UniCredit non vuole il marchio Mps. Poi spezzatino. 10 mila bancari a rischio
Ancora un mese per trattare fra UniCredit e il Tesoro
Ancora un mese per trattare, anche se i 40 giorni della due diligence e della trattativa in esclusiva scadranno ufficialmente il 13 settembre e ancora ieri, a quanto risulta, a Rocca Salimbeni arrivavano richieste dai banker di UniCredit su delucidazioni su tutte le posizioni senesi di credito in bonis ma con avvisaglie di problematicità (di “stage 2”).
Oltre a spulciare e vivisezionare il portafoglio crediti, su Mps l’amministratore delegato di UniCredit ha le idee chiare: Andrea Orcel punta soltanto a 1.100 filiali dei 1.400 sportelli targati Mps, un ramo aziendale da acquisire che porta in dote una cinquantina di miliardi di euro di attivi su 90 totali, un portafoglio crediti senza aggravi per future svalutazioni (arriveranno le richieste di UniCredit di adeguata copertura), lasciando fuori i poco interessanti sportelli del Sud (95 in Sicilia e gli 84 in Puglia), più un altro centinaio di filiali che duplicano la rete UniCredit, ovvero che hanno un rapporto tra costi e volumi che il compratore giudica troppo basso.
Lo scrive Repubblica, secondo cui a Orcel che gode di un forte potere negoziale con il Tesoro (per l’assen- za di rivali compratori sul dossier e per l’urgenza di Roma di privatizzare l’istituto senese entro aprile entro fine anno) non interesserebbe anche il marchio storico della banca più antica del mondo (1472), a cui Rocca Salimbeni attribuisce un valore contabile di 500 milioni.
Dunque, più che una fusione pare un’acquisizione di ramo d’azienda post-spezzatino, perché UniCredit intende lasciar fuori anche molti altri attivi fra cui marchi, entità legali che danno lavoro a circa 5-6 mila dipendenti, un quarto della forza lavoro complessiva di Siena (oltre 21 mila dipendenti).
Se a questi si aggiungono anche i 5.000 complessivi impiegati in giro per l’Italia (2.100 a Siena e il resto a Padova, Mantova, Lecce e Roma) sulle funzioni di direzione, il numero dei bancari dal futuro incerto sale di molto: a circa 10 mila, metà della forza lavoro del Monte, un'autentica bomba sociale. Ai livelli dell'ex Ilva di Taranto e di Alitalia.
In quanto doppioni di società interne del proprio perimetro, UniCredit non è interessata a Mps Capital Services, Mps Leasing e Factoring, Monte Paschi Fiduciaria e il Consorzio operativo che gestisce la rete informatica (circa 2.000 bancari anche questi dislocati lungo tutta la Penisola). Sulla questione dipendenti, Orcel ha tutto l’interesse ha forzare la mano con il Tesoro per abbassare il più possibile il rapporto cost-income del perimetro di attività del gruppo senese che si porterebbe in casa.
(Segue: il costo per le casse dello Stato)
Fuori dalla trattativa, perché UniCredit ha messo subito le carte in tavola sulla pre-requisito della neutralità dell’operazione per il proprio capitale, anche i rischi legali da 6,2 miliardi, i crediti in sofferenza per 4,15 miliardi e i crediti di più difficile esigibilità, pari a 15,25 miliardi e classificati “stage 2” nella semestrale Mps.
Insomma, Orcel vuole asset contabilmente super-puliti, un interessante portafoglio clienti dalle migliori credenziali (sono posizionati al Centro-Nord, le aree più ricche del Paese), attività che già macinano redditività perché i costi sono stati già ridotti all’osso. “Un’operazione geniale", la definiscono gli addetti ai lavori, ma tutta caricata sul contribuente: ricapitalizzazione, benefici fiscali delle Deferred tax asset, bad bank con le cause legali, filiali a Mcc (150 al Sud) e crediti problematici ad Amco sono tutti interventi che ricadranno ancora sulle spalle della galassia pubblica.