Netanyahu gioca come se avesse in tasca la vittoria e l’impunità della quale gode fosse eterna. Ma la realtà è ben diversa

Guerra in Medio Oriente, Netanyahu pensa di aver fatto scaccomatto ma non è così

di M. Alessandra Filippi
Esteri

Guerra in Medio Oriente, l'analisi 

Gli scacchi, antichissimo gioco nato in India, diffuso nella Persia sasanide e portato dagli Arabi in Europa fin dall’XI secolo, acquisirono le regole attuali nel Quattrocento. Da allora non sono mai cambiate. È un gioco di strategia, memoria e tattica; i suoi pezzi, Re, Regine, Torri, Alfieri, Cavalli e Pedoni rievocano i campi di battaglia. Persino nei castelli medievali si trovano scacchiere incise sulla pietra, usate dai soldati per addestrarsi mentalmente all’arte della guerra.

Durante la Seconda guerra mondiale, l’azienda inglese Adam Brothers & Shardlow Ltd. realizzò un kit di scacchi in cartone, destinato ai militari come passatempo. Ideato dal dipartimento britannico MI9 per aiutare i prigionieri a fuggire, conteneva sedici pedine nere e sedici bianche, ciascuna nascondente all’interno mappe, bussole e istruzioni per la fuga. Il nome, Ajax, Aiace, venne scelto come sfida: ricordava il consiglio inascoltato di Laocoonte ai troiani, di diffidare dei doni dei Greci, di quel cavallo di legno fuori la porta, evidenziando come anche gli scacchi, all’apparenza un gioco, possano contenere strategie di ribellione.

Non so se Netanyahu sia uno scacchista, né se sappia che alla Persia dobbiamo la diffusione di questo raffinato esercizio mentale; quel che so è che lo scorso maggio, per accusare Teheran di sfruttare i colloqui sul nucleare per “guadagnare tempo, più o meno come ha fatto per anni la Corea del Nord”, fra le tante cose ha detto che l’Iran “gioca a scacchi con la comunità internazionale”, riconoscendogli di eccellere nel gioco. Non lo stesso si può dire di lui. A giudicare da come muove i suoi pezzi sulla traballante e martoriata scacchiera mediorientale vien da pensare che proceda senza strategia. Spalleggiato dai suoi ministri più oltranzisti, avanza come se ogni mossa fosse dovuta, asfaltando tutto e tutti. Colleziona crimini di guerra e contro l’umanità come fossero ninnoli, nella quiescenza generale dell’Occidente, il quale è convinto, erroneamente, sia più sicuro assecondarlo che opporvisi.

È meglio averlo come “partner” che come nemico sulla vasta scacchiera internazionale, dove ha saputo tessere una robusta rete di controllo, a partire dalla narrazione che domina la stampa e i media di mezzo mondo. Il quarto potere, capace di influenzare l’opinione pubblica e plasmare la realtà a proprio vantaggio, viene gestito attraverso strategie di comunicazione ben orchestrate, mirate a costruire consenso internazionale e legittimare le proprie azioni. Basta guardare ciò che è accaduto ad Amsterdam per averne una prova evidente: gli hooligan israeliani hanno provocato scontri, comportandosi da teppisti e intonando canti razzisti che inneggiavano al genocidio degli arabi e dei palestinesi. Eppure, la stampa, i telegiornali e persino la sindaca e il re dei Paesi Bassi hanno stigmatizzato gli aggrediti, colpevoli di aver reagito. I pochi servizi che riportavano i fatti senza filtri sono rapidamente scomparsi dal web, come quello andato in onda su Sky News, di cui non si trova più traccia.

Vengono ostracizzati, censurati e stigmatizzati i pochi che cercano di denunciare quel che accade e che, come Laocoonte, si ostinano, in un silenzio assordante e fra l’indifferenza generale, a lanciare l’allarme su quello che l’impunito genocidio in corso a Gaza può rappresentare per tutti noi. Ovvero, che se oggi si permette una simile mattanza, in diretta, sotto gli occhi del mondo, al quale da 404 giorni si spaccia uno sterminio e una pulizia etnica come “diritto a difendersi”, domani sarà legittimo qualunque massacro perpetrato da entità ben armate e con la bomba atomica, finanziariamente forti e con solide alleanze sovranazionali. Siamo già immersi nel macabro far west contemporaneo, e il moribondo Occidente, privo di etica e morale, si muove come fosse il solo detentore del faro della civiltà, ago della bilancia, custode della verità, vestale del fuoco. Nulla è vero, tutto è possibile.

