Siccità, Caporetto 2.0: Italia assetata e Centrosud senza più acqua. Ma gli sprechi sono ancora troppi

Sicilia, Calabria, Umbria e Puglia: in Italia cresce l'allarme siccità. Vanno a tappeto agricoltura e industria ittica. Ma gli sprechi dell'acqua non s'arrestano

di Redazione
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Economia

Crisi climatica, emergenza siccità e infrastrutture obsolete: servono investimenti strutturali e non soluzioni "tampone" 

Cresce l’allarme siccità in Italia. La crisi climatica sta spaccando la Penisola in due: a Nord le portate di laghi e fiumi sono addirittura sopra le medie del periodo, a Sud il caldo estremo sta lacerando agricoltura e industrica ittica. Una situazione sempre più preoccupante per Puglia, Abruzzo e Sicilia, dove gli invasi sono quasi vuoti. Ma non solo. In crisi anche Sardegna, Basilicata, Calabria, Campania e Lazio. Per l’Anbi, l’associazione dei consorzi di bacino, il tempo stringe: tra tre settimane non ci sarà più acqua per l’agricoltura nel Centrosud.

Il report, pubblicato questa settimana, mostra come l’invaso di Occhito, tra Molise e Puglia, a servizio dell'agricoltura del Tavoliere e dell'Acquedotto Pugliese, in soli 8 giorni ha visto ridursi i propri volumi di oltre 15 milioni di metri cubi. La diga sul fiume Fortore d'ora in poi servirà quasi esclusivamente per l'uso potabile. Per la metà di Agosto, la Capitanata non avrà più risorsa per irrigare i campi. "È reale il rischio di vedere inaridita la pianura foggiana, così come ampie porzioni di territorio salentino", ha commentato Francesco Vincenzi, Presidente dell'Anbi.

In Abruzzo, dopo il prosciugamento del bacino di Penne, anche l'acqua dell'invaso di Chiauci si esaurirà entro metà agosto. Stessa sorte per i territori della valle Peligna. Ai minimi le sorgenti della Maiella. La situazione più critica sembra però essere in Sicilia. Secondo i dati Anbi, sull’isola, a fine giugno, le precipitazioni cumulate in 12 mesi sono state mediamente di un solo millimetro in più rispetto a quanto registrato durante la grande siccità del 2002. Su larga parte della Sicilia Orientale il deficit pluviometrico supera il 60% su base annua. Gli invasi regionali trattengono 267 milioni di metri cubi, il 38,21% del volume di riempimento autorizzato e 42% in meno sulla media del periodo nello scorso quindicennio. Di questi, solamente 122 milioni di metri cubi sono realmente utilizzabili, al netto dei volumi utili alla fauna ittica, dell'interrimento e del cosiddetto "volume morto".

Sull'isola, 6 bacini su 29 non hanno più acqua utilizzabile, altri sei hanno disponibile meno di un milione di metri cubi e 4 meno di due milioni. Gela non potrà ricevere alcun genere d'irrigazione, tutti i comuni della provincia di Caltanissetta stanno subendo riduzioni nella distribuzione idrica. Ad Enna l'acqua potabile viene erogata un giorno sì e due no. Nell'Agrigentino si sta cercando di salvare gli agrumeti, operando trasferimenti di risorsa irrigua. Nel Ragusano le sorgenti sono quasi prosciugate, come pure a Messina. L'acqua è razionata anche a Palermo. Le piogge dei giorni scorsi hanno solo lambito l'estremo lembo nord-orientale dell'isola, lasciando però a secco il resto dei territori siciliani.

