Afghanistan: Biden paga il prezzo delle sue incertezze, nonostante i dossier

Fin da quando era il vice di Obama spingeva per il ritiro, ma la missione è proseguita e i drammatici avvertimenti dell'intelligence sono rimasti nel cassetto

Di Lorenzo Zacchetti
lapresse
Esteri
Condividi su:

Il tracollo in Afghanistan è maturato sotto quattro Presidenti americani, ma a pagarne il prezzo in termini di popolarità è certamente Joe Biden, che pure era stato il primo a parlare della necessità di chiudere la missione. Ecco quali sono gli errori e le incertezze che la stampa non intende perdonargli

Nemmeno il più accanito sostenitore di Joe Biden potrebbe negare che il fallimento in Afghanistan rappresenti un disastro per l’immagine del 46° Presidente degli Stati Uniti. Eppure fin da quando era il vice di Barack Obama proprio Biden era il più convinto assertore della necessità di abbandonare al più presto della missione. Ma stiamo parlando di dieci anni fa e il fatto che invece si sia proseguito su un binario cieco, fino al drammatico epilogo delle ultime ore, non è certo un attenuante, bensì un'aggravante.

Benché Biden spingesse dall'interno per il ritiro della missione, questa invece è stata portata avanti da ben quattro inquilini della Casa Bianca, lui compreso. Nemmeno il fatto che sarà anche l’ultimo ad occuparsi del tema può essere portato a sua discolpa, anzi.

Biden è sempre stato convinto che il progetto di esportare la democrazia attraverso l’operazione “Enduring freedom” fosse destinato al fallimento, non essendoci le condizioni per costruire uno Stato di diritto. Anzi, la presenza degli occidentali non ha fatto che coalizzare il variegato quadro delle popolazioni presenti in Afghanistan contro il nemico comune, l’esatto contrario di quel divide et impera che da alcuni secoli ispira le scelte dei politici più accorti.

Il pessimismo di Biden sull’operazione afghana si basava su una serie di elementi molto concreti che oggi sono anche evidenti a tutti, ma che già due anni fa erano stati rivelati da una brillante inchiesta del Washington Post: la pubblicazione dei cosiddetti “Afghanistan Papers” aveva reso noto che erano in molti nel governo americano a considerare impossibile un felice esito della missione e anche la versione edulcorata che veniva raccontata al popolo americano. “At war with truth” (In guerra con la verità) fu l’efficace titolo che accompagnò la pubblicazione del dossier.

Biden evidentemente non fu molto efficace nel convincere Obama, che addirittura intensificò la presenza dei militari americani. Poi venne Donald Trump, che pur ipotizzando il ritiro finì col perdersi nelle negoziazioni con i talebani e oggi il conto viene presentato a Biden, che peraltro non è esente da colpe.

Oltre a non aver pianificato una exit strategy per quella che sapeva essere l'unica fine possibile della missione, il Presidente l’ha sparata veramente grossa quando, solo poche settimane fa, escludeva la possibilità che i talebani riconquistassero il potere.

Un clamoroso errore di valutazione? Sì, ma secondo il New York Times si tratta addirittura di qualcosa di peggio, in quanto, scrive il prestigioso quotidiano, Biden già allora era in possesso di un più aggiornato dossier dell’intelligence che prevedeva la disfatta. Il Wasinghton Post oggi torna alla carica parlando di “una débacle della specie peggiore: quella che si poteva evitare". Sempre sulle sue pagine si registra l’unico intervento favorevole a Biden: quello dell’esperto di geopolitica Fareed Zakaria, il quale sostiene che gli americani hanno fatto bene ad uscire da una situazione molto meno stabile di quella che veniva raccontata al popolo.

Ma, proprio perché era stato lui il primo a capirlo, oggi Biden vede la sua immagine fortemente compromessa e il suo discorso sulla necessità di "interrompere la morte di soldati USA per l'Afghanistan" sembra davvero una toppa poco coprente. E oltretutto rammendata fuori tempo massimo, con oltre 2.300 soldati americani morti nella missione e altri 19.650 feriti in azione.