Israele, nove mesi di guerra: un parto osceno che ha messo a nudo l'Occidente

I nove mesi che hanno cambiato il mondo, mostrato il vero volto di Israele e smascherato le ipocrisie dell’Occidente

di M. Alessandra Filippi
Esteri

Guerra in Israele 7 ottobre 2023 -7 luglio 2024, un parto osceno 

È un parto osceno quello frutto dei nove mesi di sterminio e distruzione perpetrati da Israele a Gaza e in Cisgiordania. Una gorgone di abominevoli fattezze che dovrebbe impietrire chiunque al solo guardarla e che invece occhi educati a vedere senza discernere scambiano per vigorosa amazzone. Come Medusa e le sue sorelle, Israele esercita il suo “fascino mortifero” camuffando ogni suo crimine e misfatto in legittima difesa, in nome del suo diritto di esistere e di crescere. Dal 7 ottobre Israele ha operato e continua ad operare indefessamente per rendere Gaza inabitabile. La sua brutale e feroce controffensiva, che ufficialmente ha l’obiettivo di eradicare e cancellare Hamas, in verità ha come unico scopo quello di sterminare di palestinesi, sterilizzarne le radici costringendo i sopravvissuti all’esodo di massa.

Non si spiega altrimenti l’ostinata insistenza dello stato ebraico nel bombardare a tappeto la Striscia, e con particolare patologica insistenza le strutture pubbliche e private: dagli ospedali alle sedi umanitarie, dalle scuole alle università, dai palazzi governativi agli impianti idrici e fognari, dalle case financo ai campi coltivati, frutteti e uliveti. Manca solo lo spargimento del sale e il più è fatto. La distruzione è tale che non resta nemmeno traccia del passaggio su questa terra di oltre due milioni dei palestinesi intrappolati a Gaza. E questo perché, come ho scritto in un articolo dello scorso 26 gennaio, fra le macerie dei bombardamenti è andata sbriciolata la memoria di un intero popolo (https://www.affaritaliani.it/esteri/gaza-cancellare-la-memoria-di-un-popolo-equivale-ad-annientarlo-897832.html). Tutto questo alimenta una sola logica e incontrovertibile conclusione: quando la guerra sarà finita e le acque si saranno calmate, non rimarrà più nulla per la popolazione civile, non un solo ricordo di chi sono stati e quale fosse il loro indirizzo di casa.

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Ogni giorno è una carneficina. Ogni notte è un inferno. Nessuno dei palestinesi che lotta per la sopravvivenza sa se vedrà l’alba o il tramonto. Non più tardi di ieri le forze israeliane hanno colpito la scuola dell'UNRWA nel campo profughi di Nuseirat a Gaza sostenendo, come sua abitudine, che al suo interno fossero presenti elementi di Hamas. Tutte affermazioni che come sempre sono prive di spiegazioni e soprattutto sfornite del seppur minimo straccio prova. Sono almeno 16 i civili rimasti uccisi e oltre 75 le persone gravemente ferite, tutte trasferite agli ospedali di al-Awda e Al-Aqsa. Come da nove mesi a questa parte, anche in questo caso donne e bambini costituiscono la stragrande maggioranza delle vittime.

E sempre nelle ultime 24 ore, l’esercito israeliano ha ucciso altri sei i civili nel quartiere Sheikh Radwan in Gaza City; tre i corpi sono stati recuperati da una casa bombardata nel quartiere al-Mina della città settentrionale; mentre nel centro di Gaza, nel bombardamento di una casa nella città di az-Zawayda, vicino a Deir el-Balah, sono stati uccisi altri sei palestinesi. A est di Rafah, secondo quanto riferisce una squadra di Al Jazeera sul posto, sono stati recuperati i corpi esanimi di tre palestinesi ammanettati. Il Ministero della Salute ha aggiornato il numeri delle vittime dall’inizio della controffensiva israeliana: più di 38.000 i morti, mentre i feriti sfiorano ormai i 90.000.

