Dossieraggio e guerra in Medio Oriente, dalla cybersecurity allo spionaggio: così Israele impone il suo dominio

Storie di notizie ignorate, accordi taciuti, privilegi a senso unico, tra spionaggio, controllo digitale e pulizia etnica a Gaza

di M. Alessandra Filippi
Gaza
Esteri

Israele e Italia: cybersecurity, guerra e Intrighi globali

Il professor Mohammad Marandi, analista politico e docente di Letteratura inglese e orientalismo all’università di Teheran, lo scorso 26 ottobre ha offerto su Al Jazeera un’icastica analisi del conflitto a Gaza. “A Gaza è in corso un genocidio, un Olocausto. Nella parte settentrionale la gente viene affamata e massacrata con il sostegno dell’Occidente, che così facendo sta distruggendo la sua immagine nel mondo, che si rende conto di quel che sta accadendo. Tutto questo avrà un impatto enorme sul futuro. Anche gli atteggiamenti verso il regime israeliano sono mutati. Il martirio di Sinwar non indebolirà Hamas. Lo renderà molto più popolare. Anche Hezbollah sta emergendo più forte nonostante il martirio di Said Hassan Nasrallah. Il fatto che Israele dopo oltre mese non riesca a penetrare in Libano la dice lunga. Fa errori di calcolo: non vuol riconoscere che il mondo è cambiato, la regione è cambiata e con lei la gente del Libano e della Palestina”.

Secondo Marandi “Netanyahu può espandersi quanto vuole, ma è ancorato al passato. Alla fine, assisteremo a una sconfitta”. La strategia del governo israeliano, infatti, appare fondata su una visione superata del Medio Oriente. “Nel 1956, quando gli israeliani attaccarono l'Egitto, arrivarono fino al Canale di Suez; qui non riescono nemmeno a prendere Gaza. Nel 1982 invasero il Libano, raggiungendo Beirut in pochi giorni; oggi, sono bloccati al confine da oltre un mese”. La resistenza non violenta del popolo palestinese, contro i devastanti bombardamenti israeliani sembra avvalorare la posizione di Marandi. “Anche con l’assassinio di Yahya Sinwar e Hassan Nasrallah, Hamas e Hezbollah non sono allo sbando. In Libano combattono e tengono testa all’esercito israeliano, che ha subito molte perdite, anche se vengono nascoste. Anche questo dimostra che il mondo è cambiato: americani ed europei dovranno affrontare la realtà”.

Cambiamenti che non sembrano toccare il marcescente sistema politico dell’Ovest. Un contesto bipolare che, nonostante i mutamenti verso un ordine multipolare, continua ad arrogarsi il diritto di dettar legge a tutti gli altri attori. Un sistema corroso da decenni di lobbismo sovranazionale, sostenuto da governanti eletti da popolazioni sempre più ignare. Questi sistemi clientelari fanno capo a minoranze extranazionali, più interessate a soddisfare i propri interessi che a promuovere il bene comune. È noto che, soprattutto dalla fine della Guerra dei Sei Giorni (1967), le relazioni tra Stati Uniti e Israele siano diventate il fulcro della politica mediorientale statunitense. Un incisivo e ben documentato studio di John Mearsheimer e Stephen Walt, La lobby israeliana e la politica estera degli Stati Uniti, pubblicato nel 2007, dimostra l’influenza che da decenni esercita sulle decisioni politiche americane. Le cose non sono cambiate; al contrario, si sono perfezionate, raggiungendo livelli mai visti prima. (vedi: https://www.affaritaliani.it/esteri/israele-e-quella-quiescenza-occidentale-che-ricorda-i-tempi-di-hitler-939061.html).

Mearsheimer e Walt spiegano come questa lobby operi e quali siano le sue implicazioni sulla politica estera americana. Ancora oggi questo testo è illuminante. “Dalla Guerra del Kippur (1973), Washington ha fornito ad Israele un supporto tale da fare impallidire quello dato a qualunque altro paese: dal 1976 è il maggiore beneficiario annuale di sovvenzioni militari ed economiche; il maggior beneficiario in assoluto dalla fine della Seconda Guerra Mondiale”. Ogni anno Israele riceve dagli USA oltre 3 miliardi di dollari in finanziamenti diretti, un quinto dell’intera somma destinata agli aiuti esteri. “Tutta questa generosità colpisce soprattutto perché Israele è una ricca potenza industriale, con un reddito pro capite molto alto”. E mentre gli altri beneficiari ricevono denaro con cadenza trimestrale “Israele lo riceve interamente all’inizio di ogni anno fiscale; quindi, ha anche la possibilità di percepirne gli interessi”. Inoltre, la maggior parte dei destinatari di aiuti militari sono obbligati a spendere tutta la cifra negli Stati Uniti; a Israele, invece, “è concesso di utilizzarne circa il 25% per sostenere la propria industria bellica”. In definitiva, “È l’unico che non deve dar conto di come li spende”.

