Whirlpool, 200mila lavatrici in meno: il rigetto al ricorso dei sindacati

Dal 2016 al 2019 sono state prodotte da un massimo di 402mila unità nel 2016 a un minimo di 245mila. Ciò è stato stimato in una perdita di circa 75 milioni

di Marco Scotti
Economia
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Whirlpool, oltre 200.000 lavatrici prodotte in meno: i giudici napoletani rigettano il ricorso dei sindacati

“Nella fattispecie non si comprende quale sia la prerogativa sindacale che si assume lesa dalla parziale attuazione del piano industriale nella parte qui di interesse”. È il passaggio forse più significativo con cui i giudici di Napoli hanno respinto nella serata di ieri il ricorso dei sindacati contro Whirlpool per comportamento illegittimo. Le parti ricorrenti erano la Fiom, la Fim e la Uilm della provincia partenopea, che chiedevano l’immediato blocco dei licenziamenti e delle procedure di mobilità perché illegittime. Ma il tribunale ha scelto di non accogliere l’istanza dei sindacati.

Al momento, la multinazionale americana ha scelto di non commentare. Ma secondo quanto può riferire Affaritaliani.it ci sono diversi numeri che spiegano il motivo per cui i giudici hanno scelto di non dare ragione ai sindacati. Numeri che, ovviamente, sembrano invece legittimare quanto fatto da Whirlpool. Nel periodo compreso tra il 2009 e il 2019, l’azienda americana ha investito complessivamente 107 milioni di euro nel sito di Napoli, uno dei pilastri su cui si reggeva il piano industriale realizzato all’indomani dell’acquisizione di Indesit nel 2015.

Perché avesse una sostenibilità industriale, il sito di Napoli poteva funzionare solo se produceva 660mila lavatrici di alto di gamma all’anno. Per alto di gamma si intendono elettrodomestici con un costo superiore ai 649 euro. Ebbene, secondo quanto può riferire Affaritaliani.it, dal 2016 al 2019 si sono prodotti da un massimo di 402mila lavatrici nel 2016 a un minimo di 245mila. Questo si è quindi tradotto in una perdita complessiva di circa 75 milioni di euro.

Per questo motivo, già nel 2019 Whirlpool ha convocato i sindacati per dichiarare la non sostenibilità del sito napoletano. I sindacati, dal canto loro, hanno lamentato che nel triennio 2018-2020 non fossero stati investiti ulteriori 10 milioni di euro e che, per questo, Whirlpool sarebbe venuta meno agli accordi presi in precedenza. La multinazionale americana – e la sentenza sembrerebbe darle ragione – ha però argomentato che non solo quegli investimenti non erano più dovuti, ma che Whirlpool stessa si era prodotta per trovare nuovi partner.

“Inoltre – si legge ancora nella sentenza - risulta che la società, al fine di mantenere i livelli occupazionali si sia attivata nell’agosto del 2019 nel ricercare soluzioni, coinvolgendo le OO.SS., mediante la cessione del ramo di azienda anche con la riconversione aziendale. L’essersi adeguata poi, al diniego manifestato dai lavoratori e dai sindacati, di certo evidenzia la correttezza delle relazioni sindacali ed il peso che le Sigle ricorrenti hanno avuto nelle trattative. Deve pertanto ritenersi che non sia espressione di antisindacalità il comportamento avuto dalla resistente, che non ha proseguito sin dal maggio del 2019 negli investimenti, così come previsto dal piano, e che ha cessato l’attività produttiva nel sito dal primo novembre 2020”.

Sempre i giudici hanno potuto provare che dal maggio 2019, cioè da quando si è aperta la vertenza tra Whirlpool e i sindacati, ci sono stati almeno 27 incontri formali, dando vita a una delle più importanti partite di politica industriale degli ultimi decenni.

“Bisogna che qualcuno faccia presente a chi amministra la cosa pubblica – spiega ad Affari Raffaele Bonanni, già segretario generale della Cisl – che non deve passare il messaggio di un Meridione in cui si sta smobilitando. Urge intervenire per mantenere alta l’attenzione al mondo del lavoro in una zona che di lavoro ne ha già poco. Il sindacato ha sbagliato perché è caduto nella trappola del ‘mi gioco tutto’ invece che trattare. Ora mi aspetto che il governo intervenga in maniera attiva per mantenere il Sud attrattivo agli occhi di altre aziende che eventualmente vorranno investire”.

E ora? L’azienda mantiene fermo il punto: all’inizio della procedura gli operai coinvolti dalla chiusura del sito erano circa 450, oggi sono diventati 321 perché 129 hanno accettato scivoli e procedure di uscite. Oggi l’offerta è di 85mila euro per chi accetta l’esodo volontario oppure il trasferimento a Biandronno, in provincia di Varese. E se all’inizio della procedura sembrava che il diniego ai trasferimenti fosse totale e trasversale, oggi sembra che qualcosa stia iniziando a muoversi.

“Da troppo tempo – commenta con Affaritaliani.it Marco Bentivogli, coordinatore e co-fondatore di Base Italia - nel paese i piani di reindustrializzazione restano sulla carta. Questa vertenza è nata dall'errore dell'azienda di sbagliare il piano industriale su Napoli puntando su un prodotto con scarsa profondità commerciale. Il colpo di grazia sono state le promesse dei politici che hanno venduto soluzioni industriali o continuità occupazionale che poi non hanno garantito. Dire la verità ai lavoratori è la precondizione per costruire su elementi di certezza per il loro futuro. Chiudere un'azienda nel sud del paese è doppiamente grave. Whirlpool si responsabilizzi per una soluzione vera e di lavoro”.