Tim, Gorno Tempini saldo nel board. Gubitosi prepara un nuovo taglia-debito
Per Bruxelles la presenza nel Cda della compagnia telefonica del presidente di Cdp non è in conflitto d'interesse
J’accuse, scriveva Émile Zola nel 1898. J’accuse, scriviamo noi oggi a distanza di 123 anni. E lo facciamo chiedendo risposta a una domanda precisa: chi ha interesse a inquinare le acque intorno a Tim? Chi ci guadagna nel vedere un’azienda che sarebbe vitale (non da sola, e ci mancherebbe altro) per lo sviluppo tecnologico del Paese, ora che il Pnrr ha ribadito la centralità della digitalizzazione?
Le ultime notizie che arrivano da fonti bene informate che si professano vicine all’azienda riguardano le dimissioni di Giovanni Gorno Tempini – presidente di Cassa Depositi e Prestiti – dal consiglio di amministrazione di Tim. Il presunto motivo? Conflitto d’interessi. Due europarlamentari di Fratelli d’Italia, Butti e Fidanza, hanno mandato una lettera alla commissaria Margrethe Vestager, chiedendo di indagare sull’opportunità che Gorno Tempini sieda nel consiglio dell’ex-Sip.
Il presidente di Cdp Giovanni Gorno Tempini
E la Vestager, che pure non ha mai mostrato grande amore per il nostro Paese e le strategie economiche, ha dichiarato senza particolari esitazioni che no, non c’è alcun conflitto d’interesse e che Gorno Tempini può continuare a sedere nel board. Tra l’altro, proprio il presidente di Cdp, a maggio, era stato dato per gravemente malato e incapace a ricoprire incarichi istituzionali. Fortunatamente, era una fake news.
Senza contare che la Cassa, al momento, è impegnata nella realizzazione del nuovo piano industriale, il primo firmato da Dario Scannapieco, che dovrebbe essere pronto per la fine dell’anno ma che è ancora top-secret. Ma poi siamo sicuri che un eventuale disimpegno di Via Goito da Tim sarebbe un affare anche per una mera questione di denaro? Il valore di carico delle azioni potrebbe essere intorno a 0,58 euro per azione, contro gli 0,34 con cui viene scambiato il titolo al momento.
Ma torniamo a Tim: perché mettere in giro voci di questo tipo? Perché continuare a raccontare che i francesi di Vivendi vogliono la testa di Gubitosi o che chiedono deleghe pesanti? La risposta è abbastanza scontata, eppure conviene ribadirla una volta di più: perché l’ex-Sip è entrata in molti “mondi” lontani dal business tradizionale. E per questo motivo deve in qualche modo essere “punita”, destabilizzandola.
È entrata nel mondo del calcio, ad esempio. E, al di là della qualità decisamente da migliorare, ha allargato le maglie della sua offerta. Ha dato fastidio a qualcuno? Sarebbe sciocco pensare il contrario. Sulla rete unica, il modello adottato è quello di Tim, che – diversamente da quanto si pensa – non ha visto con timore le dichiarazioni del ministro Vittorio Colao sulla “neutralità tecnologica”. Anzi: ha puntato 3,5 miliardi sul 5G e ha mostrato un impegno deciso su tutte le altre tecnologie. Ha deciso di entrare nella partita del cloud sia con Noovle, sia per quanto concerne il cloud pubblico, in tandem con Cdp, Tim, Leonardo e Sogei, dando vita a una newco in cui l’azienda guidata da Gubitosi è capofila con il 45% delle quote. Avrà fatto piacere ai competitor questo ulteriore ampliamento del business? Anche qui, difficile crederlo.
Fonti accreditate tra l’altro riferiscono ad Affaritaliani.it che è Luigi Gubitosi il manager che più di tutti ha guidato questa discontinuità tecnologica. Terminata la “bagarre” con Vivendi, ritrovata la pax interna, il manager ha deciso di lanciare una strategia differente. Abbandonando, tra l’altro, il rame che è stato il cavallo di battaglia di altre Tim precedenti.
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Ecco, quello che servirebbe adesso è un minimo di tutela in più per un’azienda che comunque può rappresentare un asset fondamentale per lo sviluppo. E che viene – per certi versi misteriosamente – penalizzata in borsa. Ha un indebitamento monstre? Sì, ma lo sta riducendo e, a quanto risulta ad Affaritaliani.it, verranno annunciati ulteriori accorgimenti per abbattere la situazione debitoria. I critici però rispondono che la situazione del titolo Tim è ingestibile. La capitalizzazione è 7,4 miliardi, poco più di un quarto rispetto a Orange e di un quinto rispetto a Vodafone. Tutto verissimo: il valore azionario è fermo a quota 0,3-0,4 da molto tempo, con una picchiata in zona 0,29 euro per azione a ottobre dello scorso anno.
Ma qui si torna al discorso iniziale: perché? Agli analisti non piacciono gli investimenti, perché bruciano cassa e non portano rendimenti immediati. Comprensibile. Ma perché non viene valorizzato il 58% di Fibercop, accreditata di un enterprise value da 7,7 miliardi e di un Ebitda da 900 milioni all’anno a partire dal 2025? Perché non si dà il giusto peso a Tim Brasil, che è la vera gallina dalle uova d’oro dell’ex-Sip, a maggior ragione ora che è stata perfezionata l’operazione con Oi? Inwit, di cui Tim detiene, insieme a Vodafone, poco più del 30%. vale in borsa 9,3 miliardi. Ma non sembra valere granché quando si deve dare un voto alla casa madre.
È naturale, dunque, che Tim sia finita sotto attacco, ora che è diventata non più soltanto una compagnia di tlc, ma piuttosto un’azienda tecnologica a 360°. Quando Marco Tronchetti Provera incontrò Rupert Murdoch per lanciare una partnership tra rete e televisione, venne sostanzialmente boicottato dalla politica. Oggi serve scrivere un finale diverso a questa storia.