Afghanistan, l'Italia ha "buttato" 9 miliardi. Ma spende ancora per la Libia
La caduta di Kabul dopo decenni di ingenti investimenti solleva il dibattito sull'opportunità di rifinanziare le missioni all'estero, a partire dalla Libia
Circa un miliardo di euro. E' quanto l'Italia ha speso per le proprie missioni in Libia e nel Mediterraneo dal 2017 a oggi. Una cifra rilevante, mai messa in discussione da nessun governo nonostante le polemiche sollevate da alcuni parlamentari. Gentiloni, Conte I, Conte II, Draghi: nessuno di questi esecutivi si è discostato da una linea che prevede non solo stanziamento di cifre rilevanti per le missioni italiane, ma anche per il finanziamento della guardia costiera libica e di riflesso per il foraggiamento di gruppi sulla cui reputazione ci sono diversi dubbi.
Afghanistan, 9 miliardi "buttati" e monito inascoltato: aumentano le spese per la missione in Libia
Un paio di settimane fa, a inizio agosto, il Senato ha approvato la prosecuzione della missione in Libia e di assistenza alla guardia costiera di Tripoli. Gli stanziamenti non sono stati solo confermati, ma anche aumentati di mezzo milione di euro per il 2021, passando da 10 a 10,5 milioni. Per un totale di 32,6 milioni elargiti ai libici dal 2017 per bloccare i flussi migratori. Quella scelta torna ora a far discutere, visto che a Ferragosto i talebani hanno conquistato Kabul e il governo afgano è crollato come un castello di carte. L’Italia ha speso quasi 9 miliardi di euro nei venti anni di missioni in Afghanistan. Di cui 840 milioni per addestrare le forze afgane. Tutto, evidentemente, inutile. L'esercito regolare si è squagliato come neve al sole di fronte all'avanzata dei talebani, riportando le lancette del tempo indietro di venti anni per il paese dell'Asia meridionale. E vanificando gli ingenti investimenti operati dall'Italia.
Libia, missione rifinanziata ininterrottamente dal 2017: 10 senatori non ci stanno
Ecco, perché, il caso di Kabul potrebbe dare qualche insegnamento indiretto anche sulla Libia e sull'opportunità di formare, addestrare e investire montagne di denaro senza sapere bene chi sono i destinatari. Dieci senatori hanno votato contro il rifinanziamento della missione bilaterale con la guardia costiera libica. E hanno spiegato il motivo senza giri di parole: "Abbiamo votato contro il rifinanziamento di questa missione'', perché ''sono provate, al di là di ogni possibile dubbio, le sistematiche violazioni dei diritti umani a cui sono sottoposti migranti e rifugiati in Libia", scrivono in una nota congiunta i dieci parlamentari, ovvero Loredana De Petris, Francesco Verducci, Emma Bonino, Piero Grasso, Vasco Errani, Francesco Laforgia, Vincenzo D'Arienzo, Maurizio Buccarella, Tommaso Nannicini e Sandro Ruotolo. "Nei centri di detenzione gestiti dalle autorità libiche le persone subiscono violenze inaudite: vengono torturate, violentate, uccise o vendute come schiavi. Le collusioni, e spesso la sovrapposizione, tra la Guardia Costiera libica e le organizzazioni criminali che gestiscono il traffico di esseri umani sono state oggetto di diverse indagini anche della magistratura italiana".
Libia e Mediterraneo, l'Italia ha speso quasi un miliardo in 5 anni
La caduta di Kabul dovrebbe far capire che le ingerenze e le missioni di esportazione della democrazia sono complicate, e soprattutto che prima di accendere o spegnere l'interruttore di finanziamenti, addestramenti, supporti logistici e diplomatici bisognerebbe davvero conoscere a fondo i propri interlocutori. E soprattutto avere una strategia chiara. Elementi che sembrano mancare, non solo all'Italia ma a tutta l'Europa, anche in Libia. Per restare all'Italia, nel 2021 sono stati stanziatio in totale 207 milioni per le missioni in Libia e nel Mediterraneo. In tutto sono 962 milioni dal 2017. Quasi un miliardo, appunto. La missione bilaterale di assistenza in Libia, con compiti prevalenti di assistenza sanitaria e training, avrà un dispiegamento massimo di 400 unità, con una presenza media di 200 unità: tutto come nel 2020. Diminuiscono i mezzi terrestri, che passano invece da 130 a 69, mentre aumentano quelli navali nell'ambito della missione Irini, con il passaggio da 517 a 596 unità. La missione comprende anche il supporto alla Marina libica.
La partita (geo)politica sul futuro della Libia
Eppure, non sembra che siano l'Italia o l'Europa gli attori più influenti nella gestione della crisi libica. Soltanto a marzo 2021 è nato il primo governo di unità nazionale, guidato fino alle prossime elezioni da Abdul Hamid Mohammed Dbeibeh, uno degli uomini più ricchi del paese. Il ministro degli Esteri Luigi Di Maio è stato ben cinque volte in Libia nel corso del 2021, l'ultima il 2 agosto scorso. Il canale è aperto con Tripoli e il governo di unità nazionale ma anche con la Cirenaica. Lì opera ancora il generale Haftar, sostenuto dalla Russia e non solo (in passato si è chiacchierato tanto dell'appoggio della Francia), il quale nei giorni scorsi ha ribadito che il suo esercito non obbedisce ad alcun potere se non al suo.
Putin spinge Gheddafi Jr. "Col tacito assenso dell'Italia"
Diversi analisti e diplomatici libici temono un ritorno al caos e alla guerra civile in caso di fallimento delle elezioni calendarizzate per il prossimo 24 dicembre. Proprio in questi giorni la camera dei rappresentanti ha approvato un disegno di legge che stabilisce l'elezione diretta del presidente. Ruolo al quale ambisce anche Saif al Islam Gheddafi, figlio dell'ex leader Muammar Gheddafi ucciso nel 2011 dopo la missione Nato che di fattoà gettò la Libia in un caos dalla quale non è mai più uscita. Alle spalle di Gheddafi Jr. ci sarebbero importanti sponsor internazionali, a partire da Vladimir Putin. Secondo fonti di Mosca, la Russia conta sul sostegno dell'Egitto e sul tacito assenso dell'Italia, mentre Francia ed Emirati arabi uniti si oppongono al piano di Putin.
I numeri (in aumento) delle missioni italiane all'estero
In tutto le missioni italiane all'estero sono 40, due in più rispetto al 2020, con una forza complessiva che potrà raggiungere al massimo le 9.449 unità, oltre 800 in più dell'anno precedente. Si va dal Sahel (dove i ministri e i rappresentanti diplomatici italiani sono molto attivi negli ultimi mesi) al Libano, dai Balcani all'Iraq, dove l'Italia assumerà nel 2022 il comando della missione Nato. Il caos afgano in futuro potrebbe portare a una linea diversa, ma per ora si va avanti col pilota automatico. Sperando di non dover rivivere le scene viste a Kabul in altre capitali, magari anche più vicine al territorio italiano.