Esce "Il manifesto del lavoro": l'estratto in anteprima su affaritaliani.it

Leggi il capitolo "Democratizzare l’impresa", di Hélène Landemore, solo su affaritaliani.it

Donne e lavoro
Economia
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"Democratizzare l'impresa": l'estratto de "Il manifesto del lavoro" è solo su affaritaliani.it

 

"Il manifesto del lavoro" (Castelvecchi editore), a cura di Isabelle Ferreras, Julie Battilana, Dominique Méda, sarà presentato nel corso di una tavola rotonda mercoledì 6 luglio, alle ore 18.00, presso Palazzo Wedekind - Sala Angiolillo (Piazza Colonna, 366 - Roma). Dopo i saluti del Presidente dell’INPS Pasquale Tridico, interverranno Marina Calloni (Università degli studi di Milano Bicocca), Stefano Fassina (LeU), Maurizio Landini (Segretario Generale CGIL ), Andrea Orlando (Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali). Modera Laura Pennacchi (economista e politica). Affaritaliani.it ne pubblica in esclusiva un estratto: il capitolo "Democratizzare l’impresa", di Hélène Landemore.

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Leggi l'estratto "Democratizzare l'impresa":

 

Democratizzare il lavoro significa riconoscere la natura politica di qualsiasi organizzazione e/o relazione umana in cui si esercitano rapporti di potere e, in particolare, di quei soggetti per cui molti di noi lavorano (grandi imprese, università, ospedali…) e che sono meglio descritti, nel sistema attuale, come «soggetti politici» in mano a «governi privati» , controllati da ristrette oligarchie, generalmente composte da azioniste/i. Democratizzare il lavoro significa dare voce a tutte/i coloro che, in un’organizzazione, economica o meno, danno un contributo all’impresa comune con il loro «investimento in lavoro», come teorizza Isabelle Ferreras, ossia la partecipazione diretta alla produzione di beni o servizi, ma anche con contributi più intangibili per l’esistenza della comunità umana, ma essenziali per questa impresa comune, in particolare nella cura degli altri. In termini concreti, democratizzare il lavoro significa dare alle/ai lavoratrici/tori il potere decisionale, includendole/i anche ai più alti livelli, per esempio nei consigli di amministrazione. Oggi, a parte Germania, Paesi Bassi, Paesi scandinavi e alcuni altri Paesi europei, dove è previsto un livello minimo di partecipazione delle/dei dipendenti , e naturalmente il caso molto minoritario
delle cooperative di produttrici/tori, questi consigli di amministrazione non includono rappresentanti delle/dei lavoratrici/tori. Democratizzare il lavoro significa quindi, per imprese e organizzazioni simili, aprire la porta delle stanze del potere alle/ai lavoratrici/tori o alle/ai loro legittime/i rappresentanti (a rigor di logica elette/i, ma si possono anche prevedere altre modalità di selezione come il sorteggio). Per lo Stato significa dare incentivi fiscali alla creazione di cooperative o imprese che assumano una forma giuridica che traduce a livello istituzionale questi princìpi di condivisione del potere. Perché democratizzare il lavoro?

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Esistono ragioni intrinseche che depongono a favore della democratizzazione del lavoro: sono relative alla dignità umana delle/dei lavoratrici/tori, che non sono semplici “risorse”, e nemmeno “capitale” o “stock” umano, come si sente dire a volte, ma esseri umani a pieno titolo. In quanto tali meritano il rispetto della loro autonomia sia come lavoratrici/tori sia come cittadine/i. Senza necessariamente arrivare a dire che tutto il lavoro salariato rappresenta una forma di alienazione e persino di schiavitù, si può difendere l’idea che non ci dovrebbe essere “produzione” – di beni o servizi – senza una qualche forma di “rappresentanza” nelle decisioni relative all’organizzazione in cui si inserisce questa produzione. Ci sono anche ragioni strumentali a favore della democratizzazione del lavoro.

