“Cinesizzare” il mondo con la digitalizzazione. Il piano ONU-Bill Gates
L’incubo totalitario che incombe sull’Occidente: l’imposizione dell’identità digitale globale. Ecco il progetto “50-in-5”, lanciato da ONU e Fondazione Gates
Tutto parte con 11 Paesi modello, molti del terzo mondo, che faranno da apripista poi... Se lo Stato decide che si devono depositare dei rifiuti tossici sotto casa tua...
L’anno da tenere sott’occhio è il 2028. Momento in cui le Nazioni Unite, la Fondazione Bill e Melinda Gates e i partner della Fondazione Rockefeller vogliono impiantare in parte dell’umanità un’infrastruttura pubblica digitale globale (DPI), per poi estenderla al resto del pianeta.
La campagna si chiama “50-in-5” e serve ad accelerare l’ID digitale totale. Cos’è? Vuol dire avere un mondo dove tutti sono tracciati grazie a tre cose fondamentali: un’identità digitale specifica, un conto in banca e uno smartphone. Tutti dovranno avere questi tre pilastri. Su di loro si edifica la vita.
“50-in-5”, spiega l’agenzia ONU UNDP, “sottolinea l’impegno unitario dei Paesi partecipanti a lavorare insieme per implementare DPI sicure e inclusive”. I benefattori di questo programma? “La Fondazione Bill & Melinda Gates, il Centro per l'infrastruttura pubblica digitale, Co-Develop (Fondazione Rockefeller), la Digital Public Goods Alliance e il Programma di sviluppo delle Nazioni Unite (UNDP) che è supportata da GovStack, l'Inter Banca americana per lo sviluppo e l’UNICEF”. Così dai passaporti alla riscossione delle tasse, dai pagamenti dei pedaggi al diritto al voto, dall’adattamento climatico all’accesso al lavoro, dalle cure ai vaccini, fino alla regolazione della vita urbana, tutto sarà controllato e regolato dagli Stati, con un’inevitabile sparizione dell’individuo.
Per i critici, tra cui Tim Hinchliffe, redattore del blog di notizie tecnologiche The Sociable, tra i più popolari in Irlanda e nel mondo aglosassone europeo, è enorme la preoccupazione, vista la maggiore sorveglianza e il controllo collegati all'identità digitale, al CBDC (le valute digitali delle banche centrali), ai passaporti vaccinali e al monitoraggio dell'impronta di carbonio. L’avvocato californiano specializzato in privacy Greg Glaser non è da meno: ha definito la campagna ONU un “incubo totalitario”, spiegando che potrebbe facilmente portare a risultati distopici. Intanto in Italia neanche se ne parla.
Il pericolo, visto il modello basato sulla condivisione dettagliata dei propri dati, preferenze, acquisti, idee, finanche spostamenti, è che in questo modo si dia un credito sociale al diritto di cittadinanza; cioè si possa facilmente istituire un modello di sviluppo basato sulle valutazioni dei burocrati dello Stato che classifichino la reputazione dei propri cittadini con punteggi e sanzioni. Un riconoscimento se fai ciò che i burocrati dello Stato considerano virtuoso, una sanzione per ciò che ritengono non lo sia.
Pensare ad un sistema di sorveglianza di massa è inevitabile. In Cina, dove già esiste con la digitalizzazione totale della società, i punti di merito si guadagnano con le buone azioni, tra cui “lodare lo Stato”, recita la normativa. Le punizioni invece includono la pubblica vergogna, l’esclusione dalla prenotazione di voli o biglietti ferroviari, l’accesso limitato ai servizi pubblici e le sanzioni pecuniarie. Se lo Stato decide che si deve costruire una tal strada, depositare dei rifiuti tossici sotto casa tua o si taglia una foresta, si dovrà farlo e basta e chi è contrario sappiamo già che fine fa.
Ma per adesso della parte oscura del progetto nessuno parla. E’ tutto bello come nella fiaba di Biancaneve: ai ricchi borghesi e ai moderni Fantozzi del nostro tempo viene fatto sognare di vivere immersi in un facilitato bengodi dei consumi.
La campagna, spiega l’ONU, stimolerà la costruzione di “una rete sottostante” che crei un mondo fondato sui “pagamenti digitali, identità e sistema di scambio di dati”. Si inizia con 11 paesi che faranno il primo step. Si chiamano “First Mover” e spiega l’ONU, questi Paesi “abbracciano aree geografiche e livelli di reddito diversi: Bangladesh, Estonia, Etiopia, Guatemala, Moldavia, Norvegia, Senegal, Sierra Leone, Singapore, Sri Lanka, Togo”. Se escludiamo Norvegia e Singapore, il cui sviluppo tecnologico è già furiosamente in linea col modello, non si tratta certo di fulgidi esempi di democrazia. Ma che importa. I Paesi più poveri e meno democratici sono più facilmente manipolabili e controllabili. “Questi Paesi”, spiega l’UNDP, il programma che l’ONU dedica allo sviluppo, “fungono da fari di progresso e ispirazione per i Paesi per costruire le proprie basi digitali e migliorare le proprie economie e il benessere delle persone”.