Tredicesima detassata già nel 2023. E mini-taglio dell’Irpef nel 2024
Il piano del governo Meloni
L’ipotesi principale, per il momento, è quella di eliminare l’aliquota del 25% sui redditi fino a 28 mila euro, creando un maxi primo scaglione al 23%
Per capire le mosse del governo in vista dell’autunno, non bisogna guardare soltanto a cosa accadrà con la manovra finanziaria. Bisogna tenere d’occhio anche il percorso parallelo della riforma fiscale firmata dal vice ministro dell’Economia Maurizio Leo approvata a inizio del mese e pubblicata in Gazzetta alla vigilia di ferragosto. Lo scrive il quotidiano Il Messaggero.
Una parte importante dei tagli alle tasse per i redditi più bassi passerà proprio dai decreti attuativi ai quali sta lavorando il Comitato tecnico presieduto dallo stesso Leo e che ha diviso il lavoro tra tredici commissioni di esperti per materia. Gli schemi dei decreti legislativi dovranno essere pronti per il 20 settembre. Il piatto forte della riforma fiscale è la «flat tax», che però è un obiettivo della legislatura. Per il prossimo anno, risorse permettendo, dovrebbe essere però attuata una prima riduzione delle aliquote fiscali, facendo scendere da quattro a tre gli scaglioni.
L’ipotesi principale, per il momento, è quella di eliminare l’aliquota del 25% sui redditi fino a 28 mila euro, creando un maxi primo scaglione al 23%. Il costo di questa misura non sarebbe eccessivo, probabilmente anche meno di 4 miliardi. Ma neanche gli effetti sulle buste paga. A 20 mila euro di reddito lo sgravio sarebbe di 180 euro l’anno, 15 euro al mese. A 28 mila euro si salirebbe a 260 euro l’anno, poco più di 21 euro al mese. Non abbastanza insomma, per dare quell’aiuto ai redditi bassi che il governo ha promesso. A questa misura, ovviamente, si sommerebbe il taglio del cuneo contributivo per i redditi fino a 35 mila euro. Uno sconto del 6 per cento sui versamenti Inps per chi guadagna fino a 35 mila euro, che sale al 7 per cento per chi sta sotto i 25 mila euro. In questo caso l’impatto sulle buste paga è più rilevante: va dagli 75 euro netti per chi guadagna 25 mila euro, ai 108 euro netti mensili per un lavoratore che guadagna 35 mila euro lordi l’anno. Come ha confermato non più tardi di ieri il ministro del Made in Italy Adolfo Urso, il taglio del cuneo contributivo sarà rifinanziato e, possibilmente, reso strutturale. Per il governo si tratta di uno sforzo rilevante. Se volesse confermare il taglio attuale, il prossimo anno dovrebbe spendere all’incirca 11 miliardi di euro. Si tratta di una enorme spada di Damocle sull’intera manovra.
Ma c’è anche un problema politico. Anche se il governo confermerà la decontribuzione, le buste paga dei dipendenti non subiranno un taglio, ma neppure un aumento. E non è il massimo in un anno, il 2024, in cui c’è un importante appuntamento elettorale come le Europee. Nemmeno un mini-taglio dell’Irpef si presta alla campagna elettorale. Ma nella delega fiscale c’è anche un’altra misura che, invece, potrebbe avere un impatto più rilevante sulle buste paga: la detassazione delle tredicesime per i redditi medio-bassi.
Una misura che ha anche il pregio di poter essere facilmente comunicata e compresa dai lavoratori. L’unico problema è che se il taglio delle tasse sulle tredicesime fosse inserito in manovra, partirebbe dal prossimo anno. Bisognerebbe dunque aspettare fino a dicembre 2024 per poterne vedere i benefici nelle buste paga. Da qui l’idea allo studio, di anticiparlo già quest’anno. Sempre ovviamente, che si trovino coperture adeguate sul 2023. Nei conti pubblici ci sono le ormai mitologiche “pieghe”. Soldi stanziati e mai spesi che, generalmente, saltano fuori a fine anno proprio per finanziare le misure necessarie al governo di turno.
Lo scorso anno, per esempio, l’assegno unico è costato meno del previsto e lo Stato ha risparmiato un miliardo e mezzo di euro. Quest’anno l’andamento non sarebbe tanto diverso. Paradossalmente un piccolo aiuto potrebbe darlo anche l’inflazione. Nell’ultimo Def, il documento di economia e finanza approvato ad aprile, il dato per quest’anno è stato fissato al 4,8 per cento. Ma se con la Nadef l’asticella fosse alzata, automaticamente salirebbe anche il Pil e di conseguenza calerebbe il deficit, liberando qualche altro piccolo spazio nel Bilancio dello Stato. Il governo in questo modo riuscirebbe a mettere più soldi in tasca ai lavoratori già a Natale, con l’effetto magari anche di spingere un po’ più sui consumi. Oltre che fornire un ottimo argomento per la campagna delle europee.