Nel mentre, dopo molte settimane di stasi, le trattative per arrivare ad un cessate il fuoco alla liberazione degli ostaggi sono riprese. Secondo quanto riferisce la testata israeliana Haaretz, Hamas ha accettato che nella prima fase del piano Biden non ci sia l'impegno a una tregua permanente da parte di Tel Aviv, consentendo dunque a discutere questo punto dopo la liberazione dei primi ostaggi, donne e i bambini; Tel Aviv avrebbe però assunto una posizione molto dura “ponendo nuove richieste, che potrebbero allungare la durata del nuovo round di negoziati”. Una delle chiavi di lettura di questi ulteriori cambiamenti imposti da Israele nelle trattative è quella di allungare i tempi e permettere a Netanyahu di arrivare al fatidico appuntamento del prossimo 24 luglio alla Casa Bianca con qualcosa in mano, se non un accordo, qualcosa che ci somigli. Le incognite tuttavia restano, a partire dalle reazioni che potranno scatenarsi se e quando Netanyahu dovesse tenere il pianificato discorso al Congresso degli Stati Uniti, intervento voluto sia dai leader democratici che repubblicani, che congiuntamente lo hanno invitato alla fine di maggio, nel pieno dell’offensiva israeliana nella Striscia di Gaza.

Oggi sono 9 mesi dall'inizio di questa guerra. Nove mesi che hanno cambiato i paradigmi che regolavano il mondo, messo in “bella mostra” il feroce volto di Israele e smascherato le ipocrisie dell’Occidente. Nove mesi nel corso dei quali, secondo il giornalista Chawki Senouci, sono emerse alcune di certezze che prima non avevamo. La prima è il numero dei morti, che in pochi mettono ancora in discussione. La seconda “è che si tratta di una guerra coloniale, dove il più forte vuole tutto”. A riprova di questo, oggi Le Monde, citando i dati dell'ONG israeliana Peace Now, evidenzia che “dall'inizio del 2024 il governo Netanyahu ha dichiarato 2370 ettari della Cisgiordania terre di Stato”. La terza certezza, secondo Senouci “è il silenzio, l'indifferenza dell'Occidente”, anestetizzato e addomesticato ai massacri quotidiani di civili e all'accelerazione della colonizzazione della Cisgiordania.

Intanto nuovi paradossi, abilmente orchestrati dalla macchina dalla propaganda, hanno sostituito i vecchi: In Francia, dove oggi si gioca una partita tutt’altro che scontata per il futuro, il fronte popolare, figlio della lotta al nazifascismo, è accusato di antisemitismo per il semplice fatto di aver espresso solidarietà per i palestinesi dissentendo con Israele per i metodi e l’oscena e raccapricciante carneficina di questi nove mesi; mentre il Il Rassemblement National, erede del regime di Vichy è stato sdoganato, anche dalle comunità ebraiche, perché Marine Le Pen sostiene Netanyahu. E così accade non solo in Francia, ma in Germania, Gran Bretagna, Italia, ovunque. Un sovvertimento della storia e della ragione che dovrebbe preoccupare anche il più ottimista dei lettori.

Infine, come non parlare delle mille ipocrisie e evidenti disparità di trattamento alle quali abbiamo assistito in questi nove mesi che hanno smascherato oltre ogni dubbio le mille ipocrisie dell’Occidente. A partire dall’informazione, in avanzato stato di mortifera sottomissione. Già, perché in questi nove mesi, a differenza di come è stato per la guerra in Ucraina, la cui copertura è stata assoluta e totalizzante, ad informare il mondo, ci hanno pensato “soprattutto i giovani giornalisti e giornalisti di Gaza che hanno postato e postano ogni giorno sui social la guerra”. In questo modo “il sud del mondo, le minoranze negli Stati Uniti, gli irlandesi in Europa hanno visto con gli occhi dei palestinesi la loro storia scegliendo di schierarsi con i più deboli. Da lì il movimento è diventato globale grazie alla mobilitazione dell'Università di ogni angolo del mondo”. Parlare di pace nella Striscia e della fine di un incubo per i due milioni di palestinesi e per gli ostaggi israeliani e dei loro parenti è un sogno che non si deve smettere di coltivare con la consapevolezza, tuttavia, che bisogna imparare a giocare questa partita secondo altri schemi e strategie, poiché ogni strumento di misura è stato modificato e tutte le regole del gioco geopolitico sono state sovvertite.

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