Possiamo aspettarci una maggiore intelligenza collettiva e quindi una migliore qualità del processo decisionale per l’organizzazione in questione. Dato che ci si sente investite/i di una responsabilità diversa dalla protezione del proprio posto di lavoro, le/i lavoratrici/tori in un’organizzazione democratizzata sono meno disposte/i a nascondere informazioni e a ridurre al minimo i propri sforzi. Inoltre, per la maggiore varietà delle informazioni, delle opinioni e delle competenze considerate a tutti i livelli della gerarchia, soprattutto ai vertici, il processo decisionale può solo migliorare, sebbene possa anche diventare più conflittuale e dispendioso in termini di tempo. Ciò che è vero per un’organizzazione lo è anche a rigor di logica per un semplice rapporto datrice/tore di lavoro-dipendente. Un’addetta alle pulizie o un giardiniere rispettata/o nella propria autonomia di essere umano farà probabilmente un lavoro migliore di chi è sottoposto a ordini rigorosi che la/lo privano d’iniziativa e le/gli impediscono di esprimersi con libertà. Decisioni migliori significano, prima di tutto, una performance economica che sia almeno pari, se non migliore, a quella delle organizzazioni non democratiche. È risaputo che le cooperative, gestite da rappresentanti delle/dei lavoratrici/tori, non sono per forza meno competitive a livello economico delle imprese convenzionali, al contrario. Decisioni migliori portano a prestazioni superiori basate su criteri meno limitati e tuttavia essenziali per la soddisfazione delle/dei lavoratrici/tori, che a sua volta influisce sulle prestazioni e sulla resilienza dell’organizzazione o della relazione. Esempi di questi effetti benefici della democratizzazione del lavoro includono:

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1. Minore disuguaglianza salariale e ingiustizia distributiva nelle imprese
Allo stato attuale, nelle imprese non democratiche degli Stati Uniti, la differenza tra la retribuzione al vertice e quella alla metà della scala salariale è in media da 1 a 281 (nel 2017). In altre parole, la/il CEO mediamente è pagata/o 281 volte di più della/del lavoratrice/tore tipo. In un’impresa democratizzata, tali differenze sarebbero ridotte e scomparirebbero gli stipendi così alti da diventare scandalosi (595 milioni di euro per Elon Musk nel 2019!) o così bassi che consentono a malapena di vivere. Nella cooperativa Mondragon in Spagna, la differenza salariale tra il più basso e il più alto è di 1 a 6. Il salario minimo alla Costco, la catena di distribuzione che opera in base al principio del club-magazzino è di 20 dollari l’ora contro i 10 dollari della Walmart, leader nella grande distribuzione. Le organizzazioni governate in modo più democratico renderebbero inoltre altamente improbabile la prassi dei membri del consiglio di amministrazione o di alte/i dirigenti di arrogarsi, anche in tempi di crisi, stipendi altissimi e paracadute d’oro che non hanno alcuna correlazione con il loro contributo reale alla performance dell’impresa, mentre gli stipendi e i bonus delle/degli altre/i dipendenti ristagnano e vengono tagliati alla minima scusa. In effetti, queste decisioni sarebbero impossibili da giustificare di fronte a tutte/i le/i lavoratrici/tori.

2. Meno prevaricazione e discriminazione sul lavoro
Democratizzare il lavoro significa, di per sé, ridurre al minimo le possibilità di prevaricazione rendendo la gerarchia responsabile nei confronti delle/dei lavoratrici/tori. In particolare, questo permetterebbe di prestare maggiore attenzione a episodi di discriminazione nei confronti delle donne e delle minoranze. Dopo la Guerra Civile, negli Stati Uniti la cooperativa ha permesso alla comunità nera di sopravvivere economicamente e moralmente, anche nei momenti peggiori della storia americana, compreso il periodo di terrore imposto dalle leggi “Jim Crow” e dalla Grande Depressione degli anni Trenta del Novecento. Donne, persone di colore, disabili sono in larga misura sottorappresentati nelle posizioni apicali e nei consigli di amministrazione. Democratizzare il lavoro significherebbe concedere ai gruppi in fondo alla gerarchia – spesso donne e persone di colore, più esposti e quindi più soggetti a discriminazione e abuso di potere – un’opportunità di vedere i propri problemi (per esempio molestie morali o sessuali) presi in considerazione a più alto livello, anche da parte di loro simili con la stessa esperienza di vita e di lavoro. Questo sarà tanto più vero quanto più la rappresentanza democratica avverrà con sorteggio, piuttosto che con elezione di candidate/i che tende a rispecchiare egemonie di ogni genere.

