La nuova dottrina nucleare: Putin torna a mostrare i muscoli perchè mancano le regole

Che la mossa di Putin avvicini al rischio di un conflitto atomico è discutibile. Ciò che è certo è che mancano regole di ingaggio certe come durante la Guerra Fredda. I Paesi con l'atomica nel proprio arsenale

di Andrea Muratore
Esteri

La nuova dottrina nucleare: Putin torna a mostrare i muscoli perchè mancano le regole

Il rinnovo della dottrina nucleare da parte della Russia di Vladimir Putin ha agitato, nella giornata del 19 novembre, lo spettro della guerra atomica. Il sillogismo è parso a molti chiaro: gli Stati Uniti hanno aperto all’uso da parte degli ucraini in lotta contro la Russia dei missili ATACMS sul suolo russo. Francesi e inglesi si preparano a fare lo stesso con gli SCALP e Storm Shadow. La Russia ha rinnovato la dottrina includendo nelle fattispecie che rendono possibile una reazione nucleare anche gli attacchi convenzionali che minacciano infrastrutture strategiche per la sicurezza nazionale e tra i bersagli papabili anche coloro che sostengono un Paese che attacca Mosca. Conseguenza: si sono inseguite discussioni sul fatto che questa mossa possa o meno essere il preludio di un confronto atomico tra Mosca e l’Occidente all’ombra dell’Ucraina.

La realtà, come diceva Giulio Andreotti, è molto più complessa. Le dottrine d’impiego delle armi atomiche non sono Tavole della Legge ma servono piuttosto a enunciare posizioni politiche sulla conflittualità strategica tra potenze. Sia la Russia con la sua dottrina aggiornata che gli Usa con la Nuclear Posture Review ci dicono essenzialmente tre cose: in primo luogo, che è tornato il vecchio uso della politica nucleare come strumento di potenza. In secondo luogo, che le dottrine d’impiego meno stringenti riflettono la sfiducia collettiva sul sistema internazionale. Infine, che nella corsa al riarmo c’è spazio anche per gli investimenti nel rinnovare gli arsenali atomici.

Ma questo non vuol dire che, come nella meccanica newtoniana, a una manovra militare su un fronte seguirà una reazione atomica immediata e contraria. Le dottrine d’impiego sono volutamente flessibili. L’ultima dell’amministrazione Biden, ad esempio, dice che “il ruolo fondamentale delle armi nucleari [degli USA] è quello di scoraggiare un attacco nucleare contro gli Stati Uniti, i nostri alleati e partner. Gli Stati Uniti prenderebbero in considerazione l'uso di armi nucleari solo in circostanze estreme per difendere gli interessi vitali degli Stati Uniti o dei suoi alleati e partner". Quali siano queste “circostanze estreme” è lasciato ai decisori di turno stabilirlo.

Quali sono le potenze in possesso di arsenale atomico

Cosa ci insegna questo? Che l’atomica ci porta nel campo dell’escatologia, non della geopolitica. Nel merito di un discorso sull’inizio e la fine di tutto. E che forse regole d’ingaggio chiare sarebbero utili. Ad oggi Russia e Usa guidano i due arsenali più grandi al mondo, a cui si aggiungono quelli di Francia, Cina, Regno Unito, India, Pakistan, Israele e Corea del Nord, per un totale di nove Stati dotati di armi nucleari. Il peso effettivo del nucleare israeliano e nordcoreano è ridotto e difficile da valutare, ma legato a scenari regionali, quelli di India e Pakistan servono alla deterrenza reciproca, mentre Londra, Parigi e Pechino hanno con le loro piattaforme atomiche promosso un obiettivo di deterrenza minima credibile in grado di dissuadere qualsiasi potenza ad attaccarle stante la capacità di operare un cosiddetto “secondo colpo” se bersagliate con i missili dei nemici. Ad oggi, solo Washington e Mosca dispongono di arsenali tali da poter garantire un primo colpo capace di obliterare un Paese nemico con i propri asset strategici.

Usa e Russia come ai tempi della Guerra Fredda? Non esattamente

Ai tempi della Guerra Fredda esistevano due principi tra Unione Sovietica e Stati Uniti: da un lato, lo spettro della “distruzione mutua assicurata” legata al peso degli arsenali strategici. Dall’altro, un vincolo di trattati, da quello sulle forze intermedie (Inf) allo Start e il trattato Anti-missili balistici (Abm) con cui Mosca e Washington si impegnavano alla parità tattica, rinunciando a espandere eccessivamente i propri arsenali, a schierare missili a medio raggio che avrebbero abbassato la soglia della deterrenza e a ampliare la propria capacità di intercettazione.

Cosa succede ora? Da un lato, le politiche di impiego sono tornate a farsi più aggressive. Dall’altro, quei trattati (Abm, Inf, Start) che regolavano la competizione atomica non esistono più e dunque cresce il peso dei principi enunciati dalle dottrine. Ricorda la Brookings Institution, prestigioso think tank Usa, che “la politica dichiarativa potrebbe non essere necessariamente la stessa della politica d'azione, ovvero ciò che uno Stato farebbe realmente in una crisi o in un conflitto”. Nel 1982, ad esempio, “il leader sovietico Leonid Brezhnev annunciò una politica di non primo utilizzo di armi nucleari. Tuttavia”, nota la Brookings, “dopo il crollo dell'Unione Sovietica, le rivelazioni dei piani di guerra sovietici in Europa mostrarono che prevedevano il primo utilizzo di armi nucleari in una guerra con la NATO. In ogni caso, la decisione di utilizzare armi nucleari sarebbe stata una delle più importanti mai prese; tale decisione dipenderebbe molto di più dal leader e dalle circostanze specifiche del momento piuttosto che da una politica dichiarata”.

L'atomica, la dottrina ed il ruolo della politica

Oggi ritorna la corsa a queste dottrine audaci, unita alla ricerca su armamenti capaci di rompere l’impasse strategica come i sistemi ad energia diretta e i missili ipersonici. Il mondo della nuova corsa nucleare è meno sicuro. Ma proprio il peso degli arsenali e l’assenza di un attore capace di garantire un primo colpo vincente a prescindere e privo di risposte energiche contro qualsiasi avversario lasciano per ora le atomiche negli arsenali, evitando ogni tentazione bellica. Senza i trattati e gli accordi, resta la distruzione mutua assicurata e resta la politica. Vero decisore di ultima istanza. Dalla cui saggezza deriverà in futuro, salvo nuovi accordi globali, la possibilità per l’umanità di veder attraversata la “frontiera dell’Apocalisse” della guerra nucleare.

 

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