Birmania: altri 7 anni di carcere per l'ex leader San Suu Kyi
La 77enne premio Nobel per la pace dovrà trascorrere così un totale di 33 anni dietro le sbarre
Ai giornalisti è stato impedito di assistere alle udienze e agli avvocati è stato vietato di parlare con i media
Secondo una fonte giudiziaria l'ex leader della Birmania Aung San Suu Kyi è stata condannata da un tribunale della giunta militare ad altri sette anni di carcere per corruzione.
Suu Kyi dovrà trascorrere così un totale di 33 anni in carcere, al termine di una procedura giudiziaria durata 18 mesi e descritta come "politica" dai difensori dei diritti umani.
Ai giornalisti è stato impedito di assistere alle udienze e agli avvocati è stato vietato di parlare con i media.
Suu Kyi è stata condannata a sette anni per cinque capi d'accusa di corruzione legati al noleggio e alla manutenzione di un elicottero che ha causato una "perdita per lo Stato", ha detto la fonte, aggiungendo che "non ci sono altre accuse" contro di lei.
Dal colpo di Stato del 1 febbraio 2021 in Birmania, l'ex leader 77enne è prigioniera della giunta, in un carcere a Naypyidaw, accusata di una serie di reati: dalla corruzione ai brogli elettorali, violazione del segreto di Stato e delle restrizioni anti-Covid.
Dall'inizio del processo, Suu Kyi è stata vista solo una volta e si è affidata agli avvocati per trasmettere messaggi al mondo. Secondo un gruppo di monitoraggio locale, il Myanmar è in subbuglio dal giorno del colpo di Stato e da allora più di 2.600 persone sono state uccise nella repressione del dissenso da parte dei militari.
Chi è Aung San Suu Kyi
Con un discorso memorabile alla pagoda di Shwedagon, davanti a mezzo milione di persone, il 26 agosto del 1988, Aung San Suu Kyi entra in politica e lancia quella che definisce la “seconda battaglia per l’indipendenza nazionale”. Fonda la National League for Democracy (NLD); la sua casa diventa il quartier generale di coordinamento del partito e della “lotta non violenta” contro la dittatura.
Per tentare di mettere a tacere le manifestazioni a favore della democrazia, l’esercito birmano uccide per le strade circa 3mila persone tra studenti, monaci buddisti e civili.
La giunta militare dichiara la legge marziale: chiunque infrange la legge può essere condannato all’ergastolo, alla pena capitale o a un minimo di tre anni di lavori forzati. Ma Aung San non si scoraggia e continua a viaggiare, a tenere discorsi pubblici per tutto il paese, incoraggiando le persone a difendere i propri diritti nonostante il timore delle persecuzioni, e a praticare la disobbedienza civile contro le “leggi ingiuste”.
"Ho sempre detto che devono imparare sul serio a mettere in dubbio chi ordina loro di fare cose contrarie alla giustizia e alle leggi vigenti. Di chiedere: in base a quale legge mi costringe a fare questa cosa? Che diritto ha di farmi fare questo? La gente deve fare domande, non limitarsi ad accettare tutto".
Nel luglio del 1989, le viene offerta la possibilità di lasciare il paese, se vuole, a condizione di rimanere in esilio, ma lei è determinata a restare in Birmania e così viene messa agli arresti domiciliari. Quando il suo partito, l’anno successivo, ottiene una vittoria decisiva con 392 seggi su 485, i militari annullano le elezioni e arrestano gran parte degli eletti.
Nel 1989 e nel 1990 il "New York Times" denuncia la deportazione di più di 500mila cittadini birmani dai grandi centri urbani verso città infestate da epidemie.
Aung San Suu Kyi vince il Nobel per la pace
Durante i domiciliari, Aung San vince i premi Rafto, Sacharov (per la libertà di pensiero) e il Nobel per la pace, e con i soldi del premio (1,3 milioni di dollari) crea un fondo per la salute e l’istruzione a favore del popolo birmano.
Nel 1995 le vengono revocati gli arresti, ma rimane comunque in uno stato di semilibertà. Non può lasciare il paese e i suoi familiari, che sono rimasti in Inghilterra, non possono visitarla; nemmeno suo marito, quando gli viene diagnosticato il cancro, potrà andare in Birmania e morirà senza rivederla.
La pausa dagli arresti
Durante la “pausa” dagli arresti, dall’ottobre del 1995 al giugno del 1996, Aung San, davanti ai cancelli della sua casa, tiene i suoi “discorsi domenicali” davanti a diverse migliaia di persone che rischiano, ogni volta, di essere incarcerate. Ma Aung San non si lascia intimorire e continua a praticare il dialogo e la non violenza: continua, infatti, ad auspicare un dialogo tra lo SLORC che l’ha arrestata, e il movimento democratico; invita gli imprenditori stranieri che stanno valutando l’ipotesi di investire in Birmania ad attendere il ritorno della democrazia.
Continue sono le manifestazioni di appoggio ad Aung San. Nel 2000, lo SLORC trattiene per nove giorni tutti i partecipanti di un corteo. Inizia uno stillicidio di periodi di reclusioni (lunghe) e libertà (brevissime).
Nel 2007 riesce a fare una breve apparizione al cancello della sua residenza e con le mani giunte rende omaggio ai monaci che marciano per la libertà e i diritti umani. Nonostante il regime militare spari sui dimostranti, la folla di monaci affronta coraggiosamente i militari e continua a protestare pacificamente. Migliaia di persone vengono arrestate, interrogate e torturate.
La liberazione e l'elezione in Parlamento di Aung San Suu Kyi
Il 13 novembre 2010 Aung San viene liberata e dopo dieci anni ha potuto sentire al telefono suo figlio più piccolo, ormai trentatreenne e il 23 novembre, finalmente rivederlo.
Il 1° aprile del 2012, Aung San Suu Kyi viene eletta in Parlamento con l’82% delle preferenze, il suo partito (la Lega Nazionale per la Democrazia) ha conquistato 43 dei 45 seggi in palio.
Dal 2012 al 2021 le vengono affidati importanti ministeri e mantiene una forte popolarità. A livello internazionale il suo operato è stato però piuttosto criticato soprattutto per la gestione di importanti questioni irrisolte come quelle relative alla persecuzione della minoranza dei Rohingya.
Il colpo di stato del 2021
Con il colpo di stato militare del 1 febbraio 2021 viene destituita e arrestata in un luogo segreto. Nel processo a suo carico viene accusata di crimini surreali quali “possesso illegale di walkie talkie”.
Nel frattempo in tutto il Paese sono in corso numerose manifestazioni popolari di opposizione al regime, represse con la violenza dai militari al potere.