"La guerra di Pechino è psicologica, l'unico obiettivo è l'assuefazione all'accerchiamento tra i taiwanesi"
Taiwan accerchiata da aerei cinesi, parla l'analista Pietrobon
Il grande “arco di crisi” ora tocca Taiwan. Parla Pietrobon (MasiraX)
La Cina ha lanciato esercitazioni attorno Taiwan con l’obiettivo di simulare il blocco dell’isola dopo il richiamo da parte del presidente William Lai dell’ipotesi di indipendenza del Paese. La “provincia ribelle”, come la chiama Pechino, è minacciata dalla Repubblica Popolare? E come si inserisce questo scenario nella grande crisi globale dell’ordine internazionale? Affaritaliani.it ne discute con l’analista geopolitico e consulente Emanuel Pietrobon, vicepresidente di MasiraX. L’intervista.
Pietrobon, cosa ci vuole dire la Cina con le manovre attorno Taiwan?
Con le ultime esercitazioni militari attorno a Taiwan, che sono significative in termini di dispiegamento - l'isola è stata completamente circondata -, la Cina prosegue la strategia di guerra psicologica iniziata da alcuni anni e che sembra avere come orizzonte la creazione di un senso di assuefazione all'accerchiamento tra i taiwanesi. Senso propedeutico a coglierli di sorpresa se un giorno pensassero di avere a che fare con l'ennesima maxi-esercitazione e non col primo passo di un'invasione.
In che contesto si inseriscono le manovre?
I rapporti tra le due Cine sono ai minimi storici. La classe dirigente taiwanese ha iniziato a parlare apertamente di indipendenza de facto e aumentano i paesi filoccidentali e occidentali, dal Giappone alla Repubblica Ceca, che, pur aderendo alla politica dell'una sola Cina, utilizzano i simboli e la bandiera di Taiwan. Facendo infuriare Pechino. La Cina ha provato a creare le condizioni per una riunificazione pacifica in una pluralità di modi, dall'interdipendenza economica alle operazioni cognitive. Nel tentare di portare i taiwanesi sotto la stessa bandiera dei cinesi, però, ha sottovalutato il fattore degli Stati Uniti, che non possono permettersi di perdere Taiwan, la pietra angolare della catena di isole, o verrebbe pericolosamente meno la loro egemonia nel Pacifico occidentale.
Xi Jinping lo ha detto: Taiwan deve tornare alla Cina entro il 2049. Una road map precisa…
La Cina ha fretta di chiudere il capitolo del Secolo dell'umiliazione, di cui resta aperto soltanto il paragrafo taiwanese, anche perché i vicini si stanno armando a ritmi serrati e gli Stati Uniti stanno provando a rafforzare il cordone sanitario attorno a essa. C'è fretta, ma non troppa: la Cina sta prendendo appunti da una guerra fratricida in corso - quella tra russi e ucraini - e dalla reazione statunitense - la guerra economica totale contro Mosca lanciata da Biden e alleati - e ha consapevolezza del fatto che in gioco c'è la pace mondiale.
Come si inserisce questa ambizione nella “policrisi” inaugurata dalla guerra russo-ucraina scoppiata il 24 febbraio 2022?
Dal 24/2 navighiamo in un "mondo nuovo" la cui cifra distintiva è una permacrisi popolata di policrisi: una perma-policrisi. Brzezinski avrebbe parlato di un "super-arco di crisi". Ogni fronte, da quelli caldi a quelli semifreddi, è collegato: il Sahara occidentale che vede i sahrawi riarmarsi con l'aiuto di Hezbollah, il Mar Rosso che vede gli Houthi affondare navi occidentali grazie ad armi nordcoreane e ad intelligence iraniana, l'Ucraina dove i russi combattono con mercenari provenienti dalla cintura dei golpe nel Sahel.
Gramsci direbbe che viviamo nel mondo “grande e terribile”. L’Europa cosa deve aspettarsi?
L'Europa è avvolta da questo super-arco di crisi e non ha soluzioni per porvi rimedio, anche perché "quasi nessuno la ascolta più", come ha recentemente dichiarato il ministro degli esteri lussemborghese. Frequenza e intensità di queste crisi interconnesse aumenteranno col peggioramento della competizione tra grandi potenze. Serviranno pontefici, nel senso etimologico del termine, per evitare il degenerare di questo scontro egemonico in una guerra mondiale calda.