Meloni in Ue allarga all'estrema destra francese: Reconquete! entra in Ecr
Il partito di estrema destra francese Reconquête è entrato ufficialmente a far parte dell’Ecr, il gruppo europeo presieduto da Giorgia Meloni
Meloni allarga all'estrema destra francese: Reconquete! entra in Ecr. Il “progetto” per nuove alleanze in Europa
Non si sono ancora spenti gli echi della polemica politica, dopo l’ingresso dell'eurodeputato di Reconquete, il nuovo partito di destra di Eric Zemmour, Nicolas Bay nel gruppo di Ecr di Giorgia Meloni. Lo spartito suonato dalle opposizioni è sempre lo stesso, la presunta anima estremista della premier che ritorna alla luce. Ma al di là di queste stucchevoli polemiche che vengono lanciate da chi come la sinistra pare ormai senza davvero più argomenti validi e forza per contrastare nel merito la premier e il suo governo e abbaia alla luna sul pericolo nero. La domanda ricorrente invece tra la maggior parte degli osservatori diciamo neutrali, è perché fare un accordo con un indebolito Zemmour e perché proprio adesso... e non dopo le elezioni di giugno? Reconquete, che non ha certo fatto sfracelli alle ultime elezioni presidenziali ai più appare come un brutta copia sbiadita del ben più grande RN de la Le Pen, accreditata da tutti i sondaggi come il partito più votato in Francia.
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Il fatto che Nicolas Bay eurodeputato passato al gruppo meloniano, fosse fino alle presidenziali uno dei bracci destro della stessa Le Pen, alimenta il dubbio di chi vede, soprattutto in patria, il progetto di Zemmour come un esperimento mal riuscito e destinato a fallire, stretto come appare, tra la destra più estrema del rassemblement National, da una parte e quella più moderata dei Républicains dall’altra.
Attualmente secondo gli ultimi sondaggi Reconquete viene accreditato di un 6/7%, che vorrebbe dire comunque portare a Strasburgo 6 deputati. Ma si tratta di sondaggi, perchè poi alla prova dei fatti potrebbe anche accadere che il partito non superi la soglia del 4%. Meglio allora, dicono sempre questi arguti osservatori della politica nostrana e non solo, aspettare l’esito del voto, per poi posizionarsi in maniera più chirurgica. Ma conoscendo bene la Meloni e il suo grande acume, proprio in politica estera, come sta ampiamente dimostrando sul campo in questo primo anno e mezzo scarso di governo, non si può pensare che questa mossa non sia stata pensata e valutata in ogni suo particolare. Si tratta probabilmente di una precisa strategia che Meloni, insieme ai suoi fidatissimi scudieri a Bruxelles, capitanati dal copresidente del gruppo, Nicola Procaccini e dal capo delegazione Carlo Fidanza, sta portando avanti da mesi.
Obiettivo della Meloni e del suo gruppo, che dovrebbe vedere Fratelli d’Italia come la compagine più rappresentata nel prossimo parlamento (e probabilmente la seconda dell’intero emiciclo) è molto più sottile che una semplice questione di numeri (cosa che certo conta ma non in questo caso o almeno non è certo prioritaria). Il quotidiano Economist due settimane fa aveva dedicato un lungo editoriale alla premier italiana dal titolo assai eloquente “il governo di destra della Meloni non fa poi cosi paura”. Occorre non dimenticare che il giornale è lo stesso che nel 2001 dedicò una copertina a Berlusconi, definendolo inadatto a governare. Quindi stiamo parlando di un giornale certo non propriamente vicino alle idee di centro destra o conservatrici. "La Meloni potrebbe essere un segno che la destra populista non è sempre così cattiva una volta al governo… Tutto sommato, la Meloni fornisce un dato incoraggiante: la cosiddetta estrema destra in Europa può presentarsi al governo e comportarsi come normali conservatori...".