Dagli anni ‘90, e con ancor più vigore dopo l’11 settembre, la narrazione subisce una metamorfosi. Si passa dallo “stato coccolato” “all’alleato da proteggere”. È a partire infatti da quegli anni che il sostegno a Israele viene narrato come indispensabile poiché “entrambe le nazioni sono minacciate dal terrorismo arabo e musulmano”, e dagli “stati canaglia che appoggiano gruppi terroristici e preparano armi di distruzione di massa”. Saddam Hussein venne eliminato usando questa scusa. L’obbiettivo di questa narrazione, vecchia di 30 anni e sempre sulla breccia, è quello di presentare Israele “come un alleato strategico nella guerra al terrorismo”. I suoi nemici sono i nostri nemici, a prescindere. Dall’11 settembre il mondo è in lotta: benedetti contro i maledetti. “The Blessing & The curse”, come ci ha ricordato Netanyahu, a prova di scemo, con le mappe mostrate durante il suo ultimo discorso alle Nazioni Unite.

Il “terrorismo” è diventato così un granitico ingrediende della propaganda, una strategia, una narrazione, un format impiegato in dosi equine da un vasto assortimento di gruppi politici e di lobby per giustificare e legittimare qualunque scelta e decisione. E questo malgrado fosse, e lo sia tutt’ora, evidente che il terrorismo che minaccia Israele non è quello che minaccia gli Stati Uniti, né tanto meno l’Europa. Secondo Mearsheimer e Walt “Il terrorismo palestinese non è una violenza casuale diretta contro Israele o contro un generico Occidente, bensì una risposta alla brutale e reiterata campagna di colonizzazione e occupazione della Cisgiordania, di Gerusalemme Est e della Striscia di Gaza condotta dagli israeliani”.

Dire che Israele e gli Stati Uniti condividono una comune minaccia terroristica è una menzogna. “Gli Stati Uniti sono minacciati dal terrorismo a causa della loro stretta alleanza con Israele. Non il contrario”. I cosiddetti “stati canaglia” in Medio Oriente diventano una minaccia per gli altri nel momento in cui lo sono per Israele il quale, dal giorno della sua unilaterale dichiarazione di nascita, non hai mai mancato occasione di minacciare i suoi vicini, sebbene siano 76 anni che fa credere il contrario.

Da 392 giorni assistiamo a uno sterminio trasmesso in diretta che non ha precedenti nella storia dell’umanità. Da 13 mesi, increduli, osserviamo Israele irridere i massimi organi e istituzioni mondiali. In particolar modo le Nazioni Unite che a loro volta hanno brillato per la loro irrilevanza. L’ombra del disonore danza, ebbra di sangue, nei corridoi del potere sparsi a Ovest del sole. Risoluzioni, dispositivi, sentenze, tutto ha ignorato Israele, e con altrettanta sfacciata impunità ha stracciato anche l’intero corpus del Diritto Internazionale e dei Diritti Umani.

Crimini di guerra e crimini contro l’umanità si susseguono senza sosta da 392 giorni. Ne ha accumulati migliaia: la collina del disonore, sua e dell’Occidente, si chiama Gaza. Ha il volto dei 20.000 bambini ridotti in poltiglia dal più morale esercito del mondo. E il peso di 150mila corpi, fra morti e feriti, massacrati da missili targati USA, prima democrazia al mondo. Alcuni sono firmati, con tanto di cuoricino rosa e l’invito a “sterminarli tutti”, dalla ex candidata repubblicana alle primarie Nikki Haley che, come l’impeccabile protagonista del film “La zona di interesse”, è un modello vivente della banalità del male.

Davanti a questo genocidio, ha davvero senso ripetere, come dischi rotti, che 'Israele ha il diritto di difendersi'? Da chi, esattamente? Dai medici con bisturi, dagli infermieri con garze, dalle madri coi biberon o dai neonati con i ciucci? E per chi definisce Israele “l’unica democrazia del Medio Oriente” e un “nostro alleato”, è urgente chiedersi su quali basi si fondi questo assioma. Uno Stato che da 76 anni pratica oppressione e pulizia etnica, può dirsi davvero democratico?

Dal 1967 in Cisgiordania pratica l’apartheid, negandolo. Da allora promuove e costruisce nuovi insediamenti illegali, ignorando il Diritto Internazionale, divieti e sentenze. Tanto leggi e regole valgono per gli altri, non per lui. Con gli anni, grazie all’insipienza e mollezza di molti, la sua occupazione si è fatta via via più feroce e spietata. Oggi nei Territori occupati vivono illegalmente più di 800.000 coloni ebrei ultraortodossi, alla più parte dei quali il ministro della Difesa Ben Gvir distribuisce fucili e munizioni come fossero tramezzini o caramelle.

