ANC per la prima volta sotto il 50%. Sud Africa, i grafici per capire il voto

Lo speciale dell'Ispi sul Sud Africa al voto

di Redazione
Esteri

Il Sudafrica vota in un contesto complesso: l'analisi

 

Nel trentennale delle prime elezioni democratiche, che nel 1994 avevano portato alla storica ascesa alla presidenza di Nelson Mandela, il paese torna per la settima volta alle urne per il rinnovo dell’Assemblea Nazionale in uno scenario inedito: l’African National Congress (ANC), il partito al governo che fino ad oggi ha dominato la scena politica del paese, potrebbe scendere per la prima volta sotto il 50% dei voti, aprendo così la strada a un possibile governo di coalizione o ad una soluzione diversa in grado di riflettere i nuovi equilibri politici che probabilmente emergeranno dalle urne.

Leader regionale e terza economia del continente per dimensioni, il Sudafrica vota in un contesto complesso: aspettative economiche deluse, fragilità strutturali interne, profonde iniquità sociali e alti livelli di corruzione hanno generato una sfiducia crescente verso le istituzioni e chi le governa. Nel frattempo, le tensioni con Washington, dovute tanto all’avvicinamento sempre meno velato di Pretoria a Mosca quanto alle posizioni e iniziative nei confronti di Israele per la crisi di Gaza, rendono l’elezione di maggio un appuntamento da seguire con attenzione anche per i risvolti internazionali.

IL SUDAFRICA, TRENT'ANNI DOPO

Il 10 maggio del 1994 Nelson Mandela, il volto più celebre della lotta antiapartheid e già insignito del premio Nobel per la pace nel 1993, diventava il primo presidente non bianco della storia del Sudafrica, e il primo democraticamente eletto dopo la fine del regime di segregazione razziale istituzionalizzata. Questo passaggio aveva generato un contesto di grande ottimismo e inseriva il Sudafrica in un percorso di affermazione delle democrazie su scala globale, mentre la nuova fase politica rispondeva alle altissime speranze e bisogni di progresso economico e di giustizia sociale, dopo i decenni di apartheid che avevano scavato profondissimi divari tra gruppi di popolazione differenziati su base razziale. Per molti aspetti, il processo è stato virtuoso: riuscendo ad evitare l’esplosione di violenza su larga scala, un pericolo concreto vista la difficile eredità politica del paese, questo si è dotato di una nuova costituzione fondata sulla garanzia del contrasto alle discriminazioni razziali, linguistiche, religiose, di orientamento sessuale, etc. La “nazione arcobaleno” – il Sudafrica conta una gran varietà di gruppi etnici e 12 lingue ufficiali – ha vissuto una prima fase di grande fervore politico e di netta crescita economica: il Pil nazionale è più che triplicato tra il 1994 e il 2011. Le aspirazioni sudafricane, tanto di crescita e sviluppo interni quanto di leadership regionale, si sono però presto arenate. Tra il 2012 e il 2023, il Pil si è ridotto del 13% passando da 434,4 miliardi di dollari a 377,6 miliardi. Il trend era già negativo prima dell’effetto della pandemia. I redditi dei sudafricani sono in decrescita dal 2011, mentre la disoccupazione ha superato il 30% lo scorso anno, il tasso più elevato al mondo. Al contempo, è tornata a salire l’incidenza di crimini violenti e omicidi (45 ogni 100.000 abitanti, uno dei dati più alti al mondo).

 


 

Dal Covid-19 in poi, il paese ha sofferto molto per gli shock internazionali degli ultimi anni, che si sono sovrapposti ad alcuni elementi sistemici, come la costante crisi energetica legata ai malfunzionamenti della compagnia pubblica Eskom, l’azienda pubblica, con continue limitazioni di corrente che hanno avuto un impatto negativo sulle attività economiche. La corruzione è diventata un fattore endemico allo Stato, un fatto diventato particolarmente evidente dopo lo scandalo che ha investito la presidenza di Jacob Zuma portando alle sue dimissioni nel 2018 e gettato luce sul fenomeno dello state capture. Questo ha impattato drasticamente sulla fiducia dei cittadini verso le istituzioni. Secondo un sondaggio di Afrobarometer nel 2022, oltre l’80% dei rispondenti in Sudafrica dichiarava che il paese stesse andando verso la direzione sbagliata, mentre solo il 4% riteneva che il presidente e il parlamento non fossero coinvolti in fenomeni di corruzione. Un contesto che affievolisce inevitabilmente la fiducia verso le istituzioni e il loro funzionamento: nello stesso sondaggio, solo il 42% dichiarava di preferire la democrazia ad ogni altra forma di governo. A pesare sull’intero scenario è poi l’elemento delle diseguaglianze: il Sudafrica è ancora il paese più ineguale al mondo. Una distribuzione estremamente eterogenea della ricchezza si interseca alle diseguaglianze su base razziale ereditate dalla storia di segregazione del paese e le cui conseguenze sono vive ancora oggi. Insomma, a 30 anni dalla nascita della democrazia sudafricana, Pretoria non è stata in grado di tradurre i propri traguardi politici in altrettanti successi economici e sociali.

