Aukus, Quad e la nascita di nuovi assetti nell’Indo-Pacifico
Gli spazi lasciati vacanti dall’Occidente finiscono inevitabilmente con l’avvantaggiare Pechino
Anche la Geopolitica, così come ogni altro aspetto del mondo fisico, risponde a leggi e ad assiomi precisi. Fra cui quello dell’horror vacui, già teorizzato in antichità da Aristotele, in base al quale in Natura il vuoto non esiste, venendo ogni eventuale lacuna subito rimpiazzata e riempita da nuova materia. Similmente, laddove si verifichino indecisioni, stalli o tentennamenti, subito un decisore più assertivo subentra nell’occupare la piazza lasciata libera, saturandola e cercando al contempo di fare proseliti.
La stessa dinamica si riscontra nell’assestamento/riposizionamento geopolitico dei Paesi dell’Indo-Pacifico, dopo la stipula del patto trilaterale di sicurezza Aukus fra U.S.A., Regno Unito e Australia, in ottica anti-cinese. L’accordo, che ha estromesso Parigi da una commessa epocale per la fornitura di sottomarini nucleari a Camberra, ridisegna di fatto la strategia di contenimento degli appetiti cinesi nell’area. E lo fa in modo nuovo, con un’alleanza creata ad hoc e tenuta segreta sino al momento dell’ufficializzazione. E nonostante esistessero già in loco esperimenti analoghi, o per lo meno con la medesima finalità: fermare l’avanzata del Dragone.
Il TPP (Trans-Pacific Partnership) era infatti un accordo di libero scambio commerciale fra 11 Paesi dell’area, originariamente negoziato dalla presidenza Obama per fare fronte comune contro Pechino. Sottovalutato da Donald Trump, che aveva ritirato la partecipazione degli Stati Uniti, il trattato è andato via via svuotandosi di significato, orfano della principale (e più interessata) Nazione artefice. Con la firma di Aukus e la conclamazione di un assetto diverso, che vede cioè il prevalere del modello di anglosfera nella strategia di controllo e deterrenza verso Pechino, il TPP (nel frattempo rinominato CPATPP, Comprehensive and Progressive Agreement for Trans-Pacific Partnership) poteva evolvere solo in due modi. Scomparire oppure cambiare.
Tuttavia, poiché come abbiamo detto la Natura rifugge il vuoto (e lo rifugge in misura ancora maggiore la natura umana, fisiologicamente portata alla difesa e all’affermazione del potere), ecco riempirsi la casellina lasciata vuota dagli States con un protagonista di primo acchito inaspettato… ma in realtà logicissimo. La Cina.
Una mossa brillante quella di Pechino, così come riportato la scorsa settimana dal Wall Street Journal: “fino a dieci anni fa esisteva un club commerciale guidato dagli U.S.A. e il cui scopo era quello di limitare l’influenza del modello economico cinese. Ora che però Washington si è chiamata fuori dal TPP, Pechino lo vuole, e vuole esserne l’azionista di maggioranza”. Con l’intento evidente di cercare alleati nella zona.
Insomma, un danno accompagnato dalla beffa, perché – fa osservare l’Analista Thomas L. Friedman sul New York Times, “la richiesta di Pechino di aderire al TPP è l’equivalente diplomatico per gli U.S.A. di assurgere a membro della Belt and Road Iniative cinese in Asia”! Una contromossa che, oltre a prontezza e spirito di riflesso (nonché di riflessione), rivela altresì una certa dose di sarcasmo da parte di Xi Jimping.
Come reagire all’iniziativa del Dragone? L’esprit originario del TPP era quello di impegnare i Paesi membri – Stati Uniti, Canada, Australia, Nuova Zelanda, Brunei, Malesia, Vietnam, Singapore, Messico, Cile e Perù – su alcuni obiettivi comuni: dalle restrizioni per le aziende statali estere che volessero inondare il mercato con loro prodotti sottocosto, alla tutela della proprietà intellettuale, dall’affermazione dei diritti umani contro lavoro forzato, schiavitù e sfruttamento minorile, sino alla lotta contro il consumo alimentare della fauna selvatica in via di estinzione (pratica comunissima in Cina, pandemia di Covid-19 docet). Il recupero di questi propositi potrebbe e dovrebbe costituire il presupposto per la nascita di intese regionali, che facciano in situ da argine e diga verso l’artiglio famelico del Dragone, togliendo alla Cina lo spazio fisico su cui esercitare la propria virulenta influenza.
Un modello già attivo esiste ed è Quad, l’intesa multilaterale cui aderiscono Stati Uniti, Australia, Giappone e India, e che il Presidente Joe Biden ha voluto rivitalizzare Venerdì scorso, organizzando alla Casa Bianca il primo incontro in presenza dei quattro leader. Durante il quale si è ribadito come l’accordo, che non ha scopi militari, riveli tuttavia un orizzonte più ampio e un obiettivo più ambizioso del semplice Dialogo Quadrilaterale per la Sicurezza, abbracciando anche i grandi temi della lotta alla pandemia, dei vaccini, della sostenibilità ambientale, fino al nuovo fronte della competizione geopolitica mondiale: lo Spazio.
Biden lo aveva già anticipato lo scorso 12 Marzo, durante una videoconferenza congiunta con Scott Morrison, Yoshihide Suga e Narendra Modi, rispettivamente alla guida di Australia, Giappone e India. Ne era emersa la volontà di costruire, nell’Indo-Pacifico, “una regione libera, aperta, inclusiva, sana, ancorata a valori democratici e non vincolata dalla coercizione”.