Scrive il giornale britannico ed è proprio qui che a nostro avviso si può riconoscere il senso anche di alleanza all’apparenza poco comprensibili per modi e tempi. Ma Giorgia Meloni ha bene inteso quale sia la strada da seguire e al contrario di molti altri leader o supposti tali, ogni sua mossa segue un progetto ben preciso. Il primo passo, infatti, era quello di accreditarsi in Europa come leader autorevole e credibile. Operazione riuscita in pieno e forse anche al di sopra di tutte le più rosee aspettative. La premier piaccia o meno a Schlein e Conte, è diventata sicuramente un punto di riferimento per l’Europa. Tutti gli allarmi e i proclami lanciati dal mainstream di sinistra prima del voto sul rischio di isolamento in Europa e sulle disgrazie che sarebbero arrivate in serie a causa del governo di destra, sono state smentite clamorosamente dai fatti. Tutti i principali giornali internazionali stanno riconoscendo il ruolo da prima attrice della Meloni in politica estera (che non viene subita come spesso accaduto per altri premier in passato, ma si cerca di giocare ai tavoli che contano da protagonisti).
Ultimo in ordine il New York Times, che pochi giorni fa ha dedicato un lungo articolo sul suo fondamentale ruolo come mediatrice e come motore della politica estera europea, con una intervista proprio a Nicola Procaccini, il copresidente dell’Ecr. In altre parole, la Meloni sta dimostrando al mondo intero che tutte le paure ancestrali verso la destra sono assolutamente infondate, almeno di una destra liberale e conservatrice (altra cosa sono gli estremismi dei tedeschi di Afd, verso il quale Meloni e il suo gruppo Ecr hanno segnato da sempre le distanze) come quella a cui a pieno titolo appartiene la premier e il suo partito. La strategia della Meloni è quella che si può esemplificare in quattro parole: la destra al centro e il centro a destra. Si tratta di una evoluzione della operazione riuscita appunto a metà che fece Berlusconi solo in Italia quando volle traghettare la destra di An verso la sua idea di centro moderato. Ed è in questa ottica che la mossa di accogliere Reconquete, rimasta senza patria al Parlamento europeo nel gruppo dei conservatori. Difficile capire dove porterà questa strategia ma il chiaro intento è quello di cercare in tutti i modi di smuovere da quella apatia che sembra aver pervaso il partito popolare, che al Pe negli ultimi cinque anni è parso troppo volte appiattito sulle posizioni liberali e socialiste.
L’avvento della Meloni al governo è certamente servito a cambiare anche il mood della politica europea, e soprattutto del centrodestra che, per non sembrare troppo vicino agli estremisti, ha scelto la comoda ma poco appagante in termini elettorali posizione di appiattimento sulle posizioni di socialiste e liberali, perdendo in autorevolezza e credibilità. Non è un caso se i popolari in questi anni hanno sofferto in tutti i paesi europei, primo tra tutti proprio il nostro. Su molte questioni come l’immigrazione l’approvvigionamento energetico o anche sulla delicata mediazione con chi, come Orban, si mostra scettico su aiuti ad Ucraina, Giorgia Meloni è stata sempre al centro della scena.
E’ chiaro che molti leader europei, definiti scomodi, come Le Pen e Orban, non possano non guardare con sempre maggiore interesse a quanto sta realizzando Giorgia Meloni. Un pensiero ad una alleanza post elezioni da parte di chi come la Le Pen aspira a seguire quello che e riuscita a realizzare in patria la Meloni, potrebbe essere anche nell’ordine delle cose. Perché è chiaro che un buon successo delle destre, come indicato da tuti i sondaggi, a giugno, potrebbe portare a quel cambio di maggioranza anche a Bruxelles, in grado di dare una svolta a tutta la politica europea, in cui l’Ecr e Giorgia Meloni non potrebbero non giocare un ruolo da assoluti protagonisti. Operazione difficile e non priva di rischi, ma alzi la mano chi solo tre anni fa avrebbe scommesso su Meloni a Palazzo Chigi? E poi ancora che una volta lì, avrebbe mostrato una simile autorevolezza e leadership non solo in patria ma anche nello scacchiere geopolitico internazionale?