I PRINCIPALI PARTITI

Le elezioni di quest’anno si profilano come un passaggio chiave della storia politica del Sudafrica anche perché promettono un elemento di novità: secondo gli ultimi sondaggi disponibili, l’ANC è destinato a non raggiungere la maggioranza assoluta – dunque oltre il 50% dei voti aprendo quindi la strada all’esperienza di un governo di coalizione.

Si tratterebbe di un giro di boa per l’ANC che, godendo dell’enorme capitale politico dato dalla lotta contro l’apartheid, ha detenuto saldamente il potere dal 1994. Da allora, il suo consenso ha oscillato tra il 50 e quasi il 70%, raggiungendo il picco del 69% nel 2009 quando venne eletto Jacob Zuma. Da allora, il partito di governo ha però visto un declino dei consensi graduale e costante. Il primo serio campanello d’allarme è arrivato proprio alle elezioni locali nel 2021 quando l’ANC, per la prima volta nella sua storia, non ha ottenuto la maggioranza assoluta, un possibile preludio dei risultati del prossimo 29 maggio. Se questi dati aprono scenari elettorali e di governo nuovi per il Sudafrica, i futuri equilibri politici dipenderanno in larga misura dalla performance dell’ANC e del presidente in carica Cyril Ramaphosa, ma anche dei suoi contendenti.

 


 

La Democratic Alliance (DA), il secondo partito del paese e maggiore forza di opposizione, si è posta alla guida di un blocco di 11 partiti noto come Multi-Party Charter. Di impostazione centrista-liberale con un programma fortemente orientato alle imprese e alla creazione d’impiego, il blocco ha però scarse possibilità di partecipare al governo se non con un’alleanza con l’ANC, da cui rimane ben distanziato: nelle elezioni del 2019, era arrivato poco sopra il 20%. La terza forza politica è quella degli Economic Freedom Fighters (EFF), partito di retorica radicale e antioccidentale di stampo marxista che ha trovato enorme seguito nella popolazione giovane e nera, dove malessere e frustrazioni sono particolarmente forti. Anche l’EFF potrebbe optare per una coalizione con l’ANC. Infine, a sfidare il partito di governo ci sarà anche il nuovo partito uMkhonto weSizwe (MK), fondato proprio da Zuma, in rotta con l’ANC. Facendo leva sul capitale politico dell’ex-presidente e su un diffuso desiderio di cambiamento rispetto al partito di governo, l’MK potrebbe, stando ai sondaggi, sottrarre voti all’ANC e ad altri partiti. Questo nonostante la Corte Costituzionale abbia decretato, a meno di dieci giorni dal voto, l’ineleggibilità dello stesso Zuma all’Assemblea Nazionale a causa dei precedenti penali. Altro attore per eventuali coalizioni post elettorali potrebbe essere l’Inkatha Freedom Party (IFP), quarto partito nel 2019.

Con il disincanto e la rabbia che prova una parte consistente della popolazione sudafricana, e con la nuova incognita rappresentata dall’MK, lo scenario elettorale e post-elettorale è più incerto che mai.

UN PAESE IMPRESCINDIBILE

 


 

Al netto dei suoi molti nodi ancora irrisolti, il Sudafrica è un paese di riferimento a livello regionale, continentale e internazionale, anche in virtù della sua economia avanzata e diversificata, la seconda dell’Africa per dimensioni nel 2023 (377 miliardi di dollari, dati IMF). Pretoria è un punto di riferimento per i paesi vicini, non solo per la sua leadership all’interno del blocco regionale Southern Africa Development Community (SADC). Il paese è infatti un polo d’attrazione di lavoratori provenienti da altri paesi africani. Di questi, circa la metà arriva dal vicino Zimbabwe, ma molti migranti vengono anche da altri paesi dell’Africa meridionale e orientale. Gli scambi commerciali di Pretoria, tuttavia, avvengono soprattutto al di fuori dal continente, in particolare con l’Unione Europea, seguita al secondo posto dalla Cina. I principali partner includono anche Stati Uniti, Giappone, India, Regno Unito e altri, mostrando una realtà economica diversificata. Il Sudafrica è un paese importante anche per l’Italia: rappresenta il 7,2% dell’interscambio complessivo con il continente africano; se però si escludono i paesi del Nordafrica, Pretoria costituisce circa il 30% dell’interscambio di Roma con la regione.

