Cina, calo storico dell'import. Covid e Ucraina: l'economia di Xi barcolla

Il severo lockdown di Shanghai più gli effetti dell'invasione russa colpiscono Pechino. Importazioni a livelli di marzo 2020, incognite nell'anno del Congresso

di Lorenzo Lamperti
Esteri
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Lockdown a Shanghai e guerra in Ucraina: calo inatteso dell'import cinese

La locomotiva cinese rallenta. L'effetto combinato della nuova ondata di contagi, con annesse restrizioni severissime decise dal governo a Shanghai, e della guerra in Ucraina stanno avendo effetto sull'economia di Pechino. Proprio nell'anno del XX Congresso del Partito comunista che il prossimo autunno dovrebbe ufficializzare il terzo mandato presidenziale di Xi Jinping. Il dato più recente è quello sulle importazioni di marzo, che hanno fatto registrare una inattesa (e brusca) battuta d'arresto, scese dello 0,1% su base annua.

Non si tratta di un crollo, ma è un dato per certi versi sorprendente viste le stime precedenti degli analisti, che avevano previsto un aumento delle importazioni dell'8,4% su base annua. Il calo è il primo registrato dall'agosto 2020, quando la Cina si era sostanzialmente già ripresa dalla prima ondata della pandemia. Non solo. Calano drasticamente anche le importazioni di petrolio, giù del 14% a marzo rispetto all'anno precedente. Dinamica motivata, secondo Reuters, dal fatto che i raffinatori indipendenti hanno ridotto gli acquisti. Scendono anche le importazioni di gas naturale, che si sono attestate a 7,985 milioni di tonnellate a marzo, il dato più basso da ottobre del 2020. 

Surplus commerciale raddoppiato rispetto alle attese, ma preoccupano i consumi

Numeri da piena pandemia. E d'altronde in piena pandemia, quantomeno a livello di regole, in Cina ancora ci si trova. L'ultima ondata di casi ha colpito con vigore Shanghai, con il governo che ha scelto di operare uno stretto lockdown nonostante tra le diverse migliaia di nuovi contagi ogni giorno i malati gravi siano pochissimi mentre la stragrande maggioranza ha sintomi lievi o è persino asintomatico. Ma Pechino, che ha basato la sua strategia anti Covid sulla strategia degli "zero contagi", non mostra segnali di allentamento delle restrizioni che hanno portato a una quarantena pressoché totale. Non si può uscire nemmeno per fare la spesa, con diversi abitanti che hanno denunciato difficoltà nell'approvvigionamento di cibo e medicinali.

In questa situazione la bilancia commerciale cinese ha registrato a marzo un avanzo di 47,38 miliardi di dollari. Un surplus più che raddoppiato rispetto a quello delle attese (22,4 miliardi). Questo perché, se da una parte le importazioni sono crollate, dall'altra l'export è cresciuto più del previsto con un incremento di 14,7% su base annua. Questo significa che l'economia cinese, nonostante i piani del governo, si regge ancora sul tradizionale pilastro delle esportazioni.

Con Covid e guerra a rischio la crescita del pil cinese

La realizzazione di una moderna e avanzata società di consumi si è compiuta dopo un processo storico negli scorsi anni ma ora gli stessi consumi sono mortificati dalle incertezze legate alla situazione pandemica e alla situazione geopolitica, con le chiusure che di certo non aiutano la ripresa della spesa dei cittadini cinesi. Secondo uno studio della Chinese University di Hong Kong riportato da Bloomberg, le chiusure in Cina stanno costando al paese almeno 46 miliardi di dollari al mese, o il 3,1% del pil, in perdita di produzione economica, e l'impatto potrebbe raddoppiare se più città aumentassero le restrizioni.

Cosa che potrebbe accadere presto a Canton, mentre a Shanghai iniziano a essere allentate con la diminuzione dei casi. Includendo l'impatto sull'inflazione a livello nazionale e gli effetti di ricaduta dalle catene di approvvigionamento, secondo lo stesso studio, l'effetto sull'economia sarebbe molto peggiore. Se le quattro città più grandi della Cina subissero tutte insieme un lockdown, il pil nazionale corretto per l'inflazione scenderebbe del 12% per la durata delle chiusure.

Numeri che la Cina non si può permettere, né a livello economico e né a livello politico nell'anno del XX Congresso. Durante le "due sessioni" di marzo, l'evento più importante dell'anno a livello legislativo, il governo ha abbassato al 5,5% l'obiettivo annuale di crescita del pil. Percentuale minore rispetto al target dell'anno scorso (6%) ma sopra le previsioni del Fondo monetario internazionale (4,8%). È la più bassa previsione di crescita dal 1991, nell'immediato post Tian'anmen e prima del nuovo impulso alle riforme dato l'anno successivo da Deng Xiaoping.

Ma nel 2022 le sfide sembrano essersi moltiplicate sia sul piano interno sia su quello esterno. In un report dei giorni scorsi, i ricercatori della Bank of Communications Co. Ltd. si aspettano una crescita del pil del 4% nel primo trimestre, la stessa dell'ultimo trimestre del 2021, che è stata la crescita trimestrale più lenta dell'anno. Un tasso di crescita del 4% è inferiore all'obiettivo del 5,5% circa fissato da Pechino per l'intero 2022.

Il rallentamento della locomotiva cinese potrebbe avere effetti da non trascurare sia sul piano interno sia su quello globale. 

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