Viaggio nella galassia Del Vecchio, un impero da 30 miliardi

L'ex martinitt ha lasciato il 25% della holding Delfin alla moglie e il 12,5% a ognuno dei sei figli. Ma a comandare sarà Milleri

di Marco Scotti
Marc Zuckerberg e Leonardo del Vecchio
Economia
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Del Vecchio, un impero da 30 miliardi: chi per la successione?

Si può dire che la morte di un uomo di 87 anni sia un evento inatteso? Sicuramente no. Ma si può affermare la successione finanziaria di chi ha saputo costruire un impero da – complessivi – 30 miliardi di dollari, non possa essere evento scontato o, tantomeno, semplice. La Delfin è la holding lussemburghese che conta quasi 11 miliardi di attivi, 254 milioni di liquidità e 4,8 miliardi di capitale e riserve che custodisce le partecipazioni in EssilorLuxottica (32,2%), l’azienda immobiliare Covivio (26%), Mediobanca (19,2%), Generali (9,82%) e Unicredit (1,9%). Una successione tutt'altro che scontata. Intanto, perché la complessità della progenie (sei figli da tre mogli, ognuno titolare di un 12,5% di Delfin) rende davvero compito arduo capire chi dovrà succedergli.

Come amava dire Del Vecchio, i figli non devono entrare in azienda perché un manager, per quanto a caro costo, può sempre essere allontanato, mentre un figlio no. Notevole il ruolo affidato a Nicoletta Zampillo, che detiene il 25% della Delfin e che ha sposato per ben due volte Leonardo Del Vecchio. La prima nel 1997, la seconda nel 2010. Ma attenzione, perché il fatto che sia lei a detenere la quota più alta della holding non significa automaticamente che sarà lei a guidare le sorti della famiglia. Perché quando le venne chiesto se avrebbe preso le redini dell'impero del marito, rispose che il suo ruolo era quello di madre e moglie. Non solo: da statuto, perché vengano prese decisioni importanti serve l'accordo dell'88% delle quote. Un modo per impedire che avvenissero faide e smembramenti delle partecipazioni. 

Dunque che cosa succederà alla Galassia del Paperone di Agordo? Prima di tutto sappiamo per certo che sono tre le persone cui Del Vecchio si rivolgeva con grande fiducia: il super avvocato Sergio Erede, già consigliere di Urbano Cairo nella querelle con Blackstone, che ha aiutato il fondatore di Luxottica a crescre nella finanza, rastrellando azioni di Generali fino ad arrivare a un passo dal 10%. Ma, soprattutto, Erede è lo stratega della scalata di Del Vecchio in Mediobanca, su cui torneremo. Il secondo è uomo su cui il magnate di Agordo fa enorme affidamento è Romolo Bardin, amministratore delegato di Delfin ed ex membro del consiglio di amministrazione di Assicurazioni Generali prima dello strappo di inizio 2022. È lui uno dei tre membri del cda che ha votato contro alla prosecuzione dell’esperienza di Philippe Donnet nel Leone alla riunione informale dei membri non esecutivi del board lo scorso 14 settembre 2021

Chi è Francesco Milleri

Il terzo e ultimo uomo forte è Francesco Milleri, amministratore delegato di EssilorLuxottica. È forse il meno “chiacchierato” tra gli uomini del cerchio magico di Del Vecchio, ma ha molto potere. Prima di tutto, perché è lo stesso ex-martinitt ad averlo “investito” ufficialmente già alla fine del 2017. In un’intervista al Corriere, infatti, il magnate aveva dichiarato che "considerata la mia età, ho espressamente voluto che nel contratto sottoscritto con Essilor, sia Francesco Milleri a sostituirmi nel caso io venissi a mancare". Interessante, per vedere come si viene a creare il rapporto di fiducia tra Del Vecchio e i suoi luogotenenti, la modalità di conoscenza tra i due. Milleri, infatti, aveva una società di consulenza e sviluppo informatici per gli ambienti Sap, ovvero il gestionale più usato al mondo. E Luxottica, nel 2007, si rivolse a lui su indicazione di Del Vecchio.

Dal 2007 al 2014, mentre ad Agordo “regnava” Andrea Guerra, Milleri ebbe modo di conoscere dall’interno che cosa stava succedendo in azienda. Così, quando il manager abbandonò la sua posizione per seguire Renzi dopo la Leopolda, Milleri divenne una sorta di consigliere strategico di Del Vecchio, che lo teneva in grande considerazione. Lo stesso Del Vecchio ha attribuito a Milleri la paternità dell’accordo con Essilor. E quando, dopo un anno di gestione Adil Mehboob-Khan, Del Vecchio tornò al timone, il ruolo di Milleri divenne sempre più significativo. 

Nell'altra pagina: il futuro di Mediobanca e di Generali

Che cosa succederà in Mediobanca e in Generali

Tornando a Mediobanca, l’ex Martinitt è arrivato alla soglia del 20% in accordo con la Bce: investimento finanziario, non strategico. Tradotto: puoi tenere le quote che vuoi ma non puoi entrare direttamente nella governance. Un accordo che Del Vecchio non ha mai molto digerito, abituato com’è a comandare. Pare che negli ultimi mesi ci fosse una trattativa con Francoforte per salire almeno al 25%, magari “appoggiandosi” su una quota significativa di Caltagirone per pesare ancora di più. Niet dall’Eurotower, che aveva ribadito una volta per tutte che era necessario darsi una struttura finanziaria come banca per poter ambire al controllo di Piazzetta Cuccia. Un problema non da poco per chi, avendo la sede delle proprie attività in Lussemburgo, avrebbe dovuto trasferire parte degli asset in Italia. Di più: secondo quanto può riferire Affaritaliani.it, l’unico soggetto titolato a rilevare Mediobanca, dopo il fallimento delle trattative con Mediolanum, sarebbe stato Intesa. Che però al momento ha altri grattacapi e non può certo pensare a un’aggregazione di questo tipo

Ora, con la morte di Del Vecchio, bisogna capire che cosa succederà in Piazzetta Cuccia. Quello che è certo è che Alberto Nagel sentirà allentare la tensione che lo stringe da un po’ e che avrebbe raggiunto il top nel 2023 con il rinnovo del consiglio di amministrazione. 

C’è poi la grande partita di Generali. E qui le visioni tra Francesco Gaetano Caltagirone e Leonardo Del Vecchio divergono. Per il primo, infatti, il desiderio è quello di contare attivamente in una compagnia in cui ha investito circa 3 miliardi. Per Del Vecchio invece, che pure deteneva una quota analoga a quella del costruttore romano, c’era il progetto di un campione dell’assicurazione a livello europeo, capace di contendere la palma ad Allianz, in cui le sue quote sarebbero state più diluite, ma il “peso” della sua partecipazione sarebbe stata molto maggiore

Dopo la lunga e logorante battaglia di Trieste, in cui la lista del consiglio di amministrazione ha alla fine vinto – seppur non con una schiacciante maggioranza – confermando Philippe Donnet per il terzo mandato, bisogna comprendere come verrà portata avanti “l’opposizione”. Caltagirone è uscito dal consiglio di amministrazione da un mese ma ancora non si è riusciti a trovare una quadra. E ora che Del Vecchio è venuto a mancare, bisognerà capire se basteranno Benetton, Fondazione Crt e, appunto, Caltagirone, per fare da controcanto a Donnet e alla maggioranza