Gaza, Xi conta più di Biden: i paesi musulmani in Cina per il cessate il fuoco

Delegazione di paesi arabi e islamici a Pechino per colloqui su Gaza. Il governo cinese appoggia la "soluzione dei due stati" e manda un messaggio agli Usa

di Lorenzo Lamperti
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Xi Jinping a San Francisco
Esteri

Israele-Hamas, delegazione di paesi a maggioranza musulmana in Cina

Cessate il fuoco immediato, ingresso degli aiuti nella Striscia di Gaza e via libera alla soluzione dei due stati col riconoscimento internazionale della Palestina. Sono i tre punti cardine delle richieste dei Paesi a maggioranza musulmana ricevuti dal governo cinese a Pechino. Punti su cui la Cina offre sostegno totale, durante una visita che conferma la crescita dell'ascendente della Repubblica Popolare su paesi arabi e islamici. Un messaggio anche gli Stati Uniti, la cui influenza in Medio Oriente sembra invece soffrire una fase di appannamento.

Nella capitale cinese sono giunti lunedì 19 novembre i ministri degli Esteri di Arabia Saudita, Egitto, Giordania, Indonesia, Palestina e il segretario generale dell'Organizzazione della cooperazione islamica, il ciadiano Hissein Brahim Taha. Si tratta della prima tappa di una serie di viaggi della delegazione reduce dal vertice dei giorni scorsi a Riad per provare a ottenere il cessate il fuoco a Gaza. Prima tappa che avviene appunto significativamente in Cina, che peraltro a novembre occupa la presidenza di turno del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

Il ministro degli Esteri cinese Wang Yi, inaugurando la due giorni di colloqui, ha fatto sapere che "sostiene pienamente" la soluzione dei due Stati a Gaza, in linea con l'appello arrivato dal vertice arabo-islamico che si è svolto nei giorni scorsi a Riad. Wang ha anche aggiunto che la comunità internazionale "deve agire ora e prendere misure efficaci per porre fine al disastro umanitario". Wang, che è anche a capo dell'Ufficio della Commissione Centrale per gli Affari Esteri del Partito comunista cinese, ha subito accolto l'omologo palestinese Riyad al-Maliki. 

I rapporti della Cina tra Palestina, Medio Oriente e Israele

D'altronde, i rapporti tra Pechino e l'autorità palestinese sono di vecchia data, con un riconoscimento avvenuto già da diversi decenni. Lo scorso giugno, peraltro, il presidente Xi Jinping aveva anche ricevuto il leader Mahmoud Abbas, proponendosi di giocare un ruolo di mediazione per un possibile negoziato con Israele. Gli attacchi di Hamas hanno pregiudicato una prospettiva di dialogo per la verità resa già a dir poco remota dalla postura del governo del premier israeliano Netanyahu.

Ma la Cina continua a sostenere che la situazione va osservata nel suo insieme e che la soluzione dei due stati è l'unico modo per garantire le "legittime preoccupazioni di sicurezza" di entrambe le parti. Wang ha chiesto che la comunità internazionale agisca con urgenza per arginare il "disastro umanitario" a Gaza. Dopo gli attacchi del 7 ottobre, la Cina ha condannato qualsiasi attacco contro i civili, ma senza menzionare esplicitamente Hamas e ha poi criticato Israele per essere "andata oltre il diritto di autodifesa", intimando di interrompere quella che ha definito una "punizione collettiva degli abitanti di Gaza".

Posizione che ha deluso Israele, nonostante la porta del dialogo non si sia chiusa. L'inviato speciale cinese per il Medio Oriente, Zhai Jun, ha viaggiato in diversi Paesi musulmani ma ha anche incontrato l'ambasciatrice israeliana a Pechino e non è escluso possano esserci nuovi passaggi. La Cina ha d'altronde aumentato la sua presenza in Medio Oriente negli ultimi anni e si è ripetutamente offerta di mediare nelle dispute regionali. 

Basti pensare al ruolo giocato nel riavvio delle relazioni diplomatiche tra Iran e Arabia Saudita. I due grandi rivali regionali hanno firmato l'accordo proprio a Pechino lo scorso marzo. Nonostante si fossero tenuti precedenti round negoziali altrove e il ruolo cinese sia stato soprattutto quello di "officiare" l'accordo, non può certo sfuggire la rilevanza anche simbolica del palcoscenico scelto da Riad e Teheran, che dal 1° gennaio entreranno peraltro insieme a far parte del gruppo dei BRICS anche se spinta cinese all'allargamento.

I rapporti di Pechino con gli attori dell'area sono diversificati e comunque sempre piuttosto profondi. Tradizionalmente forti i rapporti con l'Iran, col presidente Ebrahim Raisi che ha firmato non molto tempo fa un nuovo accordo di partnership bilaterale di lunga durata. La Cina è il principale partner commerciale dell'Arabia Saudita. E la bilancia è a favore di Riad: 57 miliardi di esportazioni contro 30,3 miliardi di importazioni. L'Arabia Saudita è il primo fornitore di petrolio della Cina. Nel 2022 Pechino ha sborsato 55 miliardi per 1,77 milioni di barili al giorno. Il colosso saudita Aramco ha annunciato alla fine dello scorso anno la costruzione di una raffineria da 10 miliardi di dollari nel nord-est della Cina.

Il principe ereditario Mohammed Bin Salman considera la Cina un partner fondamentale per il suo programma Vision 2030 e sta cercando di coinvolgere le imprese cinesi in ambiziosi megaprogetti destinati a diversificare l'economia dai combustibili fossili. Tra questi la costruzione della futuristica metropoli Neom. Altri accordi sono stati siglati durante la visita dello scorso dicembre di Xi a Riad, durante la quale il leader cinese ha presenziato a un vertice coi Paesi del Golfo. Ma anche con Israele i rapporti si sono approfonditi nel corso del tempo, con Pechino che è diventato il secondo partner commerciale del Paese alle spalle degli Usa. 

Washington, che ha chiesto alla Cina di esercitare la propria influenza sugli attori regionali a partire dall'Iran per evitare che il conflitto si allarghi, sembra ora costretta a osservare il parzialmente inedito attivismo diplomatico cinese. Se sulla guerra in Ucraina la posizione cinese è sin dall'inizio piuttosto controversa, o quantomeno così viene percepita in occidente, quellla sul conflitto Israele-Hamas vede l'appoggio di molti più attori anche al di fuori della regione.

Da capire se Pechino utilizzerà questo vantaggio strategico per rifilare qualche colpo agli Stati Uniti, accusati per esempio sull'Ucraina di "gettare benzina sul fuoco" del conflitto. Fin qui, la retorica ufficiale cinese nei confronti di Washington è stata meno aggressiva sulla questione israelo-palestinese. Pochi giorni fa si è tenuto d'altronde il summit tra Xi e Joe Biden a San Francisco, mirato ad allentare le tensioni tra le due grandi potenze. In attesa di capire quanto potranno essere stabilizzati i rapporti bilaterali, la Cina dà comunque un segnale molto chiaro agli Usa e in generale alla diplomazia globale, presentandosi come presunto garante di stabilità anche sul dossier storicamente più instabile di tutti.