Toyota, alleanza con Suzuki, Isuzu, Hino e Daihatsu per l'auto elettrica

I casi Stellantis-Foxconn, Volkswagen-Enel X, Volvo-Ecarx

di Marco Scotti
Economia
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Un polo giapponese per le auto elettriche. L’annuncio è importante: perché Toyota, Suzuki, Isuzu, Hino e Daihatsu, ovvero una fetta consistente dell’automotive nipponico, hanno deciso di stringere un accordo per una joint venture che avrà principalmente (ma non solo) carattere commerciale. La Toyota sarà leader di questa nuova alleanza con una quota del 60%, mentre gli altri quattro partecipanti avranno ciascuno il 10%.

Come detto, motivo principale dell’accordo è potenziare i canali di vendita e la rete. Ma non solo: l’intento è quello di sviluppare i cosiddetti “mini-veicoli” elettrici, segmento molto popolare in Giappone dove la necessità di grandi percorrenze viene soppiantata dall’esigenza di muoversi agevolmente all’interno delle gigantesche metropoli, Tokyo in primis.

In una nota congiunta si legge che “i mini-veicoli possono svolgere un ruolo importante nella realizzazione di una società carbon neutral e nella diffusione delle nuove tecnologie automobilistiche. Ma in questa epoca di profonde trasformazioni ci sono molte sfide che i produttori di mini-veicoli non possono affrontare da soli”.

La joint venture, la Commercial Japan Partnership, come si legge sul Sole 24 Ore consentirà di incrementare lo sviluppo di mini-veicoli elettrici, le key cars un segmento automobilistico molto popolare in Giappone, che rappresenta quasi il 40% dei veicoli in circolazione nel paese, utilizzati in città soprattutto per le consegne. Sono una versione orientale delle micro car ed hanno motori da 660 centimetri cubici o 47 Kw nella versione elettrica.

Da questa alleanza emerge con chiarezza come la transizione verso gli e-vehicle, ovvero il nuovo standard che, entro il 2050, avrà definitivamente soppiantato i motori a scoppio, è meno semplice del previsto e che per portare avanti una trasformazione efficace e rapida servirà per forza unire le forze. Nessuno è più in grado di portare avanti una produzione industriale su larga scala, riconvertire la supply chain e sviluppare nuove competenze senza appoggiarsi su un sistema di partnership. E gli esempi sono molteplici.

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Stellantis e Foxconn, ad esempio, hanno siglato un accordo a maggio per la creazione di una joint venture. Si tratta di Mobile Drive, che svilupperà cruscotti digitali e servizi connessi personalizzati. L’obiettivo è quello di accelerare i tempi per la messa sul mercato delle più avanzate tecnologie di in-car e connected-car. Si focalizzerà su infotainment, telematica e sviluppo di piattaforme cloud service, con soluzioni che sfrutteranno, tra l’altro, intelligenza artificiale e comunicazione 5G.

La stessa Volkswagen, che pure potrebbe avere la massa critica necessaria a completare internamente l’intero progetto di e-car, ha recentemente siglato un accordo paritetico con Enel X per l’installazione di 3.000 colonnine di ricarica veloce in Italia. 

Sempre nel nostro Paese, si è registrato a febbraio l’annuncio del via libera a un progetto che vede insieme (per una volta) americani e cinesi: il gruppo Faw, il più grande produttore di auto del Paese asiatico, e Silk EV, sono pronti a investire un miliardo di euro per la nascita di un polo all’avanguardia dove progettare e produrre auto di alta gamma full electric e plug-in nella cosiddetta Motor Valley.

Attivissima anche Volvo. Non è un caso che l’azienda svedese sia originaria di un Paese – appunto, la Svezia – che ha deciso di mettere al bando con largo anticipo le auto a combustione. A marzo la casa automobilistica ha concluso una partnership con Ecarx per lo sviluppo di sistemi di infotainment, mentre nelle scorse settimane ha realizzato una joint venture con la svedese Northvolt per la realizzazione di batterie per le auto elettriche.

Insomma, mai come questa volta, i tradizionali “silos” che hanno da sempre accompagnato il mondo dell’automotive, in cui ci si affezionava a un singolo brand e difficilmente lo si lasciava, dovranno lasciare spazio a una collaborazione completa in cui i player tradizionali – che proseguiranno in aggregazioni per aumentare la massa critica – dovranno per forza dialogare con nuovi soggetti. È davvero una rivoluzione copernicana.