Cina: la riforma fiscale di Xi fa tremare il lusso, made in Italy compreso

I brand del lusso (compresi quelli del Made in Italy) temono la riforma fiscale di Xi

di Lorenzo Lamperti
Esteri
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Da una parte la "prosperità comune", dall'altra il contrasto al cambiamento climatico. I beni di lusso inquinanti rischiano di finire in mezzo a una doppia tenaglia in Cina. Il presidente Xi Jinping ha annunciato ad agosto che a breve verrà introdotta una riforma fiscale. I contenuti non sono ancora stati svelati ma lo saranno presto, in occasione del sesto plenum del Partito comunista cinese in programma tra l'8 e l'11 novembre prossimi. Quattro giorni durante i quali prenderà forma la visione di Xi sul futuro della Repubblica Popolare. Una visione nella quale non c'è più spazio per sviluppo incontrollato e dovrà esserci sempre meno posto anche per le emissioni non in linea con gli obiettivi ambientali di Pechino.

Cina, i brand del lusso (compresi quelli del Made in Italy) temono la riforma fiscale di Xi

Ecco perché, come spiega Bloomberg cercando di anticipare alcuni dei contenuti della riforma fiscale che si sta in realtà discutendo in queste settimane prima dell'annuncio in pompa magna durante la plenaria del Partito, ci aspetta che verranno aumentate in maniera significativa le tariffe su tutti i beni e i prodotti che comportano un'alta quantità di emissioni inquinanti oppure un forte consumo di energia. I marchi internazionali di lusso e abbigliamento, compresi quelli italiani, attendono con ansia. Anche perché l'immenso mercato cinese rappresenta ormai una fonte di ricavo insostituibile e indispensabile per la maggior parte delle boutique mondiali e made in Italy. Basti ricordare quanto accaduto qualche tempo fa con D&G ma non solo. I produttori di beni di lusso sanno che in Cina ci devono stare e lo share di quel mercato sul totale delle entrare è in costante aumento. 

Ecco perché ora da perdere ci sarebbe tanto. Non si tratta dell'unico settore a rischio. Xi ha operato una stretta su diversi comparti. A partire da quello tecnologico, passando per quello dell'entertainment e per arrivare ovviamente a quello immobiliare. Pechino non vuole più sviluppo incontrollato, investimenti a debito ad alta esposizione di rischio, concentrazione di dati e di potere nelle mani delle piattaforme digitali. E allo stesso tempo non vuole neppure ostentazione di ricchezza e comportamenti giudicati "immorali". Tutto ruota intorno alla retorica della redistribuzione della prosperità, che dovrà diventare comune entro il 2050, dice Xi. 

Dieci anni più tardi, invece, nel 2060, la Cina dovrà aver raggiunto la neutralità carbonica. Ecco perché si sta provando a limitare le emissioni. Anche se la recente crisi energetica ha costretto le autorità a rivedere la timeline del loro stop al carbone. Un problema che dimostra anche la difficoltà di Pechino di diversificare le propri fonti energetiche e procedere verso l'implementazione di quelle rinnovabili e degli obiettivi green annunciati da Xi. eccato che al momento la domanda e la produzione di carbone continuino ad aumentare. Anche a causa delle necessità post Covid, l'utilizzo delle fonti tradizionali di energia sono in crescita e questa tendenza non accennerà a cambiare nei prossimi anni. 

L'impatto di queste tendenze potrebbe portare a quello che Giuliano Noci ha definito "rallentamento strutturale". Nomura ha tagliato le stime per il 2021 dal +8,2% al +7,7%. Stime già corrette pochi giorni fa da Fitch, che era scesa dal +8,4% al +8,1% per il rallentamento del settore immobiliare. I dati del terzo trimestre, rilasciati pochi giorni fa, hanno mostrato un rallentamento della crescita al 4,9%, sotto le previsioni. Al Partito, per ora, non sembra importare più di tanto. Sembra essere stato messo in conto qualche rallentamento pur di "riordinare" le stanze di casa.