Afghanistan: Conte e il dialogo coi talebani? Lo fanno da anni anche gli Usa

No, il regime non ha mostrato di essere "distensivo" come dice il leader del M5s: ma la sua linea è l'unica per provare a incidere sul nascente emirato

di Lorenzo Lamperti
Esteri
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29 febbraio 2020. Stati Uniti e talebani firmano il cosiddetto "Accordo per portare la pace in Afghanistan". Tra le altre cose, Washington si impegna ad avere "buone relazioni" con i talebani e con "il governo che nascerà dopo i vostri negoziati". Negli scorsi mesi, dopo un lungo e delicato processo di dialogo durato almeno otto anni, gli Usa danno seguito agli accordi con i seguaci del Mullah Omar e iniziano il ritiro dall'Afghanistan. Parole chiave: Stati Uniti, talebani, dialogo, accordo. 

AFGHANISTAN, CONTE APRE AL DIALOGO COI TALEBANI

"Dobbiamo coltivare un serrato dialogo con il nuovo regime che appare, almeno a parole, su un atteggiamento abbastanza distensivo". Poi: "L’unica possibilità che abbiamo per non distruggere il lavoro di venti anni è assolutamente mantenere un dialogo serrato e costante con il nuovo Emirato e far capire loro che da soli non possono andare da nessuna parte: hanno bisogno ancora della comunità internazionale. Dobbiamo pretendere da loro il rispetto dei diritti fondamentali". E infine: "Non va assunto un atteggiamento arrogante, l’Occidente deve coinvolgere Cina, Russia e Pakistan per mantenere un dialogo con i talebani".

AFGHANISTAN, POLEMICA SULLE DICHIARAZIONI DI CONTE

I tre stralci di dichiarazioni qui sopra sono di Giuseppe Conte, ex presidente del consiglio. Dichiarazioni che hanno scatenato una polemica tutta italiana sull'opportunità di dialogare coi "terroristi". Italia Viva e il centrodestra, ma anche diversi esponenti del Partito Democratico, hanno duramente criticato le parole del leader del Movimento Cinque Stelle. Impossibile dialogare coi talebani, secondo la maggior parte di chi è intervenuto sulla vicenda. In diversi casi è stata sottolineato l'ennesimo episodio in cui Conte e il M5s si allineano alle posizioni della Cina, prima potenza che ha commentato in modo propositivo la caduta di Kabul alimentando anche la possibilità di una cooperazione con i talebani per la ricostruzione del paese. 

CINA, RUSSIA E TURCHIA PARLANO GIA' COI TALEBANI

In cambio, Pechino chiede il mantenimento della stabilità interna al nuovo regime, con un occhio soprattutto al corridoio del Wakhan: una sottile lingua di terra che collega il territorio afgano a quello della regione autonoma dello Xinjiang cinese. Fattore che alimenta il timore del Partito comunista di un possibile sostegno ai gruppi armati dell'insorgenza uigura. Anche la Russia, preoccupata dai possibili effetti sulla sicurezza dell'Asia centrale, suo giardino di casa, ha sempre mantenuto aperto il canale di comunicazione coi talebani. Lo stesso fa la Turchia, che da tempo cerca di ampliare la sua sfera di influenza in Medio Oriente e in Asia e intravede un'occasione di consolidamento dopo il ritiro americano.

MA IL DIALOGO COI TALEBANI LO HANNO PORTATO AVANTI ANCHE GLI USA. E LO VOGLIONO G7 E UE

Ma il dialogo, come detto, non è un'esclusiva di Pechino, Mosca e Ankara. Anche Washington ha parlato con anni con i "nuovi" talebani. E la linea del dialogo è quella per cui sembra propendere un po' chiunque, dal G7 all'Unione europea. “La crisi in Afghanistan richiede una risposta internazionale che comprenda un intenso impegno sulle questioni critiche che affliggono l’Afghanistan” si legge nella dichiarazione conclusiva del G7 che chiede “alla comunità internazionale di unirsi con una missione condivisa per impedire un’es c al ation della crisi in Afghanistan”. Il Regno Unito ha chiesto di includere nelle discussioni sul futuro di Kabul anche Cina e Russia, cioè i due principali paesi ad avere tenuto aperte le loro ambasciate in Afghanistan mentre quelle dei paesi occidentali chiudevano in massa. L'Alto rappresentante della politica estera dell'Ue, Josep Borrell ha dichiarato che bisogna parlare coi talebani "per cercare di evitare un deterioramento della situazione. Certo che dobbiamo parlare con i talebani, ma non vuol dire riconoscerli né assisterli militarmente".

AFGHANISTAN, DOPO IL RITIRO SERVE ENGAGEMENT

Insomma, tutti sembrano dire che serve il dialogo coi talebani. Si chiama engagement. D'altronde, dopo il ritiro dall'Afghanistan quali sono le alternative? Tornare ai droni o alle bombe, oppure semplicemente lasciare gli afgani al loro destino. Singolari ipotesi per chi sostiene che il dialogo non possa essere intrapreso in nessun modo con i talebani. Anche se nel frattempo si parla e si fanno amabilmente affari con altri regimi non certo brillanti esempi di democrazia e preservazione dei diritti umani come Arabia Saudita ed Egitto. 

AFGHANISTAN, DRAGHI PARLA CON PUTIN. CONTE INCAUTO SUL REGIME "DISTENSIVO"

Oltre alle polemiche da politically correct, il governo Draghi sembra comunque muoversi sulla linea del pragmatismo. Con la responsabilità della presidenza di turno del G20, il premier parla con Emmanuel Macron e Vladimir Putin della crisi, cercando di intessere quel dialogo internazionale multilaterale che può riuscire a esercitare una minima pressione sui talebani affinché il regime mantenga almeno in parte le sue promesse di moderazione e inclusività. Ecco, Conte è semmai stato incauto nel dire che i talebani abbiano mostrato di essere "distensivi". Quello è un giudizio che va basato sui fatti, non sulle parole. E il fatto che si giri casa per casa con liste di chi ha collaborato con gli occidentali non è un segnale particolarmente incoraggiante.