Biden-Xi, la telefonata non risolve nulla. E sui chip si va a un nuovo scontro
Usa e Cina restano lontanissimi sui dossier internazionali ma anche su commercio e soprattutto tecnologia. Washington prepara una nuova offensiva sui chip
Usa e Cina verso un inasprimento della guerra dei chip
Non ci si faccia illusioni. Chi pensa che la telefonata di martedì 2 aprile tra Joe Biden e Xi Jinping abbia improvvisamente risolto tutti i problemi nei rapporti tra Stati Uniti e Cina si sbaglia di grosso. Anzi, al di là delle posizioni divergenti su diversi dossier internazionali, già si intravede all'orizzonte un nuovo capitolo della guerra commerciale e tecnologica che vede coinvolte le due potenze da ormai diversi anni. La parola chiave è ancora una volta quella: microchip.
Gli Stati Uniti stanno stilando una lista di fabbriche cinesi di chip avanzati a cui è stato impedito di ricevere strumenti chiave. E l'elenco potrebbe essere reso noto nei prossimi due mesi, con un pressoché scontato inasprimento delle misure anti cinesi. Nel 2022 il Dipartimento del Commercio ha già impedito alle aziende statunitensi di spedire attrezzature alle fabbriche cinesi che producono chip avanzati, ma il nuovo passo renderà più semplice individuarle. Pechino ovviamente non è contenta. Un portavoce dell'ambasciata cinese a Washington ha dichiarato che gli Stati Uniti dovrebbero "smettere di estendere eccessivamente il concetto di sicurezza nazionale e di abusare del potere statale per sopprimere le aziende cinesi".
Non è finita. Gli Stati Uniti stanno infatti chiedendo anche ai paesi alleati e partner di impedire alle aziende nazionali di fornire assistenza ai clienti cinesi su determinati strumenti, in particolare quelli più avanzati, per la produzione di chip. Le regole rimaste in vigore in altri Paesi come Paesi Bassi, Giappone e Corea del Sud, non prevedono ancora lo stesso livello di restrizioni già introdotto negli Usa.
Non si tratta di tre Paesi come altri, ma di tre snodi cruciali per la produzione di microchip. La Corea del Sud è seconda solo a Taiwan nel comparto di fabbricazione e assemblaggio, ma il gigante Samsung produce alcuni dei chip più avanzati al mondo. I Paesi Bassi hanno invece una sorta di monopolio per quanto riguarda la litografia ultravioletta, uno degli step cruciali per la realizzazione dei semiconduttori. I funzionari americani vogliono che la Corea del Sud limiti il flusso di apparecchiature e tecnologie per la produzione di chip logici e di memoria di fascia alta verso la Cina.
Il pressing sugli alleati e la ritorsione cinese
Washington sta ora chiedendo ai governi di questi Paesi di seguire in tutto e per tutto le sue misure, incontrando peraltro qualche resistenza. La Corea del Sud è stata sin qui piuttosto timida, perché teme le potenziali sanzioni che i controlli sulle esportazioni potrebbero scatenare da parte di Pechino su colossi nazionali come Samsung e SK Hynix che ancora operano in Cina, che resta il principale partner commerciale di Seul.
Mark Rutte, primo ministro olandese, si è sentito avvisare direttamente da Xi la scorsa settimana, quando è stato in viaggio a Pechino. "Anche il popolo cinese ha diritti legittimi di sviluppo e nessuna forza può fermare il ritmo del progresso scientifico e tecnologico della Cina", ha dichiarato Xi. A gennaio, i Paesi Bassi hanno impedito ad ASML, il colosso che domina i macchinari avanzati per la litografia ultravioletta, di esportare in Cina alcuni dei suoi sistemi di litografia ultravioletta profonda, utilizzati per la produzione di chip leggermente meno avanzati.
Pechino ha criticato la mossa del governo olandese, esortando i Paesi Bassi a "sostenere una posizione obiettiva ed equa e i principi del mercato" e a "proteggere gli interessi condivisi" dei due Paesi e delle loro aziende. "Creare barriere scientifiche e tecnologiche e interrompere le catene industriali e di approvvigionamento porterà solo a divisioni e scontri", ha detto Xi a Rutte.
Ma dall'altra parte la pressione americana prosegue e presto i Paesi Bassi, come Giappone e Corea del Sud, potrebbero essere costretti a cedere. Dalla telefonata con Biden si capisce che la Cina reagirà. "Se gli Stati Uniti saranno disposti a portare avanti una cooperazione reciprocamente vantaggiosa e a condividere i dividendi dello sviluppo cinese, la porta della Cina sarà sempre aperta; se gli Stati Uniti insistono nel sopprimere lo sviluppo high-tech della Cina e nel privare la Cina del suo legittimo diritto allo sviluppo, noi non staremo a guardare".
Traduzione: ci saranno ritorsioni. Vengono subito in mente le terre rare e le risorse minerali di cui la Cina è ricchissima, fondamentali non solo per la produzione di chip ma anche di quella dei veicoli elettrici. A restare invischiata in mezzo alla contesa rischia di finirci l'Unione europea, con una strategia di "riduzione del rischio" che per Pechino è una sorta di "disaccoppiamento mascherato".