Société Générale ha il 5,34% del Leone: ecco perché e che cosa succederà

Sbaglia chi pensa che dopo la morte di Leonardo Del Vecchio ora in Generali comandi, ancor di più, la linea di Piazzetta Cuccia: Milleri e Bardin non arretrano

di Marco Scotti
Economia
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Société Générale al 5,34% di Generali

Le periodiche comunicazioni della Consob sulle partecipazioni rilevanti in società quotate ogni tanto svelano qualche sorpresa. È il caso di ieri, quando l'Authority guidata da Paolo Savona ha diramato una comunicazione in cui si spiega che, dal 6 luglio scorso, Société Générale ha una percentuale del 5,344% di Generali. La composizione è così ripartita: lo 0,76% rappresenta diritti di voto riferibili ad azioni; lo 0,314% è una partecipazione potenziale; il 4,264% rappresenta altre posizioni lunghe con regolamento fisico. Tecnicismi a parte, significa che il colosso bancario - presieduto da Lorenzo Bini Smaghi - ha per le mani oltre il 5% del Leone. Attenzione, questo non significhi che stia tentando una scalata a Trieste o che stia supportando un qualche cavaliere bianco che deve ancora essere svelato. Più semplicemente potrebbe trattarsi di un pacchetto azionario piuttosto corposo, oltre 85 milioni di titoli, che comprenda anche il famoso "prestito" che Mediobanca ottenne da Bnp Paribas lo scorso 23 settembre. All'epoca Piazzetta Cuccia, che si sentiva stretta dai "pattisti" guidati da Francesco Gaetano Caltagirone e Leonardo Del Vecchio, aveva chiesto in prestito 70 milioni di azioni, pari al 4,42% dei diritti di voto su Generali, per irrobustire la propria posizione.

Dopo il 29 aprile, scorso, quando la vittoria della lista Donnet e del cda uscente consegnò un board con 10 membri su 13 scelti proprio dai vincitori, Piazzetta Cuccia decise di liberarsi di quel pacchetto che è stato riconsegnato a Bnp il 16 maggio scorso. I francesi, però, che dall'operazione hanno ricevuto una fede di 6,5 milioni, hanno dovuto decidere che cosa fare di queste 70 milioni di azioni. Quando le hanno consegnate a Mediobanca, infatti, esse avevano un valore nominale di 18,13 euro per azione. Oggi, in una giornata borsistica molto complessa a causa dello strappo dei Cinque Stelle, il titolo del Leone vale poco più di 14,5 euro per azione, ai minimi dal dicembre del 2020 (ma lì, oltre a un quadro pandemico drammatico, c'era anche il tema dello stop ai dividendi chiesto dalla Bce). Facile pensare, quindi, che Bnp abbia cercato un ulteriore "parcheggio" per evitare minusvalenze. 

Non è la prima volta che Société Générale ha in mano una quota rilevante del Leone. Nel 2016, all'indomani dell'insediamento di Philippe Donnet nel ruolo di Group Ceo, l'istituto presieduto da Bini Smaghi era arrivato a detenere il 5,8% come "partecipazione aggregata" per poi scendere alla fine di agosto dello stesso anno al 4,17%. Certo, erano altri tempi: Mediobanca deteneva il 13,4, Caltagirone si era da poco affacciato sopra il 3% e Del Vecchio era titolare di un 2%, quota analoga a quella in mano alla Banca Popolare Cinese, cioè la banca centrale di Pechino. 

Il futuro di Generali

Chiarito il nuovo assetto azionario, dunque, rimane da sciogliere il nodo sul posto lasciato vacante da Caltagirone nel consiglio di amministrazione di Generali. Al momento la situazione è piuttosto incerta. Fonti vicine al costruttore romano dichiarano di attendersi una qualche forma di apertura da parte del board del Leone. Ma le mosse possibili sono complesse. Intanto, perché il nome di Luciano Cirinà, che è stato indicato dalla lista Caltagirone, viene considerato irricevibile dalla maggioranza. Che lamenta l'incompatibilità del manager, ex prima linea proprio sotto Donnet - che aveva addirittura aiutato a stilare il piano industriale da presentare in assemblea - e poi diventato l'amministratore delegato in pectore dei "pattisti". Proprio per questo cambio di casacca in corsa, Generali ha avviato una causa di lavoro con Cirinà dopo averlo licenziato in tronco. Dalla lista di minoranza, però, si fa notare come non vi siano evidenze di un'incompatibilità del manager.

A quanto risulta ad Affaritaliani.it, tra l'altro, la stessa Consob, non ravvisando profili di incompatibilità in Cirinà, ha chiesto lumi alla maggioranza domandando se vi fossero motivi - non a conoscenza dell'Authority - per cui il manager non fosse adatto a sedere in consiglio. Non basta: il nome di Cirinà era il quinto nella lista presentata dopo Caltagirone, Marina Broggi, Flavio Cattaneo e Roberta Neri. Se si fosse deciso di metterlo terzo, che cosa sarebbe successo? Si sarebbe arrivati a un impasse già allora? E poi: siamo davvero sicuri che Cirinà vorrebbe entrare in consiglio di amministrazione come pietra dello scandalo? O non avrebbe forse tutto l'interesse a lavorare nel migliore dei modi, per fugare qualsiasi dubbio sulla sua lealtà e per terminare al tempo stesso la querelle con il Leone? Al momento non è dato sapere che cosa succederà, ma certo il dossier rimane ingarbugliato perché entrambi le parti in causa hanno qualche ragione da spendere. 

Il ruolo della Delfin

C'è un ulteriore passaggio ancora tutto da esplorare. Si è pensato, forse erroneamente, che la morte di Leonardo Del Vecchio avrebbe rafforzato il potere di Alberto Nagel su Mediobanca e, indirettamente, su Generali. Tutto è ancora in via di definizione e il primo cda di Delfin con il nuovo assetto (i sei figli, la moglie Nicoletta Zampillo e il di lei figlio Rocco Basilico) guidato dall'amministratore delegato Romolo Bardin e dal neo presidente Francesco Milleri dovrà dire molto. Quello che però a Milano si ripete in molti salotti è che l'amministratore delegato di EssilorLuxottica sia stato al centro di vari bisbigli che l'hanno non poco indispettito. Di più: fu lo stesso Milleri a suggerire a Del Vecchio la strategia su Mediobanca ed è difficile pensare che ora si decida di abbandonarla. Lo stesso vale a Trieste, visto che ogni scossone sulla governance di Piazzetta Cuccia ha un enorme risalto all'ombra del Leone. Se, dunque, domani si troverà un nome che pacifichi gli animi, bene. Anche perché sono passati due mesi e mezzo dalla vittoria della lista di maggioranza e ancora non si è trovata la quadra sui ruoli. Se però anche domani dovesse esserci una fumata nera, allora ci troveremo davanti a uno stallo complicato per un'azienda che ha oltre 600 miliardi di attivi in portafoglio. E ci sarebbe davvero da preoccuparsi.