 


 

IL SUDAFRICA VISTO DAL MONDO

Extra-africana è anche la grande maggioranza degli investimenti diretti esteri nel paese. Di questi, nel 2021 circa la metà erano europei. Peraltro, nel 2016 Pretoria ha siglato un accordo di Partenariato Economico con Bruxelles nel quadro della sua cooperazione con la SADC. Secondo investitore è il Regno Unito, seguito dagli Stati Uniti, con cui il Sudafrica è legato anche dalla partecipazione all’African Growth and Opportunity Act, noto come Agoa – il principale strumento di policy commerciale statunitense in Africa subsahariana di cui il Sudafrica è uno dei maggiori beneficiari. Il rinnovo dell’accesso sudafricano a quest’ultimo strumento è stato però messo in dubbio anche alla luce del complicarsi dei rapporti con Washington. Se il dato economico suggerisce che Pretoria graviti nell’orbita dei paesi occidentali, il suo posizionamento nella politica internazionale è in realtà ben più complesso e, talvolta, imprevedibile.

Il Sudafrica è dal 2010 membro dei BRICS, il forum delle economie emergenti che riunisce anche Brasile, Russia, India, Cina e, da gennaio di quest’anno, anche quattro nuovi membri. Prima del recente ampliamento, Pretoria era quindi l’unico membro africano del gruppo. Così come è l’unico paese africano del G20 (a parte l’ingresso dell’Unione Africana nel 2023). Le elezioni di maggio determineranno quindi tipo e orientamento del governo che, nel 2025, presiederà il G20 per la prima volta nella storia del Sudafrica.

UNA VOCE DEL SUD GLOBALE?

I BRICS rappresentano circa il 25% dell’interscambio sudafricano, un dato composto in buona parte dal commercio con la Cina e, in modo secondario, con l’India. Pretoria ha però investito molto a livello politico nella partecipazione in un gruppo che dà voce a interessi politici alternativi a quelli espressi dai paesi occidentali, come ad esempio la riforma delle istituzioni della governance internazionale o la reazione globale alla guerra in Ucraina (il Sudafrica ha sempre rifiutato di condannare apertamente la Russia per l’invasione o di imporre sanzioni alla Russia). In generale, perseguendo una posizione di non allineamento, il Sudafrica si pone come paese in grado di veicolare interessi del continente africano, e più in generale del Sud Globale. Il presidente Cyril Ramaphosa ha più volte lamentato le pressioni fatte dai paesi occidentali per prendere posizione riguardo all’invasione dell’Ucraina, dando voce a una frustrazione di altri paesi africani per la grande attenzione posta verso il conflitto ucraino a fronte di tanti altri conflitti “dimenticati”. Al contempo, ha ricercato un ruolo attivo a livello internazionale. A giugno 2023, era stato proprio Ramaphosa a guidare una delegazione africana in Russia e Ucraina per discutere della risoluzione del conflitto. Tra fine 2023 e inizio 2024, Pretoria aveva poi acquistato rilevanza sui media internazionali a seguito della decisione di portare Israele davanti alla Corte Internazionale di Giustizia accusandolo di star commettendo atti di genocidio nei confronti della popolazione palestinese a Gaza.

 


 

Se la fine dell’apartheid e l’introduzione di un sistema democratico sembravano aver spinto il Sudafrica verso un futuro di eguaglianza e prosperità, il presente e l’orizzonte oggi non appaiono più così rosei.

La sfida principale del nuovo governo sarà quella di rinnovare il sostegno dei sudafricani alla democrazia e la credibilità delle istituzioni. Se l’ANC dovesse perdere la maggioranza assoluta in parlamento – come sembra probabile – Ramaphosa sarà costretto a cercare nuovi partner di governo per garantire la governabilità. Potrebbe essere un’opportunità per avviarsi verso una normale alternanza politica. Ma si tratta di un passaggio che solleva interrogativi circa l’effettiva capacità di dialogo tra potenziali partner di governo, e un esecutivo instabile o comunque troppo litigioso sarebbe inevitabilmente meno efficace.

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