i dipendenti. Oggi il luogo in cui si lavora detta ancora alcuni stili: Mediobanca, ad esempio, impone un abbigliamento più rigoroso, mentre una multinazionale della comunicazione o della pubblicità consente uno stile meno ingessato”.
Terzo: le lingue e le città
Per essere un numero uno è fondamentale conoscere bene l’inglese. Ma non solo. Si può aggiungere un’ulteriore competenza che può essere preziosa, soprattutto quando si lavora con Paesi “autarchici” come nel caso della Francia. “Quando lavoravo in Saint-Gobain – racconta Scaroni – era importantissimo sapere anche qualche parola di francese, per permettere ai manager e agli stakehodler di far capire che si era interessati veramente all’azienda. Diverso il discorso per i Nordics: parlano una lingua talmente complessa che sono anglofoni per necessità prima ancora che per cultura”.
Per quanto riguarda il luogo in cui vivere, Scaroni riserva una carezza alla “sua” Milano, che sta diventando un po’ come “Parigi e Londra – spiega – con giovani da tutt’Italia che la considerano un pezzo della loro formazione. Bocconi e Politecnico sono due eccellenze, mentre Torino ha fatto un po’ il passo del gambero”.
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La cultura manageriale
Il mantra di Scaroni, comunque, rimane quello di avere ben chiaro un progetto di sviluppo professionale. Meglio fare una carriera stellare “in un’azienda noiosa – spiega – che farne una noiosa in un’azienda stellare. È necessario nelle multinazionali essere internazionali, prima di tutto. Tra l’altro, i manager hanno acquisito peso e autonomia e ora si misurano con nuove realtà. I private equity continuano a comprare aziende in Italia, selezionando le occasioni migliori e garantiscono tre benefici”. Il primo è la cultura della finanza straordinaria che normalmente l’imprenditore non ha; il secondo è l’allargamento, visto che in genere una persona può comprare una o due aziende nella vita, mentre i fondi ne rilevano magari 40 all’anno. La terza è che si migliorano le risorse umane perché si esce da una logica di parentela che a volte è obbligata.
“In Inghilterra – aggiunge Scaroni – l’imprenditore quando ha 50 anni inizia a interrogarsi per capire come fare a managerializzare l’azienda e a lasciarla a qualcun altro in modo da godere dei proventi finanziari dell’azienda stessa: come slegare la vita dell’impresa da quella biologica. Da questo punto di vista noi siamo ancora molto indietro”.
Gli Usa
Per quanto riguarda i processi formativi che caratterizzano la vita dei manager, gli italiani e gli europei hanno un privilegio incredibile: possono guardare agli Stati Uniti per avere un’indicazione precisa di che cosa succederà negli anni a venire. “Apple, Amazon e le altre – spiega Scaroni – non sono certo nate in Europa o in Italia, ma negli Stati Uniti che sono una sorta di stella polare per capire quello che accadrà da noi”.
Il denaro e il successo
C’è spazio anche per il tema del denaro: che non può essere un argomento banale visto che è misura del successo che si sta ottenendo in una professione. “I politici bravi – aggiunge Scaroni – si misurano su quanti voti riescono a ottenere, i manager su quanto guadagnano. E a questo si aggiunge anche un’agenda ben fornita. Per questo il networking è fondamentale: conoscere le persone giuste, specialmente da giovani. Perché magari chi si incontra a 25 anni può diventare un ‘pezzo grosso’ anni dopo. E sarà più facile riuscire a venire in contatto con lui”.
Il ruolo del partner
Infine, non c’è carriera che possa esulare dalla famiglia. Il discorso qui si fa scivoloso: perché inevitabilmente non possono essere entrambi in carriera, specie se bisogna spostarsi all’estero. Uno dei due dovrà per forza rinunciare. “Uno dei due – conclude Scaroni – dovrà essere in grado di ridimensionare i propri obiettivi in funzione dell’altro. Era vero allora, quando abbiamo scritto il nostro libro, lo è anche oggi”.