Crisi in Bosnia: l’Istituto Friedman lancia l’allarme sul rischio di un nuovo conflitto civile

L’arresto mancato di Milorad Dodik e le crescenti tensioni tra Sarajevo e la Republika Srpska accendono l’allerta nei Balcani

di redazione
Esteri

Escalation in Bosnia, Istituto Friedman: subito revoca arresto Dodik e mediazione di Roma e Washington

L’Istituto Friedman esprime profonda preoccupazione per l’escalation della crisi politica in Bosnia-Erzegovina, che rischia di destabilizzare non solo il Paese ma l’intera regione balcanica, con gravi conseguenze per la pace in Europa. Gli eventi di ieri sera, mercoledì 23 aprile 2025, durante i quali le forze di polizia statale bosniaca (SIPA) hanno tentato di arrestare il presidente della Republika Srpska Milorad Dodik, e il conseguente intervento della polizia della Republika Srpska per bloccare il tentativo di arresto, sono un segnale allarmante di come la situazione stia rapidamente degenerando. Tali fatti evidenziano il rischio concreto di un’esplosione dell’escalation che potrebbe sfociare in un nuovo conflitto civile, simile a quello che ha insanguinato la Bosnia negli anni ’90.
 
Il mandato di cattura emesso dalla Corte di Sarajevo nei confronti di Dodik, accusato di attentato all’ordine costituzionale, rappresenta un atto che, lungi dal promuovere stabilità, acuisce le tensioni esistenti sopprimendo il dialogo. Tale iniziativa, percepita come un attacco diretto all’autonomia della Republika Srpska, non può che alimentare un clima di scontro e sfiducia tra le diverse componenti etniche del Paese. A riprova di ciò il rifiuto dell’Interpol di emettere un mandato d’arresto internazionale in quanto la condanna non rispetterebbe i requisiti previsti dallo Statuto della stessa organizzazione. La decisione di Sarajevo di perseguire questa strada, ignorando le profonde divisioni politiche e culturali, appare come una provocazione che rischia di spingere la Bosnia verso un punto di non ritorno.

"Riteniamo che la comunità internazionale, invece di mediare e favorire il dialogo, stia contribuendo a esasperare il clima, schierandosi in modo parziale con gli uni o con gli altri senza considerare le legittime preoccupazioni di tutte le parti coinvolte. L’Istituto Friedman invoca con urgenza il rispetto degli Accordi di Dayton, che dal 1995 costituiscono il pilastro della pace in Bosnia-Erzegovina, garantendo un delicato equilibrio tra le entità che compongono il Paese. Chiediamo il ritiro immediato del mandato di cattura nei confronti di Milorad Dodik, un atto che, invece di portare giustizia, rischia di scatenare violenza e di compromettere irrimediabilmente il dialogo e la stabilità della regione. La storia ci insegna che forzature di questo tipo non portano a soluzioni durature, ma a ulteriori divisioni e conflitti. Esprimiamo altresì preoccupazione per le derive islamiste segnalate anche dagli analisti nel Paese e per l’ascesa di gruppi radicali. Proponiamo che l’Italia, con la sua tradizione di mediazione diplomatica e il suo ruolo storico nei Balcani, si faccia promotrice di un dialogo inclusivo tra tutte le parti coinvolte. Allo stesso modo, facciamo appello alla nuova amministrazione USA guidata da Donald Trump, che ha dimostrato attenzione per la stabilità internazionale, affinché si impegni attivamente nel favorire un negoziato che ponga fine a questa spirale di tensione. Solo attraverso un dialogo aperto e rispettoso, che tenga conto delle aspirazioni e dei timori di tutte le comunità, sarà possibile preservare la pace e costruire un futuro di convivenza. L’Istituto Friedman si impegna a monitorare da vicino l’evoluzione della situazione e a sostenere ogni iniziativa volta a preservare la pace e a promuovere la riconciliazione in Bosnia-Erzegovina. La comunità internazionale ha il dovere di agire con responsabilità e lungimiranza, prima che sia troppo tardi”, così in una nota l’Istituto Milton Friedman Institute.

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