3. Giustizia sociale e resilienza nella gestione delle crisi economiche
In un’organizzazione democratica, i compromessi sono di diversa qualità. Durante la crisi del 2008, la cooperativa Mondragon si è vista costretta a chiudere una delle sue fabbriche di prodotti di largo consumo, la Fagor. Prima di prendere questa decisione, ha ridistribuito l’orario di lavoro, abbassato i salari a tutte/i per mantenere il maggior numero possibile di dipendenti. Alla fine, quando è stata presa la decisione economica, il gruppo cooperativo Mondragon ha cercato di accompagnare verso nuovi impieghi coloro che non potevano rimanere offrendo una garanzia di occupazione interna in altre imprese del gruppo e offrendo loro un sussidio di disoccupazione sostanzioso fino a quando non fosse stata trovata una buona soluzione di riqualificazione.

4. Cura dell’ambiente e della salute pubblica
Allo stesso modo, si può prevedere che le organizzazioni democratiche risponderebbero in modo diverso ai problemi ambientali. Si consideri la differenza tra la scelta che le/i rappresentanti delle/degli azioniste/i e le/i rappresentanti delle/dei lavoratrici/tori dovrebbero fare se si trovassero di fronte alla seguente alternativa: utilizzare una nuova tecnologia inquinante per fare maggiori profitti, oppure rinunciare a questa tecnologia per proteggere l’ambiente e la salute della popolazione locale. Di solito, né le/ gli azioniste/i né le/i loro rappresentanti vivono vicino al sito della fabbrica. Possono permettersi di vivere altrove, in luoghi protetti dalle conseguenze delle loro decisioni. Per contro, le/i lavoratrici/ tori ci penseranno due volte prima di imporre a se stesse/i e alla loro comunità costi ambientali e sanitari significativi. In generale, è sorprendente vedere come la consapevolezza del cambiamento climatico da parte dell’attuale governance d’impresa sia prima di tutto il risultato della pressione delle/dei dipendenti, nonché delle manifestazioni di attiviste/i esterne/i all’impresa e dell’opinione pubblica, piuttosto che delle/degli azioniste/i.

Infine, dare voce agli individui nelle organizzazioni e relazioni in cui trascorrono gran parte del loro tempo significa anche rafforzare la voce che dovrebbero avere, ma spesso esercitano poco, nella sfera civica e pubblica. L’ipotesi sostenuta da molte/i autrici/tori, tra cui John Stuart Mill, W.E.B. Du Bois, John Dewey, Carole Pateman, che per avere cittadine/i impegnate/i è necessario, a monte, avere famiglie, comunità e imprese che promuovono i valori democratici di partecipazione e uguaglianza, è confermata dai dati empirici disponibili. Le attività politiche in cui le/i lavoratrici/tori si impegnano nell’ambito delle cooperative sviluppano il loro gusto e il loro talento per la cosa politica al di fuori dell’impresa. Lavoratrici/tori che sono abituate/i alla trasparenza e alla responsabilità sul lavoro arrivano a sostenere questi valori nell’ambito politico. In definitiva, quindi, democratizzare il lavoro significa anche rafforzare la democrazia politica. Quest’ultima può così, in un circolo virtuoso, mediante leggi e politiche pertinenti (per esempio, un salario minimo per tutte/i), come pure tramite accordi e trattati internazionali, assicurare i diritti di tutte/i le/i lavoratrici/tori, comprese/i le/i più vulnerabili. Democratizzare il lavoro non risolverà tutto e la questione delle/dei lavoratrici/tori dell’economia “dei lavoretti” e dell’economia informale dovrà essere oggetto di adeguate riflessioni e di misure complementari. Ma questo rappresenterebbe un notevole miglioramento rispetto allo status quo per centinaia di milioni di lavoratrici/tori in tutto il pianeta.

Estratto da Democratizzare l’impresa di Hélène Landemore in Il manifesto del lavoro a cura di Isabelle
Ferreras, Julie Battilana, Dominique Méda, Castelvecchi editore.
© Éditions du Seuil, 2020. Per gentile concessione di Castelvecchi editore/Lit Edizioni 2022