Iran, per le Ong almeno 50 vittime nelle proteste per la morte di Amini

Iran, il governo organizza contromanifestazioni a favore dell'obbligo del velo islamico per offuscare le proteste dopo la morte della ventiduenne curda

Esteri
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Iran, proteste per Mahsa Amini, almeno 50 persone sono morte

Almeno 50 persone sono morte nelle proteste scoppiate il 16 settembre in tutto l'Iran in seguito al decesso della ventiduenne curda Mahsa Amini, morta dopo essere finita in coma mentre era sotto custodia della 'polizia morale', che la aveva arrestata perché non indossava correttamente il velo.

Lo riferisce l'Ong Iran Human Rights, che ha sede ad Oslo. L'ultimo bilancio ufficiale diffuso dalla Tv di Stato di Teheran parla di 26 morti tra manifestanti e poliziotti.

Iran, arrestati importanti attivisti e giornalisti

Le forze di sicurezza iraniane hanno arrestato uno dei più importanti attivisti della società civile iraniana, Majid Tavakoli, e la giornalista Niloofar Hamedi, che ha svolto un ruolo chiave nel denunciare il caso della giovane Mahsa Amini, la cui morte in mano della polizia morale ha scatenato proteste a livello nazionale.

Gli arresti arrivano mentre si intensificano le proteste per Aminin, morta il 16 settembre tre giorni dopo essere stato arrestato perche' non indossava correttamente il velo sul capo, obbligatorio per tutte le donne in Iran. Le autorità stanno reprimendo con forza le manifestazioni: secondo le organizzazioni per i diritti umani, sono almeno 36 le persone rimaste uccise finora, con la polizia che in moti casi sta usando proiettili veri contro la folla.

Iran, sostenitori del governo in piazza

Migliaia di persone sono scese in strada in tutto l'Iran nelle contromanifestazioni a favore dell'obbligo del velo islamico, sostenute dal governo nel tentativo di offuscare le massicce proteste scoppiate dopo la morte della giovane Mahsa Amini, arrestata dalla polizia morale per aver indossato "in modo improprio" l'hijab.

Le proteste anti-governative, iniziate sabato scorso nel Kurdistan iraniano - la regione di dove era originaria Amini - vengono represse da sei giorni con durezza dalle autorità.

Nella giornata di oggi, migliaia di persone sono scese in piazza a sostegno del codice di abbigliamento conservatore a Teheran e in altre città, tra cui Ahvaz, Isfahan, Qom e Tabriz.

"Oggi si è svolta la grande manifestazione del popolo iraniano che condanna i cospiratori e gli atti blasfemi contro la religione", ha scritto l'agenzia Mehr.

L'imam Seyed Ahmad Khatami, nella preghiera del venerdì a Teheran, ha esortato "la magistratura ad agire rapidamente contro i rivoltosi che brutalizzano le persone, danno fuoco alle proprietà pubbliche e bruciano il Corano".

"Sostenere la fine del velo è fare politica alla maniera degli americani", scandivano i manifestanti pro-governo, che esponevano cartelli di ringraziamento alle forze di sicurezza e condanna alle donne che stanno bruciando in piazza e suoi social l'hijab in segno di protesta.

Le immagini delle manifestazioni a favore del velo obbligattorio per le donne sono state ampiamente trasmesse in tv e sui social, mentre l'accesso a Internet continua a essere limitato dalle autorità per impedire il dilagare del malcontento e la diffusione delle notizie sulle vittime della repressione.

L'accesso ai social media, Instagram e WhatsApp è stato bloccato da mercoledì sera e la connessione da rete mobile, di fatto, non funziona. La misura è stata adottata in risposta alle "azioni compiute attraverso questi social network da controrivoluzionari contro la sicurezza nazionale", ha spiegato l'agenzia iraniana Fars.

Ieri, il capo della magistratura Gholam Hossein Mohseni-Ejei ha invitato le autorità a mantenere la pace e la sicurezza e ad affrontare "i rivoltosi".

Il presidente Ebrahim Raisi, in una conferenza stampa a New York dove ha partecipato all'Assemblea generale delle Nazioni Unite, ha dichiarato: "Dobbiamo distinguere tra manifestanti e vandalismo".

I disordini arrivano in un momento particolarmente delicato per la leadership iraniana, che da mesi deve affrontare il vasto malcontento della popolazione per la grave crisi economica in cui versa il Paese dopo la reintroduzione delle sanzioni americane per il suo programma nucleare.