Unipol, chi è Carlo Cimbri: il volto della fusione tra Bper e Carige
Il ritratto del dominus del gruppo assicurativo bolognese, alla guida di Unipol dal 2010
Carlo Cimbri: chi è il numero uno di Unipol, vero protagonista della fusione tra Bper e Carige
Dimentichiamo per un attimo il salotto buono di Piazzetta Cuccia a Milano e il “ring” di Trieste. Per trovare uno degli uomini più importanti nel panorama finanziario italiano bisogna citofonare in Via Stalingrado 45, a Bologna. Nel palazzo dalla caratteristica forma a ferro di cavallo, infatti, lavora Carlo Cimbri, amministratore delegato di Unipol.
Cagliaritano, classe 1965, il manager non è un habitué dell’alta finanza, non ha mai amato i salotti, eppure ha saputo muoversi da anni come autentico king maker, trovando di volta in volta la sponda più utile. In Unipol arriva nel 1990, inizialmente per occuparsi dell’Area Finanza e Tesoreria. Quindici anni dopo lo ritroviamo come direttore generale ad affrontare uno dei momenti più complessi della storia della compagnia bolognese: il tentativo di trasformare Unipol in una merchant bank (oltretutto con la scalata poi fallita a Bnl e il famoso “abbiamo una banca” che Piero Fassino pronunciò al telefono con Giovanni Consorte, allora numero uno dell’azienda emiliana).
In realtà, il colpaccio gli riesce: nel 2005 chiude l’esercizio con 8,9 miliardi di euro di raccolta premi. L’anno dopo riesce a vendere le quote di Bnl in pancia al gruppo assicurativo ai francesi di Bnp Paribas. L’idea di fare di Unipol una banca viene rapidamente abortita, riportando il core business delle polizze come principale focus. Quando poi c’è da affrontare partite “di sistema” Cimbri c’è, ma sempre come voce critica. Quando nel 2012 rileva Fondiaria Sai – dopo due aumenti di capitale – si ritrova in mano il 4,4% di Alitalia, eredità dei “capitani coraggiosi” che avevano cercato di rimettere in piedi una volta di più la compagnia di bandiera. Tentativo fallito, come ben sappiamo.
Cimbri dichiarò fin da subito che la quota non era strategica e che sarebbe stata svalutata nel bilancio 2013, mostrando discontinuità con il passato e soprattutto tracciando un solco profondo tra sé e il salotto buono della finanza. Ma non si deve pensare a un Cimbri quasi naif, che non vuole avere a che fare con certe persone.
Siede, infatti, nel consiglio di amministrazione di Rcs, di cui Unipol detiene una quota del 4,89%. Proprio la partita in Rizzoli rappresenta un nuovo capitolo, difficile, nella storia manageriale di Cimbri. A luglio, infatti, il manager ha disertato il cda insieme ad altri consiglieri di peso come Diego Della Valle e Marco Tronchetti Provera per perplessità (eufemismo) verso la gestione dell’affaire Blackstone. Senza, però, pretendere eventuali accantonamenti di bilancio che si sarebbero tradotti in un esborso pro quota per gli azionisti.
È riuscito nel 2019 ad affidare al Banco Popolare dell’Emilia-Romagna quell’Unipol Banca che, fortemente voluta da Consorte, era appesantita da un eccesso di incagli. Poi, nel 2020 ha completato la crescita di Unipol nella compagine azionaria di Bper, di cui oggi detiene il 18,9%. Nel marzo di quest’anno Cimbri ha deciso di cambiare l’amministratore delegato dell’istituto di credito dell’Emilia-Romagna, passando da Alessandro Vandelli al più “navigato” Piero Montani.
Dopodiché, una volta consolidato il proprio perimetro, ha deciso prima di aumentare la propria presenza nel Banco Popolare di Sondrio arrivando al 9,9% del capitale. Quindi, tramite Bper, ha lanciato l’offerta al Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi per rilevare Carige (a un euro), di fatto iniziando le manovre per la creazione del famoso terzo polo. Si tratta del “pallino” di Giuseppe Castagna che teme di finire oggetto degli appetiti di Andrea Orcel. Tra l’altro, Bper è stato anche l’ago della bilancia nell’operazione di fusione (tecnicamente, Opas) con cui Intesa Sanpaolo ha rilevato Ubi, rilevando gli sportelli in esubero di Ca’ de Sass.
Tra l’altro, Cimbri è stato anche spettatore molto interessato di alcune operazioni che hanno stravolto (e stanno stravolgendo) il volto della finanza. Ad esempio, l’ascesa di Leonardo Del Vecchio in Mediobanca. In quel caso Cimbri non esitò a dire, a Repubblica, di essere “perplesso. Dando per scontato che Del Vecchio possiede sicuramente i requisiti patrimoniali e di onorabilità per detenere una quota di tale entità in una banca, mi chiedo quale sia il senso industriale di questa operazione. Dare nuovo impulso a Generali? Ma Delfin è già presente nella compagnia da molti anni e immagino abbia contribuito alle recenti scelte industriali”.
Poi, a proposito del Leone che, con l’acquisto di Cattolica è diventato il primo player nel ramo danni, ha masticato amaro. “Le classifiche di settore non mi hanno mai appassionato particolarmente, soprattutto quando si parla di qualche centesimo di punto di quota di mercato – ha detto Cimbri durante un evento organizzato dal Sole 24 Ore -. Generali era già un nostro competitor così come lo era Allianz, credo che sul mercato non cambierà nulla”.
Ora, se davvero l’attacco incrociato di Francesco Gaetano Caltagirone e Leonardo Del Vecchio dovesse portare alla caduta di Philippe Donnet a Trieste c’è da credere che Cimbri avrà più di un sopracciglio da inarcare. D’altronde, può permettersi di esprimere tutti i giudizi che vuole: porta buoni risultati agli azionisti e continua a essere un ganglio fondamentale del sistema senza farne parte nel senso più deteriore del termine. Mica male, no?