Dal 7 ottobre 2023, in Cisgiordania, sono stati arrestati oltre 11.200 civili palestinesi, fra loro molte donne e centinaia di bambini; quasi 800 sono quelli uccisi dai coloni e i militari dall’inizio del conflitto, 160 dei quali sono bambini. I soldati, spesso e volentieri, assistono passivi alle incursioni di coloni che devastano campi, bruciano uliveti, mettono a fuoco macchinari, auto, case. E uccidono, con una barbarie e una ferocia testimoniate dai video che circolano su internet e sui social, e dai servizi e inchieste di Al Jazeera che, malgrado le messe al bando, divieti e censure imposti da Israele, non cessa la sua campagna di informazione.

Un altro aspetto cruciale è quello dell’Intelligence. Secondo il General Accounting Office degli Stati Uniti (equivalente della nostra Corte dei Conti), “Israele conduce la più aggressiva campagna di spionaggio nei confronti degli Usa di qualunque altro alleato”. Intendiamoci, non è il solo a farlo; tuttavia, la sua “tendenza a spiare i suoi benefattori dovrebbe far sollevare parecchi dubbi circa la sua effettiva lealtà”. Da anni, inoltre, lavora al monopolio della cybersecurity per consolidare il controllo digitale. E nell'ultimo anno, a Gaza, ha testato strumenti di riconoscimento facciale con IA che permettono di targetizzare e localizzare le persone, trasformandole in bersagli, come rivelato da un’indagine di +972 e Local Call. (vedi articolo 5 maggio 2024 https://www.affaritaliani.it/esteri/gaza-il-lato-oscuro-della-guerra-ai-tempi-dell-intelligenza-artificiale-ecco-915229.html)

Nel campo della cybersecurity rientra anche l’attuale clamorosa inchiesta sui dossieraggi, destinata ad allargarsi ben oltre i confini nazionali, una vicenda dai risvolti via via più inquietanti. Nuove indagini hanno rivelato un filone israeliano legato al Mossad. Le cose non sono certamente collegate, ma val la pena ricordare due fatti ai quali la stampa italiana, al tempo, non ha dato rilievo. Il primo risale all’8 marzo 2023, quando Netanyahu, in visita a Roma per discutere con Giorgia Meloni di gas, acqua e sicurezza, firma un accordo con il nostro governo per l’appaltato di una parte della gestione dei servizi di cybersecurity italiani. Scelta preceduta, due giorni prima, dalle dimissioni di Roberto Baldoni, direttore dell’Agenzia per la cybersicurezza nazionale, al posto del quale, il 9 marzo, viene nominato un fedelissimo della Meloni, il Prefetto di Roma Bruno Frattasi.

Il secondo evento risale alla metà dello stesso mese di marzo. Pochi giorni dopo la visita di Netanyahu, a Roma arriva il professor Manuel Trajtenberg, direttore dell’Institute for National Security Studies (INSS) di Tel Aviv. La sua missione è firmare un accordo con Marco Minniti, presidente della Fondazione Med-Or, ex ministro dell’Interno del PD, per “avviare progetti di ricerca congiunti sulle questioni di geopolitica e sicurezza nel Mediterraneo allargato”. La Med-Or, sostenuta e finanziata da Leonardo SpA, e l’INSS di Tel Aviv – che opera a livello internazionale, con focus su temi militari, strategici, terrorismo, conflitti a bassa intensità, spese militari nella regione mediorientale e cyber war – collaboreranno, secondo Minniti, per “Approfondire questioni sempre più rilevanti alla luce dei profondi cambiamenti che interessano la regione mediterranea e che vedranno un coinvolgimento crescente di Italia e Israele nei prossimi anni”. Minniti è consapevole che l'INSS sostiene la 'Dottrina militare Dayhiya', attuata da oltre un anno a Gaza e da un mese in Libano: una strategia caratterizzata da risposte abnormi e sproporzionate, mirate alla massima distruzione del nemico?

Nella migliore delle ipotesi, quanto osserviamo è solo la punta di un iceberg più vasto. Questo dominio esercitato da Israele non si limita alla forza militare: la sua influenza si estende ormai anche al controllo digitale, capace di monitorare, schedare e, infine, influenzare. Rompiamo una volta per tutte un tabù: la sua esistenza non è in pericolo. Piuttosto, è in grave pericolo quella dei palestinesi. Israele non è David contro Golia. Oggi è chiaro che sono i palestinesi a incarnare David e a resistere al Golia tecnologico e militare israeliano. Questo conflitto va oltre il campo di battaglia fisico, arrivando a invadere l’ambito digitale, dove il controllo è totale e la sorveglianza costante. Riconoscere e interrogarsi su queste strategie di controllo globale senza precedenti è ormai un imperativo, poiché le tecnologie emergenti stanno ridefinendo i concetti stessi di libertà e democrazia.

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