La Gran Bretagna torna nella Ue? Starmer pensa a un piano, ma la strada è in salita. Ecco perché
A chiedere a Starmer di premere il tasto “reset” non è solo la situazione internazionale, ma sono gli stessi abitanti del Regno Unito
Keir Starmer
La Gran Bretagna torna nella Ue?
Più Europa, meno Brexit. L’obiettivo del primo ministro inglese Keir Starmer è chiaro: riallacciare saldi rapporti con l’Unione europea per far fronte alle sfide globali, dalla guerra in Ucraina fino alle difficoltà finanziarie del Vecchio continente. In una parola, “reset”, come l’ha chiamato il premier. Un piano ambizioso già messo in moto, ma che deve superare degli ostacoli di non poco conto per arrivare a un esito felice. In una parola, “reset”, come l’ha chiamato Starmer.
La scorsa settimana il premier inglese ha incontrato a Downing Street il presidente del Consiglio europeo Antonio Costa, accettando poi di presenziare a un vertice comune con l’Ue su sicurezza e difesa che si terrà il 3 febbraio. Parlando di “relazioni strategiche reciprocamente vantaggiose”, anche lo stesso Costa ha di fatto confermato che il riavvicinamento è prioritario anche per Bruxelles. I dossier comuni, del resto, sono diversi. Il conflitto in corso in Ucraina, l’ascesa della Cina a nuovo attore globale, le sfide poste dalla rielezione di Donald Trump negli Stati Uniti, la stabilità economica.
A chiedere a Starmer di premere il tasto “reset” non è solo la situazione internazionale, ma sono gli stessi abitanti del Regno Unito. Secondo un sondaggio realizzato da YouGov e Data Praxis e pubblicato dall'European council on foreign relations il 55% dei britannici è favorevole a un rapporto più stretto con l’Ue. Di più: molte delle divisioni interne alla popolazione al tempo della Brexit si sono attenuate.
Tuttavia, le buone intenzioni potrebbero non bastare a superare gli ostacoli esistenti, che sono almeno tre. Punto primo, ci sono i problemi che si trascinano dalla Brexit. Questa settimana la Commissione europea ha avviato presso la Corte di giustizia dell’Ue due procedimenti contro il Regno Unito. Il primo riguarda il presunto mancato rispetto dei cittadini europei che vivono Oltremanica. Il secondo, invece, riguarda il mancato annullamento di trattati bilaterali di investimento tra Regno Unito e sei Stati comunitari. Per l’Ue, gli accordi sono illegali, perché si sovrappongono e anzi entrano in conflitto con le norme dell’Unione in materia di investimenti esteri.
Punto secondo – sembra una battuta –, la pesca. Nel 2026 scadono gli accordi che permettono ai pescherecci europei di gettare le reti in acque britanniche e andranno rinnovati. In un documento dell’Ue visionato dal Guardian viene specificato che il “reset” potrà essere credibile solo se verrà mantenuto lo status quo. Un’eventuale stretta protezionista da parte di Londra complicherebbe le cose, tant’è vero che il documento afferma che una “comprensione precoce” tra le parti “è necessaria per facilitare le discussioni sugli altri aspetti in esame”.
Punto tre, il programma di scambio di giovani. L’Ue vorrebbe creare un programma per dare ai 18-30enni di Ue e Regno Unito diritti reciproci per studiare, vivere e lavorare all'estero per alcuni anni. Londra, però, per ora ha risposto con un secco no. Lo stesso Starmer ha detto al Sun che “non ci sono piani per la libera circolazione a nessun livello. Secondo il sondaggio dell’European council on foreign relations, però, la popolazione britannica sarebbe favorevole al programma a fronte di una cooperazione economica e securitaria più stretta. Per un ex alto funzionario europeo intervistato dal Guardian, la chiusura britannica sul tema della mobilità giovanile rischia di “far deragliare i negoziati sull'agenda commerciale”
Secondo alcuni commentatori, le ambizioni di Starmer sono troppo blande per dar vita a un vero “reset”. In campagna elettorale il premier ha infatti detto di non prevedere un ritorno del Regno Unito nell’Ue o nell’unione doganale. Il “reset”, dunque, si tradurrebbe solo in accordi in singoli settori, con scarsa capacità di impattare davvero sulle relazioni. A fare da eccezione, solo la cooperazione in tema di sicurezza e difesa, che però vede Bruxelles e Londra a braccetto sotto l’ombrello della Nato.