Netanyahu, ecco i Paesi in cui rischia di essere fermato (e quelli che sarebbero pronti a non consegnarlo)

Il mandato d'arresto della Corte penale internazionale vige in 124 Paesi del mondo. Ma non, ad esempio, in Cina, Russia e Usa. L'ambiguità di Washington. Orban invita Netanyahu in Ungheria. Ma sarebbe una trappola...

di Samuel Botti
Biden e Netanyahu
Esteri

Netanyahu, ecco i Paesi in cui rischia di essere fermato (e quelli che sarebbero pronti a non consegnarlo)

La Corte penale internazionale ha spiccato i suoi primi mandati di arresto per crimini di guerra e contro l’umanità per il premier israeliano Benyamin Netanyahu e il suo ex ministro della Difesa Yoav Gallant.  A finire nel mirino del tribunale di L’Aia, dopo oltre un anno di guerra, anche il capo militare di Hamas, Mohammed Deif, che tuttavia Israele ritiene di aver ucciso durante un raid a Gaza. Una scelta tardiva quella olandese, che tuttavia mette fine al tacito consenso europeo sulle azioni militari commesse nella Striscia di Gaza e in Israele dal 7 ottobre 2023 in poi.

Immediata la reazione indignata di Israele,  per quella che dagli uffici del primo ministro viene definita “una decisione antisemita degna di un nuovo processo Dreyfus”. Mentre per l’ex ministro della Difesa la Corte “mette sullo stesso piano Israele e Hamas, incoraggiando il terrorismo”.

I 124 Paesi vincolati al mandato di arresto internazionale

Cosa cambia adesso? Il mandato di arresto internazionale obbliga i 124 Stati parte della Cpi che hanno aderito allo Statuto di Roma, nel 2002, ad eseguire mandati d’arresto qualora un ricercato dovesse mettere piede nel loro territorio. Tra i Paesi che hanno aderito, ovvero più della metà di tutti gli Stati mondiali, c’è tutta l’Unione Europea, compresa ovviamente l’Italia.

Stati Uniti, Russia, Cina e Israele sono invece fuori dalla lista dello Statuto, e ciò presuppone un proseguimento del sostegno anche da Oltreoceano.

La decisione del Tribunale ha comunque un importante significato politico e istituzionale. Il grande appoggio americano non sarebbe comunque in grado di evitare diverse seccature ai danni di Tel Aviv. Come riportato dal quotidiano israeliano Haaretz, i mandati di arresto internazionali pongono un ulteriore blocco alla fornitura di armi da parte dei Paesi occidentali, stop peraltro già in atto con Francia e Gran Bretagna.

L'ambiguità di Washington rispetto al mandato di cattura internazionale

Ad assumere un comportamento ambivalente invece, sono proprio gli amici a stelle e strisce da Washington. Infatti, gli Stati Uniti hanno “respinto categoricamente” la decisione della Cpi: “Rimaniamo profondamente preoccupati dalla fretta del Procuratore di richiedere i mandati d’arresto e dai preoccupanti errori di procedura che hanno portato a questa decisione – ha affermato un portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale – Gli Stati Uniti sono stati chiari sul fatto che la Corte penale internazionale non ha giurisdizione su questa vicenda.”
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Eppure il 17 marzo 2023 il presidente Joe Biden commentò positivamente la decisione del Cpi di incriminare, per gli stessi motivi di Bibi, il presidente russo Vladimir Putin. Ma in questo caso, sembra che per Biden la Corte penale internazionale non abbia una particolare valenza, tanto da definire la sentenza «scandalosa».

L'invito di Orban (e Salvini) a Netanyahu? Diventerebbe una trappola...

Un pensiero che pare condiviso anche da alcuni esponenti politici europei. Il presidente ungherese Viktor Orban ha infatti invitato il primo ministro israeliano a recarsi in Ungheria, cercando di scavalcare il diritto internazionale: “Non abbiamo altra scelta che sfidare questa decisione. Inviterò Netanyahu a venire in Ungheria, dove posso garantirgli che la sentenza della Corte penale internazionale non avrà alcun effetto”.  A seguire a ruota il pensiero ungherese è stato il vicepremier Matteo Salvini: “Conto di incontrare presto esponenti del governo israeliano e se Netanyahu venisse in Italia sarebbe il benvenuto. I criminali di guerra sono altri”.

Ma dato che la soggettività non rientra nei criteri degli accordi internazionali, questo invito cordiale ed amichevole potrebbe rivelarsi solo una trappola per il premier israeliano.

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