Proposito che accomuna tutti i Paesi firmatari, seppur con sensibilità differenti. Secondo Martijn Rasser, esperto di Tecnologia e Sicurezza Nazionale presso il “Center for a New American Security” di Washington, gli U.S.A. hanno caldeggiato il summit “per sottolineare la necessità di una strategia globale di cooperazione tecnologica […] che aumenti la competitività e la sicurezza di ciascuna Nazione, […] disegnando i contorni di un nuovo modello di Governo tecno-democratico”, contrapposto a quello tecno-autoritario di Pechino.
Dunque un accordo diverso dalla partnership militare rappresentata da Aukus, ma con un significato più profondo rispetto a quello di un semplice istituto diplomatico, che per Tokyo assolve a un fondamentale scopo di deterrenza. “La ragione per cui il Giappone ha aderito a Quad”, sostiene Mitoji Yabunaka, già Viceministro degli Affari Esteri, “è la politica fortemente aggressiva della Cina, che nessuno può negare”.
Con il caveat che le linee di intervento prioritarie, almeno per il primo periodo, saranno quelle assolumente condivise (distribuzione dei vaccini, qualità delle infrastrutture, protezione delle tecnologie critiche ed emergenti, nonché della supply-chain). Lo sostiene Hayley Channer, ex Ufficiale di Difesa australiano, per cui le innumerevoli linee di intervento rivelano come non si sia ancora deciso su quali obiettivi puntare e focalizzarsi davvero: “l’agenda [di Quad] sembra essere per lo più dettata dagli U.S.A. – i quali incoraggiano fortemente l’inserimento della lotta ai cambiamenti climatici – e dalle capacità burocratiche dei singolii Paesi, piuttosto che da decisioni politiche di alto livello e impatto”.
Nondimeno le potenzialità sono coralmente riconosciute come notevoli. L’India, potenza emergente e secondo Paese più popoloso al mondo dopo la Cina, assume senza dubbio un ruolo e un significato particolare, specie dopo il raffazzonato ritiro delle truppe americane dall’Afghanistan, che ha cementato la liaison fra Pechino e il Pakistan, storico rivale di Nuova Delhi. Secondo Harsh Vardhan Shringla, al vertice della Diplomazia indiana, “la coalizione rappresentata da Quad darà luogo a un’agenda positiva e costruttiva”, specie per quanto concerne la dimensione tecnologica e di approvvigionamento delle materie prime indispensabili per i computer (non si dimentichi infatti come il 70% delle terre rare si estraggano in Cina, e come sempre in Cina si concentri l’85% del processing e della manifattura finale dei minerali).
Quella con l’India è davvero un’alleanza strategica e prioritaria, che gli Stati Uniti sanno di dover rinsaldare con ogni mezzo. Da qui le parole di Joe Biden a margine del summit del 24 Settembre, per cui le relazioni fra U.S.A. e gigante indiano “possono aiutare a risolvere un gran numero dei più cogenti problemi mondiali”, ancorando i partner alla difesa dei valori democratici, della diversità, della non-violenza e della tolleranza. Eco, questa, alle parole del Segretario di Stato americano Antony Blinken il quale, durante la visita a Nuova Delhi dello scorso 28 Luglio, aveva già sottolineato l’importanza per gli States di Stato di Diritto e rispetto delle libertà fondamentali.
Ciò detto, e considerata l’estensione già in cantiere del Quad ad altri partner (Corea del Sud, Vietnam e Nuova Zelanda, riunite nel “Quad Plus”), di fronte a questa rimodulazione dello scenario geopolitico mondiale resta purtroppo un convitato di pietra: l’Europa.
Quo vadis Europae? È proprio il caso di dirlo, e di chiederselo, perché la scelta che il Vecchio Continente sarà obbligatoriamente chiamato a fare concernerà due modelli antitetici. La costituzione di alleanze e di intese regionali nell’Indo-Pacifico, che frenino concretamente l’avanzata di Pechino, oppure sterili occhieggiamenti alla Cina, come il famigerato Comprehensive Agreement on Investment dello scorso Dicembre (le cui ripercussioni sono state eufemisticamente deleterie) e il silenzio assordante rispetto ai boicottaggi cinesi subiti da Camberra, rea di aver chiesto un’indagine sulla genesi del Covid.
Si potrebbe osservare che molto dipenderà dall’esito delle elezioni in Germania: un’osservazione ricevibile solo parzialmente, in quanto è verosimile supporre che anche il prossimo Bundeskanzlerin immaginerà un’Europa tedesca, e non, purtroppo, una Germania europea.
Intanto anche l’India cerca di ricomporre le crepe nel blocco occidentale, apertosi dopo la firma di Aukus e l’estromissione della Francia dalla commessa per i sottomarini australiani. Per Nuova Delhi Parigi è una potenza stanziale e imprescindibile nell’Indo-Pacifico, un’area rovente dove scaramucce e fuoco amico non fanno che avvantaggiare la Cina.
Saprà l’Europa occupare i suoi spazi? Oppure i tanti silenzi, e i tanti vuoti, lasciati all’avversario, finiranno immancabilmente con il favorire ancora il Dragone? Un Dragone sempre più famelico, di cui non dobbiamo diventare il pasto.