La corsa al nucleare di Usa, Russia e Cina senza freni: un preoccupante segnale per il futuro

Nonostante l'amministrazione Biden, negli ultimi quattro anni, abbia dichiarato che gli Stati Uniti non necessitano di aumentare il proprio arsenale per mantenere una deterrenza efficace, la corsa agli armamenti è, in realtà, molto concreta

di Chiara Morelli
Esteri

La corsa al nucleare di Usa, Russia e Cina senza freni: un preoccupante segnale per il futuro

La seconda metà degli anni Ottanta del secolo scorso fu caratterizzata da un evento considerato come epocale: dopo decenni di guerra fredda tra blocco Occidentale e Orientale, durante il vertice di Ginevra del 1985 il Presidente americano Ronald Reagan e il Segretario del PC dell’Urss Michail Gorbačëv, affermarono insieme come “una guerra nucleare non può essere vinta e non dovrà mai essere combattuta”. Un incontro storico in quell’epoca di tensioni, che fece sperare in una possibilità di ricucire i rapporti diplomatici logorati da tempo. E soprattutto, un segnale che mise fine, per alcuni anni, alla cosiddetta corsa agli armamenti.

Tuttavia, alla luce dei conflitti in corso tra Russia e Ucraina e in Medio Oriente, con il ruolo degli Stati Uniti e, soprattutto, l’ascesa economica della Cina, oggi il contesto geopolitico è cambiato. I rapporti internazionali sono sempre più complessi e, le crescenti tensioni, hanno di fatto riattivato la corsa agli armamenti che, con l’evoluzione tecnologica del nuovo millennio, è diventata sempre più preoccupante. Non solo a causa delle nuove tecnologie legate all’intelligenza artificiale, ma anche a causa del ritorno della minaccia nucleare. Una svolta che, dopo anni relativamente pacifici, apre scenari assolutamente imprevedibili.

Per decenni, il controllo degli armamenti era riuscito a mantenere un equilibrio pur fragile, ma efficace, riducendo il numero delle testate nucleari esistenti da circa 60.000, a meno di 11.000. Come sottolineato da InsideOver: “il New START del 2010” proponeva “un trattato che fissava a 1.550 il numero di testate strategiche dispiegabili da Stati Uniti e Russia”. Un obiettivo che però, in vista della scadenza proprio del New START nel 2026, ha visto “la sospensione russa annunciata nel 2023, segnando l’inizio di un’epoca nuova, in cui nessuna limitazione vincolerà più le due maggiori potenze nucleari del mondo”. Una sospensione, arrivata anche dopo il ritiro unilaterale degli Stati Uniti dal trattato ABM nel 2002, che ha innescato una reazione a catena tra Russia e Usa, fino all’entrata in scena anche della Cina. La Repubblica Popolare Cinese, tradizionalmente con un arsenale nucleare limitato, negli ultimi anni ha infatti accelerato la propria corsa agli armamenti, con previsioni che indicano il dispiego di circa 1.000 testate nucleari entro il 2030.

Alla luce di tutto ciò, è allarmante il fatto che Pechino rifiuti di partecipare ai negoziati sul controllo degli armamenti, aumentando le preoccupazioni internazionali, in un contesto di rivalità crescente tra le grandi potenze. La logica che alimenta questa corsa agli armamenti è la paura di non essere abbastanza pronti, in caso di un eventuale attacco nemico. Eppure, il progresso tecnologico contemporaneo, con lo sviluppo di nuovi missili ipersonici e apparecchiature militari che si servono di intelligenza artificiale – lo si è visto bene nel caso del missile ipersonico russo Oreshnik, impiegato in Ucraina, o nella misteriosa vicenda dei cercapersone esplosi nelle mani dei militanti di Hezbollah - la possibilità che vengano commessi errori fatali aumenta notevolmente.

Nonostante l'amministrazione Biden, negli ultimi quattro anni, abbia dichiarato che gli Stati Uniti non necessitano di aumentare il proprio arsenale per mantenere una deterrenza efficace, la corsa agli armamenti è, in realtà, molto concreta. Tuttavia, se Russia e Cina espanderanno ulteriormente le loro capacità nucleari, gli Stati Uniti potrebbero sentirsi obbligati a rispondere, scatenando una spirale incontrollabile che mette seriamente in pericolo il futuro dell’umanità. L'unica alternativa resta infatti il negoziato e il dialogo, sebbene oggi la volontà politica di avviarlo appaia molto distante.

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