La repressione delle voci dissenzienti, il divieto di manifestare a sostegno dei palestinesi, il discredito gettato addosso a chi non si allinea, le multe comminate a chi protesta, sono tutti campanelli d’allarme: dimostrano che una fetta di quelli che credevamo diritti acquisiti, come la libertà di parola e di pensiero, è ormai un ricordo del passato. Nel 1945, George Orwell aveva profetizzato questa subdola manipolazione della democrazia nel suo romanzo La fattoria degli animali. Lì, in nome dell’autodeterminazione, un gruppo di animali si ribellava al padrone impossessandosi della sua proprietà. Ribattezzata "Fattoria degli animali," creato un proprio inno, capeggiati dai maiali, gli animali festanti stilavano anche un elenco di sette comandamenti che avrebbero dovuto regolare la conquistata libertà. I maiali, ben presto, si rivelano dispotici e tiranni come non lo era mai stato il bipede scalzato. Alla fine, tutti i comandamenti vengono manipolati fino a ridursi a uno solo: “Tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali di altri.” Un monito attuale: oggi sembra che alcuni uomini possano essere più uguali di altri. Benedetti e dannati.

È questo il punto. Netanyahu, insieme al suo governo di estremisti messianici – in testa Ben Gvir e Smotrich, il quale due giorni fa ha dichiarato di aver ordinato i preparativi per l’annessione della Cisgiordania occupata, aggiungendo che “con l’aiuto di Dio, il 2025 sarà l’anno della sovranità in Giudea e Samaria” – e gli israeliani che sostengono la sua spietata strategia, agiscono come se avessero già in tasca la vittoria. Si comportano come se fosse loro diritto dare ‘scaccomatto’ ai palestinesi, i ‘redivivi amaleciti’, come lo stesso Netanyahu li ha definiti, e procedere al loro feroce annientamento, come racconta la Bibbia. Da oltre un anno, Israele agisce come se alcuni uomini potessero davvero essere più uguali di altri, come se l’impunità della quale godono fosse eterna. Ma di eterno su questa terra non c’è nulla.

Il filosofo Mario Ricciardi, due giorni fa, sul suo profilo X ha scritto: “Comincio a pensare che Gaza sia diventata un test morale. Non solo per il dato quantitativo (il numero delle vittime), ma per il modo in cui il massacro in corso si sta svolgendo: in pubblico.” Penso abbia ragione. Ricciardi pone anche una domanda: perché tanti in Europa e negli Stati Uniti hanno assecondato il governo Netanyahu fino ad arrivare al punto in cui siamo? Dubitando sia perché hanno a cuore la sicurezza dei cittadini di Israele, formula una risposta: “Chi asseconda Netanyahu ha compreso che Gaza è un test morale, e ha scelto di affrontarlo. La posta in gioco, infatti, è un cambio di paradigma sul piano etico. Se collettivamente finiremo per accettare ciò che accade a Gaza non ci sarà limite a quel che accetteremo dopo Gaza.”

La partita è in corso. Sulla scacchiera si muovono pedine che rappresentano vite umane, diritti calpestati, leggi internazionali violate, risoluzioni ignorate, principi che credevamo inamovibili sovvertiti. Gaza è il nostro test morale. Il banco di prova di un cambiamento di paradigma inquietante: quanto siamo disposti ad accettare nel nome di un ordine che alcuni vorrebbero imporre come giusto e necessario? Se oggi ci abituiamo all’orrore sotto i nostri occhi, non sarà solo il briciolo di umanità che ci resta a scomparire, ma la stessa vita come l'abbiamo conosciuta, profondamente e irreparabilmente trasformata. Netanyahu gioca come se la vittoria fosse certa, ma persino i re più potenti possono cadere sotto scacco. E in questa partita, lo scaccomatto potrebbe arrivare anche per lui. Sic transit gloria mundi.

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