Tim, dopo lo stop della trattativa sulla rete ora serve una nuova soluzione
L’alternativa che viene in mente a qualcuno è che Cassa Depositi e Prestiti proceda con un’opa di Tim
Tim, serve una soluzione entro il 31 dicembre
“Si decide tutto nelle prossime ore” avevano riferito ieri mattina, 28 novembre, fonti qualificate ad Affaritaliani.it. In effetti, meno di 24 ore dopo il comunicato congiunto del ministro Adolfo Urso e del sottosegretario Alessio Butti mettono di fatto la parola fine alla lunga querelle dell’unione tra Open Fiber e Tim, via Cdp, per la realizzazione della rete unica. Stracciato il famoso MoU con cui si cercava un’intesa tra i vari attori, cioè l’ex-Telecom, Cassa Depositi e Prestiti, Kkr, Macquarie per il completamento dell’infrastruttura.
Con la nota congiunta, dunque, si riparte da zero, un’altra volta, con una soluzione che dovrà essere trovata entro il 31 dicembre. Ma quale? Il Piano A di Pietro Labriola, cioè la vendita della rete a Cdp, sembra tramontato. Colpa delle valutazioni dei francesi di Vivendi, cioè 31 miliardi? Possibile e perfino probabile. Il piano B, quello dello scorporo della parte enterprise, sembra in salita. E il Piano C, con il beauty contest sulla rete rischia di saltare ancora prima di iniziare. Il sottosegretario Butti ha sempre posto l’accento sull’eccessiva valutazione di un asset, la rete appunto, che sarà obsoleta nel giro di pochi anni e che quindi non può essere iper-pagato, per di più con i soldi del risparmio postale.
L’alternativa che viene in mente a qualcuno è che Cassa Depositi e Prestiti proceda con un’opa di Tim, nella sua interezza, spendendo “solo” 4,7 miliardi (cioè l’attuale capitalizzazione di Borsa) meno la quota del 9,9% che è già in possesso di Via Goito. Ma anche in questo caso ci sono due ostacoli notevolissimi: il primo, la valutazione. Se, infatti, è stata fatta cadere un’offerta su Tim che la valorizzava 11 miliardi – ma sarebbero potuti essere anche di più – da un consiglio di amministrazione in cui siede il presidente della Cdp Gorno Tempini, come si potrebbe giustificare oggi una vendita a una cifra che, per forza di cose, dovrebbe essere inferiore? Mentre scriviamo le azioni di Tim valgono 22 centesimi, Kkr a novembre dello scorso anno ne offrì 55. Difficile immaginare che oggi si possa mettere sul piatto un premio dell’opa di oltre il 100% del valore nominale. L’altro ostacolo è che Tim ha un debito notevole, 32 miliardi lordi, che costa ogni anno circa 1,3 miliardi di euro di interessi. Davvero si può pensare di usare la Cassa per accollarsi questa montagna?
Tim dunque è il soggetto in questo momento più in difficoltà. Il suo ceo deve inventarsi rapidamente qualcosa, sapendo che per il governo non si può transigere rispetto alla rete unica, italiana e non verticalmente integrata. Open Fiber ha presentato un piano industriale stand-alone e, di conseguenza, non lega la sua sopravvivenza alla realizzazione della rete unica.
Tim, però, ha incassato nel frattempo una buona notizia: quella relativa al cloud pubblico che si è aggiudicato in tandem con Leonardo e Sogei. Il ricorso al Tar di Fastweb e Aruba, infatti, qualora venisse accolto, non significherebbe che la gara dovrebbe essere rifatta o che ad aggiudicarsi il bando non sia il consorzio scelto dal ministero. Semmai, significherebbe che fastweb e Aruba dovrebbero essere rifuse. Dunque, almeno su questo l’ex-Telecom può dormire sonni tranquilli. Per il resto si vedrà, anche questa volta l’incertezza che regna è ancora tanta.