Grande Fratello Vip, caso "Faccetta nera". Ma non c’è alcun reato perché...
Canta “Faccetta nera” al Grande Fratello Vip, scoppia il caso ma è una pataccata di serie B. Anche il trash ha una dignità
“Faccetta nera” al GFV. Come le formule del politicamente corretto e della cancellazione della cultura hanno dato forma a una tale idiozia consumistica da trasformare dei poser (gente attenta a mettersi tutto il giorno in posa) in produttori di contenuti
“Faccetta nera, bell’abissina...”, il ritorno di un grande classico della polemica italica. Canticchiata in zona trucco prima della diretta nella Casa del Grande Fratello Vip, in onda sulle reti Mediaset, metterebbe a rischio gli spettatori italiani. Che abbiano votato in massa Meloni grazie a momenti culturali di tale fattezza!? Per i giornali di sinistra è andata proprio così (sic!).
Secondo alcuni telespettatori, la colpevole del canto sarebbe l’influencer Micol Incorvaia, per altri non è stata lei. Molti chiedono la sospensione della ragazza per apologia del fascismo, avrebbe commesso un reato. “Chiediamo la squalifica per Micol Incorvaia che canta Faccetta Nera, un Inno al Fascismo, la piú brutta Pagina della storia Italiana. Un bruttissimo messaggio per milioni di Telespettatori. Ricordiamo che in Italia l´apologia di Fascismo é REATO”, scrive (con i caratteri in grande come li vedete) uno fra i tanti su Twitter. La vicenda finisce anche sulle pagine di alcune testate giornalistiche nazionali che si chiedono perché la ragazza non venga sanzionata dalla tv privata. Prova o meno che ne sia l’autrice, la ragazza “rischia la squalifica”, scrivono in una sorta di gogna mediatica.
Ma al di là di chi abbia canticchiato la marcetta e di chi ha la passione per questo genere di programmi tv, la realtà andrebbe almeno messa in connessione con se stessa. Ciò che è deteriore, grottesco e volgare ha comunque un suo stile narrativo, estetico e un valore.
Il trash solitamente urta il gusto dell’ascoltatore e del lettore. Ma in questo genere di intrattenimento anche il trash viene offeso. L’assenza di un pur minimo canone espressivo e la riproduzione in tv della società piatta, serializzata e omologata in cui ci tocca vivere non fanno dell’oggetto un’entità narrativa. E’ solo la realtà sociale lesa e diffusa che rappresenta se stessa, soprattutto a danno di chi la realizza. A confronto il sottoproletariato meschino e analfabeta di un Pier Paolo Pasolini apparirebbe oggi come un consesso di professori di Cambrige in meditazione permanente. La verità è che le formule del politicamente corretto e della cancellazione della cultura hanno dato forma a una tale idiozia consumistica da trasformare dei poser (gente attenta a mettersi tutto il giorno in posa) in produttori di contenuti.
E comunque una cosa è il trash (in cui si può comunque vedere un valore positivo) un’altra i discorsi etici e legali.
L’apologia del fascismo è un reato punito dalla legge Scelba, approvata nel 1952 e che vieta la riorganizzazione del partito fascista. Anche la legge Mancino del 1993, che punisce i reati di odio e discriminazione razziale ed esplicitamente l’“esaltazione di esponenti, principi, fatti o metodi del fascismo” si muove sulla stessa onda. Che vi sia propaganda, esaltazione o atti emulativi entrambe le leggi, così come le sentenze sul tema, sanzionano chi costituisce associazioni, movimenti o gruppi che conducano alla costituzione del partito fascista o di organizzazioni simili. Anche chi esercita una tale “esaltazione” in modo “da potere condurre alla riorganizzazione del partito fascista”. Ma come possa realizzare tale proposito un programma come Il Grande Fratello Vip (anche il trash ha la sua dignità, ripeto) o un suo concorrente è difficile comprenderlo. Lo stesso “saluto romano”, quando non è un’azione finalizzata alla costituzione di una tale organizzazione non può essere sanzionato, lo scrivono numerose sentenze così come le norme già citate. Questo non per rendere accettabile una cultura e dei gesti ma per evitare di sanzionare moti comportamentali che non presuppongono azioni di fatto e conseguenze inevitabili.
In più va ricordato che per quanto la canzone ricordi un’epoca italiana negativa, come quella coloniale, questa era invisa al regime fascista e a Benito Mussolini in persona che cercò più volte di censurarla.
Per Mussolini “Faccetta nera”, portata al successo nel Ventennio dal cantante Carlo Buti, era troppo meticcia: inneggiava all’unione tra “razze” e questo era inconcepibile nella sua Italia.
E senza nulla togliere al dolore, le ingiustizie e le brutali sopraffazioni subite da chi è stato vittima delle colonie italiane, le stagi e le rovine fatte da Roma in Africa in un lasso di tempo limitato del secolo scorso (azioni prima dei governi liberali e poi di quello fascista) sono una briciola informe rispetto a centinaia di anni di stragi e sopraffazioni perpetrati in tutto il mondo da francesi e inglesi, di cui si consacrano ogni giorno la gloria imperiale, vedi l’esaltazione della Corona britannica.
Anche il disgusto ha una sua forza e valenza. Qui siamo lontani anni luce anche da questo.
Non scambiamo i venditori di marchi e l’intrattenimento seriale in una produzione di contenuti in grado di condizionare alcunché, tanto meno indirizzare i valori e le idee della gente.