Zegna, Casualisation e rischio Cina: sfide del brand che ha convinto il Nyse

Ce la farà il gruppo a portare entro 2 anni al 53% delle revenue il peso delle vendite dei capi destinati alle nuove generazioni? Il rischio geopolitico cinese

di Marco Scotti
Gildo Zenga 
Economia
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I rischi per il business e i target di Zegna

Esordio positivo per Zegna alla Borsa di New York: a fine giornata il titolo è balzato del 5,92% rispetto al prezzo di collocamento chiudendo la prima seduta della sua storia a quota 10,74 dollari per azione. Il brand italiano è approdato con una valutazione di mercato di 2,4 miliardi di dollari. Tanti o pochi? Nel documento prodotto dall’azienda stessa a settembre di quest’anno si stimano per il 2021 1,2 miliardi di fatturato, divisi tra lo storico marchio e Thom Browne. Nei giorni scorsi l’edizione americana di Vogue raccontava che, a causa della “bassa domanda per le azioni”, la quotazione di mercato prevista sia stata cancellata di circa 100 milioni di dollari.

“La valutazione – si legge ancora nella rivista simbolo della moda mondiale – ha raggiunto i 2,4 miliardi in quanto gli investitori Spac hanno mostrato di non avere interesse nella fusione combinata e hanno invece optato per l’uscita invece che rilevare quote della nuova società”. I rimborsi di massa sono comuni, con l'esodo medio degli investitori pari a oltre la metà delle azioni offerte.

Per Zegna era del 58%. Tuttavia, un accordo di backstop ha impedito l’esodo, con investitori istituzionali esterni che hanno accettato di acquistare fino a 125 milioni di dollari in azioni cedute dai sottoscrittori della Spac. Al termine della fusione, Zegna mantiene il controllo di maggioranza, con il 66%, Investindustrial ha il 13% e il restante 21 è il flottante. Poco dopo la campanella del Nyse, suonata dallo stesso Ceo Gildo Zegna, in una giornata complessa per i mercati, le azioni stanno guadagnando il 9% rispetto al prezzo d’esordio.

Si vedrà se è solo l’entusiasmo dei primi momenti o se invece il listino americano dimostra di prezzare particolarmente l’azienda italiana. Qualche criticità, però, c’è: prima di tutto, la dipendenza dal mercato cinese. Il report realizzato dall’azienda stessa a settembre di quest’anno fa derivare dalla Cina (incluso Hong Kong) il 51% dei ricavi, mentre un quarto arriva dall’area Emea e il restante 24% dalle Americhe e dall’Asia Pacifico. 

Se le tensioni geopolitiche dovessero mantenersi elevate anche nei mesi a venire, potrebbe essere rischioso avere una quota così significativa del fatturato che dipende dalla Cina. Certo, sui circa 290 miliardi di giro d’affari complessivi della moda-lusso, il 23-25% oggi viene realizzato a Pechino e nel 2025 potrebbe arrivare addirittura al 46-48%. Ma questo a valori costanti. Che cosa succederebbe se la tensione crescente tra mondo occidentale e Cina continuasse ad aumentare?

Un’altra scommessa da verificare riguarda l’impronta che il gruppo Zegna vuole dare alla moda. Finora, infatti, l’azienda è stata sinonimo di un fashion classico, con materie prime molto ricche e abiti sartoriali di gusto tradizionale. Ora invece si vuole scommettere su un accresciuto peso delle nuove generazioni che sono alla ricerca di prodotti di altissima qualità ma di gusto meno ingessato. 

(Segue: la "Casualisation"...)


Zegna la chiama “Casualisation” e dovrà rappresentare fino al 53% delle revenue entro il 2023, mentre la moda più classica, chiamata “formalwear”, non potrà valere più del 27%. La scommessa è notevole, tant’è che nel documento presentato a settembre si ritiene che le sneaker vendute potrebbero passare da 14.800 nel 2018 a 52.500 alla fine di quest’anno, con un Cagr medio dell’88%.

A riprova dell’esigenza di una maggiore targetizzazione verso i giovani, il marchio Thom Browne ha disegnato le divise delle squadre dei Cleveland Cavaliers (basket Nba) e del Barcelona (calcio). Ha anche vestito Lebron James, Cardi B e Kristen Stewart oltre a fenomeni cinesi come Liu Wen e Xiao Wen Ju. 

Le previsioni di bilancio parlano chiaro: se il progetto andrà in porto, i ricavi del gruppo passeranno dai 1,207 miliardi previsti per quest’anno ai 1,427 stimati per il 2023, con un Cagr dell’11%. Anche la marginalità dovrebbe aumentare in maniera significativa: dai 111 milioni di quest’anno ai 173 del 2023. Un’idea ambiziosa che, almeno nel primo giorno di contrattazioni, sembra aver convinto gli investitori.