Cisgiordania sotto assedio, Israele accelera verso l'annessione: ecco perché la tregua a Gaza è solo strategica

La sinergia tra le offensive disegna un progetto unitario che lascia poco spazio a soluzioni pacifiche. Mentre l’Autorità Palestinese affonda in un'irrilevanza politica sempre più evidente

di Alessandra M. Filippi
Esteri

Il cessate il fuoco a Gaza appare come una pausa strategica, utile a Israele per consolidare il controllo sulla Cisgiordania e accelerare l’annessione.... L'analisi 

Mentre il cessate il fuoco a Gaza, annunciato il 15 gennaio, ha portato un’apparente tregua nel devastante conflitto che ha segnato l'enclave negli ultimi quindici mesi, una nuova ondata di violenza si è abbattuta sulla Cisgiordania occupata. Gli eventi recenti suggeriscono un piano più ampio: un'accelerazione delle dinamiche di annessione, con un concomitante cruento aumento degli attacchi dei coloni e delle operazioni militari israeliane.

Dati allarmanti delineano un quadro di escalation: dal 7 ottobre 2023, oltre 856 palestinesi, inclusi donne e minori, sono stati uccisi in Cisgiordania, secondo l’OCHA, mentre migliaia sono stati arrestati. Solo nelle ultime 48 ore, più di 80 palestinesi sono stati fermati dalle forze israeliane. Questo incremento di violenze richiama il modus operandi già osservato a Gaza, dove oltre 47.100 palestinesi hanno perso la vita dall'inizio della guerra.

La strategia a Jenin: una fotocopia di Gaza

Secondo Shady Abdullah, giornalista e attivista per i diritti umani di Tulkarem, il timore diffuso tra i palestinesi è che la Cisgiordania possa seguire lo stesso tragico destino di Gaza. “Abbiamo assistito a un genocidio a Gaza per 15 mesi e nessuno ha mosso un dito. Qui temiamo che la situazione possa peggiorare molto presto”, ha dichiarato ad Al Jazeera. Le operazioni militari israeliane lanciate su larga scala, come i raid su Jenin, stanno già distruggendo infrastrutture essenziali e seguono un copione che è la fotocopia di quello che abbiamo visto mettere in atto a Gaza.

Oggi, come fossimo immersi in un loop, le Nazioni Unite hanno avvertito del rischio di ulteriori vittime civili e di un collasso totale dei servizi di base, esattamente come hanno fatto inutilmente per 15 mesi per la Striscia. Il portavoce del Segretario generale delle Nazioni Unite, Farhan Haq, ha descritto una situazione catastrofica: “Da ieri l’ospedale governativo di Jenin è stato scollegato dalla rete idrica ed elettrica. Si trova ora a operare grazie a riserve di emergenza che si stanno rapidamente esaurendo”. Inoltre, i raid israeliani hanno reso Jenin "quasi inabitabile" e hanno costretto all’evacuazione gli abitanti. Parole e scene che ricordano l’anno e mezzo di assedio, devastazione e morte a Gaza.

Resistenza e repressione

Le operazioni militari israeliane stanno incontrando una crescente resistenza da parte delle fazioni armate palestinesi. A Jenin, il battaglione delle Brigate al-Quds della Jihad Islamica ha riferito di scontri con l’esercito israeliano, mentre le Brigate Qassam di Hamas hanno ingaggiato combattimenti nei villaggi circostanti. Tuttavia, le rappresaglie israeliane si intensificano: case rase al suolo, infrastrutture annientate e un bilancio umano sempre più grave.
Organizzazioni come Medici Senza Frontiere denunciano ostacoli all’accesso alle cure mediche, con ambulanze e personale sanitario bloccati dalle forze israeliane. “Le persone vengono colpite durante le evacuazioni e i feriti non possono essere raggiunti”, ha dichiarato un paramedico che ha preferito restare anonimo.


L’ombra di Trump e i giochi geopolitici

Dietro questa nuova fase del conflitto si intravedono manovre politiche e interessi economici che, lungi dal trascendere il Medio Oriente, lo inglobano pienamente come teatro di ambizioni internazionali e locali. Sono tanti i donatori dell’élite ebraica che hanno contribuito alla campagna elettorale di Donald Trump. Molti di loro sostengono alla luce del sole anche lo sviluppo degli insediamenti in Cisgiordania. Una di loro è stata oggetto di attenzione di un articolo di Haaretz del 3 giugno 2024, nel quale, senza giri di parole, veniva riportato che Trump bramava “disperatamente” ai sui soldi.

Lei è Miriam Adelson, ricca vedova di Sheldon Adelson, ex CEO e presidente della società di casinò Las Vegas Sands, grande amico del Tycoon, scomparso all'età di 87 anni nel 2021. Da lui ha ereditato un’immensa fortuna che ne fa la 5ª donna più ricca del mondo, la prima in Israele, con un patrimonio netto stimato di 31,7 miliardi di dollari secondo Forbes. È stata la più grande donatrice di Trump. In cambio avrà avuto qualcosa. Magari la stessa chiesta da altri donatori: l’annessione israeliana della Cisgiordania e il riconoscimento da parte degli Stati Uniti della sovranità di Israele su tutte le regioni del Paese. 

Questa dinamica non è isolata, ma si inserisce in un contesto più ampio, dove potenti lobby e influenti donatori americani, ebrei e non, sembrano aver esercitato una pressione significativa per spingere Trump e la sua amministrazione a sostenere gli interessi di Israele.

Analizzando sotto questa angolazione il drammatico quadro che si sta delineando in Cisgiordania, con demolizioni e espulsioni che s’intensificano, così come a Gerusalemme Est, dove l’esercito israeliano continua a demolire abitazioni palestinesi e a imporre restrizioni di movimento, esasperando ulteriormente le tensioni, è più facile comprendere quali possano essere gli obiettivi ufficiosi che si nascondono dietro l'operazione "Muro di ferro", ufficialmente lanciata per eradicare Hamas e i terroristi.

Uno scenario senza speranza? 

Il cessate il fuoco a Gaza appare come una pausa strategica, utile a Israele per consolidare il controllo sulla Cisgiordania e accelerare l’annessione. La sinergia tra le offensive sui due fronti disegna un progetto unitario che lascia poco spazio a soluzioni pacifiche. Mentre l’Autorità Palestinese affonda in un'irrilevanza politica sempre più evidente, la "soluzione a due stati" — già un miraggio — sembra dissolversi definitivamente.

Eppure, la storia non è immutabile. L’umanità ha più volte trovato una via quando tutto sembrava perduto. Le proteste globali, la resilienza del popolo palestinese e una crescente consapevolezza internazionale potrebbero ancora invertire la rotta. Perché, come ricorda Mahmoud Darwish: “Siamo condannati alla speranza. Ciò che accade oggi non sarà la fine.”

Trump ha detto che farà “finire la guerra”. Ma a quale prezzo, e con quali promesse? Chissà cosa ha garantito ai potenti donatori e alle lobby che lo sostengono. Forse una pace costruita sulla sottomissione e sull’annessione?

La vera pace, però, non si ottiene attraverso compromessi unilaterali o giochi di potere. Si costruisce negoziando, fra nazioni e fra popoli, secondo regole condivise e nel rispetto della giustizia. Solo così potrà esserci una speranza reale di porre fine a questa lunga e devastante tragedia.

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