Crimea e Donbass irrecuperabili, Zelensky prepara le valigie. Che cosa c'è dietro le parole di "sconfitta"

Secondo Zelensky l'Ucraina non è in grado di recuperare "Crimea e Donbass". E ora i "falchi" scommettono già sulla resa di Kiev

di Giacomo Costa

Vladimir Zelensky

Esteri

La guerra in Ucraina tra la capitolazione imminente e l'eroe Zelensky costretto alle dimissioni 

La dichiarazione di Mercoledì 18 Dicembre del Presidente Zelensky secondo cui “Non abbiamo le forze per riprendere Crimea e Donbass” è sembrata ad alcuni rasentare l’ammissione di sconfitta, è stata bellamente ignorata da altri. Ad esempio Paolo Mieli, uno dei più decisi falchi, ha scritto nel Corriere del 19 che ormai la capitolazione dell’Ucraina è imminente. Mentre Bill Emmott, giornalista inglese esperto di affari economici e internazionali, falco come praticamente tutti gli inglesi, ha scritto un lungo articolo nella Stampa del 19 Dicembre, senza neppure menzionare la dichiarazione di paralisi di Zelensky. Egli si augura che Zelensky, il cui mandato è scaduto nell’Aprile dell’anno corrente, un grande eroe della difesa dell’Ucraina secondo Emmott, compia l’ulteriore atto di eroismo di…dimettersi.

Vediamo prima Mieli. Teme la noia che sopravverrà a dover sopportare l’irrisione dei suoi avversari, le colombe. Non vorrebbe in alcun modo dover giustificare le sue certezze e le sue esortazioni alla guerra. Si limita a ricordare che anche alla fine della guerra civile spagnola vi furono polemiche da parte di chi aveva previsto l’esito finale. “Tanto valeva che Madrid si arrendesse all’istante e venisse risparmiato alla Spagna quell’inutile versamento di sangue.” Un problema interessante, che si può affrontare partendo dal punto a cui lo lascia l’ironia Mieli: perché sicuramente nessuno entra in guerra se ha la certezza di perderla. Ora nel Marzo-Aprile del 2022, ad invasione appena iniziata e in gran parte respinta, Russia e Ucraina stavano mettendo a punto un accordo soddisfacente per entrambe le parti.

Non vi sono al riguardo solo le testimonianze di Gerahard Schroeder e Naftali Bennet. Da alcuni mesi è addirittura uscito un articolo su Fereign Affairs, la rivista semi-ufficiale del Dipartimento di Stato statunitense, a confermarlo. Ebbene i russi erano sembrati disorganizzati e male armati, mentre l’esercito ucraino, addestrato ed armato dalla Nato da anni, come dichiarò orgogliosamente il segretario della Nato Stoltenberg proprio all’inizio dell’invasione, dimostrò di avere facile gioco nel respingere le truppe russe. Zelensky, autore allora di dichiarazioni pienamente coerenti con l’andamento delle trattative, fu dissuaso dal concluderle dagli anglo-americani.

Troppo buona l’occasione di demolire la Russia. La guerra divenne un affare degli Usa, se prima era stata gestita dalla Nato. La famosa dichiarazione di Ramstein chiarì quale fosse l’obiettivo degli americani: disarmare la Russia. La famosa contro-offensiva ucraina fu guidata dagli Usa, con lamentele che i soldati ucraini non avevano più sufficiente voglia di morire. E fu un fallimento. La guerra su un fronte molto ampio era una guerra di posizione, simile alla Prima Guerra Mondiale. Ma divenne anche una sfida tecnologica tra Usa e Russia, dove gli Usa contavano di imporre la loro superiorità. Ci fu una fase in cui tutti attendevano una risposta decisiva dall’ultima arma importata dagli Usa. Ma i russi non si dimostrarono inferiori agli americani. Da un certo punto in avanti Biden insistette nella guerra principalmente per non fare un’altra figuraccia, dopo l’Afghanistan. Centinaia di miglia di uomini, non decine di migliaia come scrive Mieli, sono morti per far continuare una guerra la cui conclusione sarebbe imbarazzante per Biden. Si potrebbe dire tranquillamente che alcune occasioni di riprendere i negoziati furono perse. Ora peraltro Mieli sembra rinsavito. Vuole sì un esercito europeo di almeno 200 mila uomini. Ma non per proseguire la guerra, come vorrebbe la folle von der Leyen: Li vuole sì ma “Non adesso ma a guerra finita per garantire la sopravvivenza di quello che resterà del martoriato paese.” E per di più “sotto le bandiere dell’Onu, come ammonisce Crosetto.” Bravo Mieli. Con la sua lealtà all’Onu Crosetto rischia di diventare l’unico statista che l’Italia abbia prodotto negli ultimi trent’anni.

Vediamo ora Bill Emmott. Per lui Russia e Ucraina si pareggiano sul campo. Le conquiste territoriali dei russi sono irrisorie. Entrambe le parti sono sfinite ed esaurite. I russi muoiono come mosche: 1500 uomini al giorno. Questa sembra propaganda, ma Emmott sa che sta scrivendo per la Stampa, non per il Guardian. Inoltre, “nelle ultime settimane le spie ucraine sono riuscite a penetrare a Mosca per uccidere un importante progettista di missili e, questa settimana, nel colpo più significativo, il generale senior a capo delle forze chimiche, biologiche e radiologiche della Russia”, azioni altamente apprezzate dal mite Emmott. Il quale passa ad esaminare le posizioni negoziali di Russia e Ucraina. Emmott ritiene che con la caduta di Assad e i successi militari di Israele la Russia si sia indebolita, ciò che potrebbe favorire il successo di un negoziato. Ma Zelensky, presidente scaduto da diversi mesi, dovrà sacrificarsi. Un ultimo, il più grande dei suoi atti di eroismo: dimettersi. Ma un presidente scaduto cosa potrebbe fare se non andarsene a casa?

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