In una situazione di crisi estrema, a essere colpita non è poi solo l’agricoltura, bensì l’industria ittica. Tra i casi più emblematici c'è quello dei pesci di Orbetello. La laguna si trova in emergenza da diversi giorni per una maxi moria di pesci per il riscaldamento eccessivo delle temperature dell'acqua e i venti di scirocco. Secondo Andrea Bartoli, vicepresidente di Fedagripesca Toscana, "la tragedia è annunciata ormai da tempo, per le cause che sono note a tutti Il surriscaldamento delle acque lagunari, l'anossia provocata dall'alga valonia e i valori chimici fuori controllo stanno spazzando via tutto il pesce, sia quello da vendere subito che quello appena nato, destinato a rigenerare la fauna ittica in laguna". Per Bartoli "ripetiamo da anni che si tratta di un evidente problema su cui intervenire alla fonte, perchè riguarda le infrastrutture: adesso è diventato irrimandabile che le istituzioni preposte si attivino". "Una volta compiuti, aggiunge, gli interventi necessari sarà poi necessario istituire un organismo di gestione stabile della laguna, per evitare che situazioni del genere tornino a distruggere il lavoro di un intero comparto sul territorio e un ecosistema che oggi è stato stravolto". Il comune sta lavorando alla rimozione ma la situazione è ancora complessa.

Insomma, dal Sud al centro, dall'agricoltura all'industria ittica, si potrebbe dire che siamo di fronte a una Caporetto 2.0, dove se da un lato c’è un Paese che ha sempre più sete, dall’altro si trova a fare i conti, secondo gli ultimi dati Istat diramati, con sprechi d’acqua non contemplabili che avrebbero potuto soddisfare il fabbisogno di 43 milioni di persone. A pagare infrastrutture ormai obsolete che hanno causato solo nel 2023 una perdita del 42% dell’acqua potabile, registrando un nuovo record negativo. Va sottolineato inoltre che circa un quarto delle reti italiane ha più di 50 anni e il 60% esiste da più di 30 anni. Un boomerang per una nazione travolta da una vera emergenza.

E chi ha il “potere” di agire come si sta muovendo? Da un lato il governo deve giocare bene la carta del Pnrr, cercando di spendere nei tempi indicati da Bruxelles i 4 miliardi di euro di fondi europei per costruire 25.000 km di reti di distribuzione idrica, risolvendo così-almeno in parte- le perdite infrastrutturali. Dall’altro si sta cercando di arginare l’emergenza con soluzioni “tampone”. In Sicilia, dopo che il governatore Roberto Schifani ha sollecitato un intervento immediato, è arrivata a Licata la nave cisterna Ticino della Marina militare con un carico di 1.200 metri cubi di acqua potabile. Nel lago Biviere di Lentini, nel Siracusano è entrata in funzione la prima delle due pompe di sollevamento che permette un prelievo di circa 400 litri al secondo per irrigare circa mille ettari di terreni agricoli della Piana di Catania.

Interventi che potranno sì mitigare la situazione, ma non di certo risolverla. Di questo ne è convinto anche Fabio Ciciliano, nuovo capo Dipartimento della Protezione civile, che dalle pagine del Corriere della Sera di oggi ha ribadito che “la gestione dell’emergenza idrica non si fa d’estate, quando l’acqua manca. Perché l’emergenza poi costa tanto, costa più dell’ordinario". Per quanto riguarda la Sicilia "conosco da anni quelle realtà”, ha aggiunto Ciciliano. “Molte famiglie vivono da sempre con la cisterna azzurra sul tetto, per continuare ad avere l’acqua quando s’interrompe l’erogazione pubblica. Tanti campi sono già bruciati, però ecco gli allevatori che vorrebbero macellare il bestiame ormai stremato, io dico che al loro posto eviterei, perché poi servirebbe altra acqua per smaltire”, ha sottolineato ancora il nuovo capo della protezione civile. Insomma, il dossier è ampio e complesso, ma l’obiettivo- sottolinea ancora Ciciliano, “è fare in modo che tra un anno, estate 2025, non ci si ritrovi a parlare di emergenza”. Una promessa di certo grande, che deve però fare i conti con la realtà: gli investimenti da attuare sono complessi e i tempi stretti. Servirà attuare strategie ad hoc per “non lasciare indietro nessuno”.

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