Gaza, cancellare la memoria di un popolo equivale ad annientarlo
L'esercito israeliano ha proseguito la demolizione di centinaia di edifici al confine di Gaza. I carri armati hanno sparato su civili inermi e...
Gaza, cancellare la memoria di un popolo equivale ad annientarlo
A nord di gaza City oggi i carri armati israeliani hanno sparato sui civili inermi in fila per ricevere aiuti umanitari. È stata una carneficina: oltre 20 morti e più di 160 feriti. Le Nazioni Unite affermano che pesanti combattimenti hanno avuto luogo intorno a due ospedali a Khan Younis - Nasser e Al-Amal –, e riferiscono che il personale medico, pazienti e sfollati intrappolati all’interno erano terrorizzati e senza via di uscita, perché se avessero tentato la fuga sarebbero stati uccisi dai cecchini, addestrati per sparare a qualunque cosa si muova.
In chiaro disprezzo delle richieste degli Stati Uniti, l’esercito israeliano ha inoltre proseguito la demolizione di centinaia di edifici al confine di Gaza, giustificandole con la necessità di creare “una zona cuscinetto”. L'ostinazione con la quale stanno chirurgicamente demolendo infrastrutture, università, ospedali, biblioteche, musei, moschee, scuole, palazzi pubblici, condomini, fa pensare a un disegno che va ben oltre le necessità di creare zone di sicurezza controllate.
La demolizione e distruzione degli archivi del paese ha inoltre creato una voragine insanabile nella memoria collettiva di un intero popolo che adesso, oltre a non aver più terra ne casa, non avrà nemmeno più traccia della sua storia, delle sue proprietà, dei suoi antenati, della sue radici, del suo passaggio. In poche parole, si ritrova sulla terra come se non avesse mai avuto un passato.
Immaginate, per un attimo, di essere voi al posto loro. Di perdere tutto in pochi secondi, di dover scappare da casa vostra lasciandovi dietro ogni cosa, potendo portar con voi solo un sacchetto, una valigia, uno zaino. E immaginate di scappare braccati come cani, in mezzo a fango, freddo, macerie, fra bombe e proiettili, missili e edifici che crollano. Senza acqua, senza cibo, senza conforto. E immaginate di aggiungere a questo sconquasso la presa di coscienza che anche tutti i documenti di una vita sono andati in fumo fra le macerie della vostra città. Niente anagrafe, niente registro dei beni immobili, delle terre, niente atti notarili, niente di niente. Come se non foste mai nati.
Provo un radicato orrore per tutto quello al quale stiamo assistendo. Un orrore che cresce giorno dopo giorno.
Non riesco proprio a far finta di nulla. Avevo un nonno, di origine ebrea, salvato dall’allora direttore generale della FIAT Vittorio Valletta, perché era un grande giovanissimo ingegnere, una risorsa preziosa, oltre che un’anima bella: come progettava lui i grandi motori per navi e sommergibili non c'era nessuno. L'8 settembre lo sorprese all'Arsenale di Venezia, dove lui era responsabile della progettazione e della realizzazione, appunto, dei grandi motori per navi e sommergibili. Su ordine di Valletta lo "trafugarono" nascondendolo nella spazzatura con un tempismo che ha del miracoloso, un secondo prima che le soldataglie fasciste facessero irruzione nello stabilimento. In modo altrettanto rocambolesco lo portarono a Taranto dove rimase fino alla fine della guerra. È stato fortunato, mio nonno, eppure da quella esperienza non si è mai più ripreso. Mai più. Anche se ha continuato a lavorare, a progettare grandi motori, questa volta per pozzi petroliferi, che è andato costruendo e collaudando in giro per il mondo, portandomi ogni volta dai suoi viaggi in oriente mille regali che hanno contribuito ad alimentare nella mia fantasia di bimba la fascinazione per quell’angolo di mondo. Il nonno non si è mai più ripreso e appena è andato in pensione si è tolto la vita.
Perché racconto per la prima volta questa storia, che nemmeno lui amava condividere? Perché voglio ricordare, una volta di più e meglio, che le ferite della guerra non si rimarginano, lasciano cicatrici profondissime che non guariscono. Perché noi non siamo cresciuti fra le macerie e forse non ci rendiamo conto che intere generazioni di bambini e ragazzi. A gaza, come in tutte le altre parti del mondo dove la guerra semina morte, stanno crescendo in mezzo ai calcinacci delle loro vite; in mezzo all'odio e alla morte, all'orrore e alla violenza, e non potranno conoscere altro latte e miele al di fuori di quello dell'odio e della vendetta.
Perché è facile parlare stando comodamente seduti nei propri salotti o scrivanie, e pontificare su questo e quest'altro, facendosi belli con il culo degli altri. L'orrore va provato sulla propria pelle, nelle proprie ossa, va guardato dritto con i propri occhi. Altrimenti non vale, è solo una sterile sega mentale, un inutile e insopportabile esercizio di retorica, nella migliore delle ipotesi, puro narcisismo nel peggiore dei casi; perché non è più tempo né per i radical né per gli chic. E tanto meno per gli estremisti, per i nazisti, per i razzisti e per tutti gli ismi, che sono solo e sempre estremismi. Sionismo compreso.
Di fronte alla lucida follia che si sta consumando in Israele il mio orrore s'impasta di sgomento perché intravedo il ripetersi della storia, della persona sbagliata, nel posto sbagliato, nel momento sbagliato, che trascina il mondo nel baratro. Questo criminale che nessuno riesce a fermare, nemmeno i suoi concittadini che da giorni tengono sotto assedio la sua casa di Cesarea - amata Cesarea Marittima che ben altri grandi della storia hai ospitato fra le tue calde mura - , insieme al suo governo di nazisti sta trascinando la sua nazione e il mondo in un baratro che più andiamo avanti più sarà senza uscita, o meglio, ne avrà una sola: l'armageddon.