Tupperware, il colosso che non ha saputo innovarsi. I contenitori di plastica non possono tirare per sempre

L'iconico brand americano non è riuscito a tenere il passo con i tempi, perdendo domanda e competitività di fronte a concorrenti più economici e orientati alla sostenibilità

di Rosa Nasti
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Tupperware in fallimento. Parla Patrick Trancu, crisis manager: "I consumatori non sono più quelli degli anni '50. Prodotto facilmente copiabile a prezzi più competitivi"

I mitici Tupperware finiscono nel baratro del fallimento, e con loro tramonta un'era: quella degli anni '80 e '90, quando i contenitori di plastica del marchio invadevano le case italiane, diventando un vero e proprio cult, un evergreen custodito gelosamente. Una brand identity talmente potente che i contenitori perdevano la loro più comune denominazione per essere identificati semplicemente come i "Tupperware". Indistruttibili, insormontabili e versatili. Simbolo di una generazione di nonne e mamme che li tramandavano con orgoglio di famiglia in famiglia. Chi non ne ha mai avuto uno? 

Eppure, nonostante gli sforzi incessanti, l'azienda non è riuscita a risalire la china. Ora, Tupperware ha chiesto di accedere al Chapter 11 (che non equivale alla bancarotta completa) della legge americana, per evitare il collasso definitivo e avviare un piano di risanamento. Questa mossa le permetterà di restare comunque operativa, mentre accorda con il tribunale Usa un piano per ristrutturare i debiti che ammontano a 700 milioni. In merito, Laurie Ann Goldman, Ceo dell'azienda, ha dichiarato: "Dopo aver esplorato numerose opzioni, abbiamo deciso che questa è la strada migliore da seguire".

Era il 1944 quando il chimico Earl Tupper ideò Tupperware, ma dovette aspettare la fine della guerra per entrare definitivamente nelle ville delle casalinghe americane (e non solo). Un'attesa che venne presto ripagata con una produzione che avrebbe portato Tupperware a guadagnarsi la fama mondiale negli anni '50 e '60. Il suo grande colpo di fortuna fu il polietilene, un materiale simile alla plastica inventato dallo stesso Tupper e precedentemente utilizzato in ambito bellico.

Versatilità e convenienza” sono sempre stati i marchi di fabbrica di Tupperware. Ma a distinguere davvero questi contenitori era la loro indistruttibilità, oltre che gli iconici sigilli ermetici, ispirati ai barattoli di vernice (per garantire una conservazione duratura degli alimenti). Questo e non solo. I contenitori divennero presto un vero e proprio rituale sociale, un pretesto per tutte le donne "che stavano a casa" per riunirsi, scambiarsi le famose "scatole di plastica con il coperchio", soraseggiando un té caldo mentre chiacchieravano dell'ultimo gossip di quartiere.

E così nacquero i "Tupperware Party": una mossa geniale in un'epoca in cui la vita delle donne era ingabbiata nelle quattro mura di casa. Party che si tramutarono presto in una fonte di guadagno per coloro che non potevano far altro che le casalinghe, ma capaci di rendere delle semplici riunioni domestiche in un vero e proprio business di successo. E così Tupperware conquistò in tempi record anche il Vecchio Continente, diventando simbolo dell'emancipazione femminile.

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Decenni di popolarità globale hanno segnato la storia di Tupperware, ora sull'orlo del fallimento, e con alle spalle un repentino crollo delle azioni. Negli ultimi quattro anni, l'azienda dai tappi ermetici ha cercato di risollevarsi dopo sei trimestri consecutivi di calo delle vendite, ma la pandemia da Covid non ha fatto altro che accelerare un trend in discesa. Così il fatturato è calato a 1,3 miliardi di dollari nel 2022, un crollo del 42% rispetto a cinque anni prima.

Che cosa ha portato Tupperware a perdere progressivamente slancio? Sicuramente l'aumento dei costi delle materie prime, oltre all’incremento dei costi della manodopera, hanno fatto da traino. Ma parlando con affaritaliani.it Patrick Trancu, crisis manager e tra i massimi esperti italiani in gestione delle crisi aziendali e organizzative, sostiene che: "L’evento segna la fine di una marca sinonimo di conservazione degli alimenti che tuttavia non ha né saputo ampliare la propria offerta, né aggiornare il proprio prodotto per renderlo più attraente per dei consumatori che non sono più quelli degli anni 50".

"Un prodotto che all’epoca era innovativo ma che oggi è facilmente copiabile a prezzi più competitivi - aggiunge Trancu - e la scelta di rimanere ancorati a un modello di vendita diretta ha probabilmente compromesso la capacità di ampliare la distribuzione e di rafforzare l’identità di marca." E conclude: "Insomma una crisi industriale che nasce dall’incapacità di innovarsi."

L'epoca d'oro dei contenitori è oramai solo un ricordo sbiadito e impolverato, nascosto nelle dispense delle nostre case. Ora resta da vedere se l'azienda riuscirà a rimettere insieme i cocci dei propri contenitori per sfuggire al fallimento, o dovrà arrendersi a un destino già segnato da tempo.