Israele ha decapitato Hamas, ma il cessate il fuoco non è per questo più vicino

La morte del leader di Hamas Yahya Sinwar ha un altissimo valore per Israele. Il mondo spera che il cessate il fuoco si avvicini. Ma potrebbe non essere così

di Andrea Muratore
Esteri

Israele ha decapitato Hamas, ma il cessate il fuoco non è per questo più vicino

La morte di Yahya Sinwar è un fatto dall’altissimo valore politico per Israele, che in un anno può rivendicare di avere praticamente decapitato la leadership delle due organizzazioni a lei maggiormente nemiche nella regione mediorientale: Hamas e Hezbollah. Ismail Haniyeh, capo politico di Hamas, ucciso a luglio in Iran e Hassan Nasrallah, segretario generale del Partito di Dio, colpito a settembre a Beirut; Mohammed Deif, capo delle Brigate Al-Qassem braccio militare di Hamas, eliminato il 3 luglio, Nidal Abd al-Aal, tra i comandanti del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (Fplp), ucciso due mesi dopo.

Sinwar, l’architetto del 7 ottobre 2023

Ora anche il colpo più duro ai nemici è arrivato: Sinwar, l’architetto del 7 ottobre 2023, l’uomo che aveva studiato Israele dall’interno trasmettendo a Hamas la conoscenza dello Stato Ebraico maturato durante 22 anni nelle sue galere, l’uomo-ombra che guidava i militanti è morto a 62 anni sotto i colpi dell’Israel Defense Force. E come di fronte ad altri grandi colpi di questo tipo una domanda si pone d’obbligo: che succede ora?

Ora Tel Aviv spingerà per un cessate il fuoco?

Israele ottiene molte vittorie tattiche ultimamente, ma è in queste circostanze che si capisce se Tel Aviv ha una strategia. Benjamin Netanyahu può rivendicare di aver tolto di mezzo la leadership di Hamas macchiatasi, nella narrazione di Tel Aviv, non solo del sangue dei morti nei massacri del 7 ottobre ma anche di quello dei morti civili nella campagna di Tel Aviv. Ora il sentire di molte cancellerie e dell’opinione pubblica israeliana è chiaro: Tel Aviv sfrutterà la posizione di forza per spingere sul cessate il fuoco? Hamas è fortemente indebolito, ha perso le sue tre figure simbolo in poco più di cento morti, conta circa 15mila caduti tra i suoi ranghi, ma non manca di leve negoziali.

Prima fra tutte, gli ostaggi che restano nelle sue mani. Ne mancano all’appello una novantina, più realisticamente potrebbero essere 60-70 quelli rimasti in vita a oltre un anno dal sequestro. Netanyahu ha fatto del loro ritorno a casa una priorità della guerra, e il pensiero di molti, come ha espresso il ministro degli Esteri Antonio Tajani, è che la morte di Sinwar sia la giustificazione per un cessate il fuoco. Israele ha il corpo del nemico, non sta avanzando significativamente a Gaza da settimane, ha un conflitto aperto su più fronti: ragione vorrebbe che ora si eviti la prevedibile vendetta di Hamas, che gli ostaggi potrebbero pagare duramente.

Ma per sconfiggere il terrorismo non serve uccidere i terroristi

Anche per questo Israele si è affrettata a dichiarare che quella di Sinwar non è stata una morte cercata in un’operazione mirata come quella che ha prodotto altri omicidi, Nasrallah in testa. Ma Tel Aviv ha interesse a chiudere la guerra? Ha in mente il vecchio adagio con cui Tiziano Terzani rispose al furor bellico di Oriana Fallaci in un animato confronto epistolare sul Corriere della Sera dopo l’11 settembre 2001, prendendo atto del fatto che per sconfiggere il terrorismo non serve uccidere i terroristi, ma eradicare le cause che li rendono tali? Un anno di strage a Gaza non sembra dare garanzie positive in tal senso. Un mese di bombardamenti, l’invasione via terra e l’attacco alle truppe Onu in Libano danno poca garanzia in tal senso. E dire che da tempo in una prospettiva strategica Tel Aviv avrebbe l’occasione di chiudere il fronte al tempo stesso più complicato sul piano simbolico ma ormai militarmente e geopoliticamente secondario di Gaza per capire cosa fare verso gli altri rivali: Hezbollah e, soprattutto, l’Iran.

Chi potrebbe succedere a Sinwar: in pole c'è Mashal

Molto sul futuro del conflitto lo capiremo, ovviamente, anche dalle scelte di Hamas. La quale, secondo fonti turche, potrebbe rinunciare alla strategia radicale che dopo la morte di Haniyeh ha spinto a mettere alla guida del gruppo l’estremista anti-israeliano Sinwar, figura dal profilo spiccatamente combattente e, soprattutto, residente nella Striscia. In pole per succedere a Sinwar ci potrebbe essere Khaled Mashal, storica figura della resistenza palestinese contro Israele che in Hamas appare come una figura ben più moderata. Classe 1956, residente nel Paese guidato da Recep Tayyip Erdogan, Mashal, nato in Cisgiordania, ha vissuto fuori dalla Palestina dal 1967 al 2012, quando vi ha compiuto la prima visita politica nel tentativo di far riconciliare le fazioni. Ha lavorato per guidare il sostegno arabo ad Hamas, raccoglier fondi e negoziare un accordo tra il gruppo legato ai Fratelli Musulmani e le altre fazioni palestinesi.

Come ricorda Turkiye Today, “la sua sopravvivenza a un tentativo di assassinio da parte di Israele nel 1997 gli ha portato un riconoscimento internazionale”. Inoltre, Mashal è meno legato all’Iran rispetto a Sinwar e, se la sua scelta fosse confermata, potrebbe garantire un profilo adatto per la ripresa dei negoziati. Siamo nel campo delle ipotesi, ovviamente. Ma quel che è certo è che la morte di Sinwar potrebbe aprire un – raro – spiraglio per capire se non sia meglio fermarsi nel massacro che da un anno ha devastato prima Israele e poi, incessantemente, Gaza.

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