Beetlejuice Beetlejuice: Perché il sequel di Tim Burton non convince completamente

Scopri la recensione di Beetlejuice Beetlejuice, il tanto atteso film al cinema diretto da Tim Burton. Michael Keaton torna nel ruolo iconico, ma la magia dell'originale è ancora presente?

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Cinema

A quasi 40 anni di distanza dall’iconico Beetlejuice, Tim Burton torna con il tanto atteso Beetlejuice Beetlejuice. Nonostante l’euforia dei fan per il ritorno del fantasma più irriverente del cinema, la magia del film originale si dissolve tra le dita come sabbia: Burton ci offre un’abbondanza di stramberie, ma non riesce a risvegliare completamente lo spirito anarchico che rese il primo capitolo un cult. Con un cast stellare, tra cui Michael Keaton, Winona Ryder e Jenna Ortega, il film fa divertire, ma manca della freschezza e dell’imprevedibilità che una volta definivano il regista.

L’Impatto di un ritorno aspettato e temuto

Il ritorno di Michael Keaton nei panni di Beetlejuice è probabilmente l’elemento più atteso del film. Keaton, ormai 73enne, riprende il ruolo con la stessa energia folle, ma con un tocco di stanchezza che rispecchia forse la fatica di un’industria che tende a riproporre il passato invece di innovare. Se nel 1988 il suo Beetlejuice incarnava la ribellione pura, ora appare più controllato, meno esplosivo. Il suo ritorno è scenograficamente divertente, ma manca della scintilla originale.

Un elemento interessante, e poco discusso, è l’uso che Burton fa del concetto di legacy, non solo nel rapporto tra Beetlejuice e Lydia, ma nel legame tra Lydia e sua figlia Astrid (interpretata da Jenna Ortega). Astrid, una giovane disillusa con una totale indifferenza verso il mondo soprannaturale, rappresenta la nuova generazione. È una critica velata alla perdita di curiosità che caratterizza il mondo moderno, un riflesso del modo in cui le nuove generazioni potrebbero percepire oggi lo straordinario. Questa dinamica madre-figlia diventa la linfa vitale del film, eppure non viene approfondita come potrebbe, lasciando spazio a sub-plot superflui.

Le tinte gotiche si affievoliscono

Visivamente, il mondo di Burton è ancora una gioia per gli occhi. I colori gotici e iper-stilizzati del film originale fanno il loro ritorno, ma senza l’innovazione che caratterizzava l’epoca. Con effetti visivi che combinano il classico stop-motion con la CGI moderna, Burton riesce a mantenere il suo stile peculiare, ma il risultato appare meno sorprendente rispetto al passato. Dove il primo film sfidava i limiti tecnici, Beetlejuice Beetlejuice sembra piuttosto conformarsi agli standard moderni, perdendo in parte quel fascino artigianale che aveva affascinato il pubblico.

Uno degli aspetti più freschi, però, è la scelta di includere Jenna Ortega, reduce dal successo della serie Wednesday. La sua performance è una delle più convincenti del film: Ortega incarna perfettamente l’adolescente disincantata che contrasta con il mondo sovrannaturale in cui si trova intrappolata. La sua chimica con Keaton e Ryder è palpabile e rappresenta una delle poche vere evoluzioni nel film rispetto al passato.

Nostalgia: Benedizione o maledizione?

Il più grande dilemma di Beetlejuice Beetlejuice risiede nella sua relazione con la nostalgia. Se da un lato è innegabile che rivedere Ryder e Keaton insieme sullo schermo susciti emozioni forti, dall’altro il film fatica a trovare una sua identità. Non si tratta solo di un ritorno di vecchi personaggi, ma di un ritorno a dinamiche e tematiche che, forse, avrebbero dovuto rimanere nel passato.

Inoltre, il film cerca di bilanciare l'umorismo bizzarro con momenti emotivi, soprattutto attraverso la relazione madre-figlia tra Lydia e Astrid. Tuttavia, questo aspetto si perde tra le molte sottotrame, che includono antagonisti non del tutto sviluppati, come il personaggio interpretato da Monica Bellucci, che appare più come una caricatura che come una figura realmente minacciosa. In questo senso, Beetlejuice Beetlejuice soffre della tendenza di molti sequel moderni: l’aggiunta di elementi nuovi per il solo gusto di riempire la trama, senza un reale scopo narrativo.

Tim Burton: genio non sempre imbrigliato

Ciò che è chiaro è che Burton rimane un maestro della messa in scena. Le sue capacità visive non sono mai state in discussione e Beetlejuice Beetlejuice è pieno di momenti che catturano l’occhio, da scene con animazioni a passo uno ai set che richiamano l’estetica dark dei primi lavori del regista. Tuttavia, come regista, Burton sembra soffrire di un eccesso di fiducia nella formula che l’ha reso famoso, dimenticando che il primo Beetlejuice funzionava proprio perché sfidava le aspettative, mentre questo sequel sembra soddisfarle troppo.

Un'aggiunta unica, e poco esplorata, è la riflessione sulla mortalità che permea il film. La vita dopo la morte, nel mondo di Burton, non è una condanna, ma un’estensione della follia terrena. Il film si interroga implicitamente su cosa significhi invecchiare, cosa significhi per i suoi personaggi (e forse per Burton stesso) dover affrontare il passare del tempo. Se Beetlejuice è rimasto identico, il mondo intorno a lui è cambiato, e forse non ha più lo stesso spazio per l’irriverenza di un tempo.

Conclusione: Un ritorno dolorosamente divertente

Beetlejuice Beetlejuice è un film che ti farà ridere, ti trasporterà in un mondo di follia, ma ti lascerà anche con la sensazione che Burton abbia perso un po' di quel tocco magico che aveva una volta. Se sei un fan del regista o dell’originale, troverai momenti di puro piacere, ma non sarà sufficiente per scrollarsi di dosso l’impressione che questo sequel sia un tentativo di riportare in vita qualcosa che dovrebbe rimanere, almeno in parte, nella sua tomba cinematografica.