Cina, crollano gli investimenti esteri. Xi vuole l'autarchia su chip e...aerei

Investimenti diretti esteri in calo dell'80% e ai minimi da 30 anni ma intanto Pechino prova a fare da sola su chip e aviazione civile, sfidando Airbus e Boeing

di Lorenzo Lamperti
Xi Jinping
Esteri

Crollano gli investimenti diretti esteri in Cina

L'occidente la chiama riduzione del rischio, la Cina lo chiama "disaccoppiamento mascherato". Qualsiasi cosa sia, sta in parte accadendo. Ribadiamo: in parte, visto che non è nell'interesse di nessuno operare una cesura con un'economia e un mercato immensi come quello cinese. Fatto sta che i segnali di una maggiore separazione ci sono. Gli investimenti in Cina da parte di aziende con sede all'estero sono scesi al livello più basso degli ultimi 30 anni, secondo i dati ufficiali pubblicati dalle aurorità di Pechino.

Secondo i dati dell'Amministrazione statale dei cambi, infatti, nel 2023 gli investimenti diretti esteri in Cina sono stati pari a 33 miliardi di dollari su base netta, con un calo di circa l'80% rispetto al 2022. Il dato è positivo perché i nuovi investimenti hanno superato i flussi in uscita. Ma gli IDE sono diminuiti per il secondo anno consecutivo e sono meno del 10% del picco di 344 miliardi di dollari segnato nel 2021. Gli afflussi hanno superato i deflussi di 17,5 miliardi di dollari nel trimestre ottobre-dicembre. Ciò ha fatto seguito al primo deflusso netto di sempre registrato nel trimestre precedente.

Le aziende straniere hanno ridotto le loro operazioni in Cina dopo che il governo cinese si è concentrato maggiormente sulla protezione della sicurezza nazionale, con un giro di vite sullo spionaggio. Ma in realtà dietro ci sono anche motivazioni politiche ben precise. Come sottolinea Nikkei Asia, con gli Stati Uniti che limitano l'accesso della Cina ai semiconduttori avanzati, le imprese legate ai chip si stanno parzialmente allontanando dal Paese.

Nel 2018 la Cina ha rappresentato il 48% degli IDE globali legati ai chip, ma questa cifra è scesa all'1% nel 2022, secondo Rhodium Group. Tra chi si è spostato altrove c'è per esempio l'azienda statunitense Teradyne, uno dei principali produttori di apparecchiature di test per la fabbricazione di chip, ha trasferito il suo impianto di produzione chiave dalla provincia cinese di Jiangsu alla Malesia.

Ma non sempre si tratta di una scelta. Talvolta le aziende internazionali vengono semplicemente sopraffatte dai rivali cinesi e sono costrette a riparare altrove. Un settore su tutti, quello delle auto, tradizionali e soprattutto elettriche. In ottobre Mitsubishi Motors ha dichiarato che smetterà di produrre auto in Cina. Toyota Motor e Honda Motor stanno riducendo il personale delle loro joint venture cinesi.

Il governo cinese sta provando a tamponare la fuoriuscita di investimenti. In particolare, a gennaio ha alleggerito i requisiti di reddito per le società soggette a controlli prima che le joint venture possano essere approvate in base alle leggi antitrust. Facilitando le acquisizioni, comprese quelle che coinvolgono società straniere, il governo spera di rendere più attraente il mercato cinese.

Ma la Cina sfida l'occidente su microchip e aviazione civile

Ma nel frattempo la stella polare resta sempre il rafforzamento della produzione autoctona e lo sviluppo del mercato dei consumi interni. Pur sperando di mantenere forte il legame commerciale con l'occidente (e in effetti la Germania è persino in controtendenza sul fronte degli investimenti in Cina), Pechino si prepara a fare da sola per mettersi al riparo da brutte sorprese.

Si è parlato tantissimo, ovviamente, di chip, settore in cui da tempo il governo cinese stimola gli investimenti interni. La campagna di rettificazione del settore digitale e tecnologico degli anni scorsi era funzionale anche a reindirizzare sforzi e fondi verso un settore ritenuto così strategico. E i risultati si vedono, visto che secondo vari report entro il 2024 le aziende cinesi dovrebbero riuscire a produrre semiconduttori avanzati a 5 nanometri, in anticipo sulla tabella di marcia e nonostante le restrizioni americane.

Ora c'è anche un altro settore particolarmente redditizio come quello dell'aviazione. Proprio martedì 20 febbraio è stato presentato al Singapore Airshow il C919 a fusoliera stretta prodotto dalla Commercial Aircraft Corporation of China (COMAC). La Cina ha investito molto nel tentativo di spezzare la presa dei due produttori occidentali di aerei dominanti sul mercato globale dei passeggeri, Airbus e Boeing.

L'aereo è certificato solo in Cina e il primo dei quattro C919 ha iniziato a volare con la China Eastern Airlines lo scorso anno. Con Airbus e Boeing che faticano a incrementare la produzione e a soddisfare la domanda di nuovi aerei, e con Boeing alle prese con una serie di crisi, l'industria aeronautica sta osservando come COMAC si posiziona come una valida alternativa. COMAC investirà decine di miliardi di yuan nei prossimi 3-5 anni per espandere la capacità produttiva del C919, cercando anche il via libera delle autorità dell'aviazione dell'Unione Europea. Come a dire: sappiamo volare anche senza il vostro aiuto.

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