"Benvenuti all'Inferno!", è tutto vero: palestinesi torturati in Israele

Fin dall’inizio della guerra a Gaza gravi violenze nelle prigioni sono diventate pratiche abituali inflitte ai detenuti palestinesi

di Alessandra M. Filippi
Esteri

Benvenuti all'Inferno!

"Welcome to Hell" è un dettagliato rapporto di 118 pagine realizzato da B'Tselem – Centro di informazione israeliano per i diritti umani nei Territori occupati. Un’indagine dettagliata, supportata da testimonianze e documenti, sugli abusi e il trattamento disumano riservato ai palestinesi detenuti in custodia israeliana dal 7 ottobre 2023. Il titolo riprende una delle decine di testimonianze rilasciate dai prigionieri, in particolare a quella di Fouad Hassan, 45 anni, padre di cinque figli e residente a Qusrah nel distretto di Nablus. "Ci hanno portato a Megiddo. Quando siamo scesi dall'autobus, un soldato ci ha detto: Benvenuti all'inferno". B'Tselem ha raccolto le testimonianze di 55 palestinesi detenuti senza accuse precise, poi rilasciati. Le loro testimonianze confermano la veloce e affrettata trasformazione di diverse strutture carcerarie israeliane, militari e civili, in una rete di campi di tortura, nelle quali ogni detenuto palestinese è deliberatamente sottoposto a crudeltà e sofferenze continue e implacabili.

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Le violente proteste, andate in scena all’inizio di agosto, fuori dalla base militare di Sde Teiman, nel sud di Israele, sono la plastica conferma della deriva umana descritta nelle pagine del rapporto, la cui lettura mette a dura prova. Si sono scatenate immediatamente dopo l’arresto di 9 soldati accusati di presunti gravi abusi sessuali commessi ai danni di un comandante di Hamas, ex detenuto del penitenziario assediato dai manifestanti. Il doppio paradosso di queste proteste è che, di fatto, questi gruppi di estrema destra non solo protestavano contro l’arresto di quelli che per loro erano “eroi nazionali”, malgrado su di loro gravino pesanti indizi di colpevolezza, ma di fatto, in base alle dichiarazioni rilasciate da alcuni di loro, sembrerebbe sia considerato lecito abusare dei prigionieri. Fra la folla dei dimostranti indignati per le accuse ai militari, c'erano anche politici israeliani della coalizione di estrema destra del Governo di Bibi Netanyahu. Gli avvocati che rappresentano quattro dei riservisti israeliani hanno dichiarato alla stampa che i loro assistiti affermano di aver agito per "autodifesa". Affermazione surreale oltre che temeraria.

Fin dall’inizio della guerra a Gaza, violazioni che includono gravi violenze, aggressioni sessuali, degradazioni, umiliazioni, riduzione alla fame, privazione del sonno, nelle prigioni sono diventate pratiche abituali inflitte ai detenuti palestinesi. Uno dei prigionieri rilasciati, in un video pubblicato su Al Jazeera, ha raccontato che erano tenuti legati mani e piedi tutto il tempo, che gli veniva gettato pane raffermo come cibo e gli veniva proibito di andare in bagno. “siamo stati colpiti da scosse elettriche, verbalmente e fisicamente abusati notte e giorno. Mi hanno colpito con scariche elettriche persino in bocca. È stata una tortura assoluta”. Un altro, fra le lacrime, ha detto che all’interno della prigione dilagava il vaiolo, la rogna. “I corpi dei detenuti erano ricoperti di foruncoli infetti. C'era un giovane la cui pelle si stava staccando. E c’era chi implorava anche solo per una briciola di antidolorifico, ma gli hanno negato anche quello”.

Secondo il report di B'Tselem più di una dozzina di prigioni militari e civili sono state convertite in “una rete di campi dedicati all’abuso dei detenuti”. I prigionieri raccontano che era loro vietato muoversi e parlare. “Se ti azzardi a parlare a quello che sta accanto a te, fanno uscire la squadra dell'esercito, che include cani e strumenti di elettrocuzione, e iniziano a picchiarti”.  Sono svariate decine le testimonianze dei detenuti palestinesi raccolte nel report e il cui numero è raddoppiato dall’inizio della guerra a Gaza, arrivando a sfiorare quasi 10.000 persone. La maggior parte di loro si ritiene siano detenuti senza un’accusa specifica e senza processo; molti di quelli liberati hanno ferite fisiche e mentali che li segneranno a vita. Come un giovane che, a causa delle ripetute torture e percosse, ha perso la vista da entrambi gli occhi. Un altro ha tutto l’addome squarciato fino al pube e ricucito con delle grappette metalliche, oltre a ferite multiple in tutto il corpo. Sembra siano almeno 60 i palestinesi detenuti nelle prigioni israeliani ad essere deceduti a causa delle torture dal 7 ottobre. Nel rapporto è inoltre sottolineato che le violenze sono “consentite dal governo di Netanyahu”.

Un uomo palestinese, Ibrahim Atef Salem, imprigionato per 32 giorni nel famigerato campo di detenzione israeliano di Sde Teiman, ha raccontato a Soraya Lennie, giornalista di Al Jazeera, del suo periodo di detenzione nella struttura, durante il quale è stato afflitto da ripetuti abusi. "Sono stato torturato 13 volte al giorno durante quei 32 giorni", ha detto l'ex prigioniero, "Non c'era pietà, nessuna compassione". I metodi di tortura includevano l'uso di una "sedia elettrica" ​​e frequenti percosse, ha detto, aggiungendo che i servizi segreti lo interrogavano "costantemente". Le condizioni carcerarie sono a tal punto malsane da aver favorito la diffusione di scabbia e pidocchi. “Alcuni prigionieri soffrivano così tanto da non riuscire nemmeno a sedersi. Nel rapporto si legge che “almeno 60 persone sono morte sotto la custodia israeliana. Quarantotto di loro erano detenuti di Gaza, alcuni dei quali sono morti nei campi di detenzione allestiti dai militari e altri prima ancora di arrivarci, apparentemente a causa dell'estrema violenza dei soldati durante il loro trasferimento da Gaza a Israele”.

Nel capitolo 7, dedicato ai morti oltre le sbarre, si legge che “B’Tselem è a conoscenza di altri 12 palestinesi della Cisgiordania o di Israele che sono morti sotto la custodia dell'IPS, alcuni in circostanze che sollevano gravi sospetti di abuso deliberato e negazione di cure mediche. La polizia ha aperto almeno un'indagine penale contro le guardie carcerarie che erano coinvolte nella morte di un detenuto dell'IPS. Tuttavia, per quanto ne sappiamo, nessuno è stato perseguito per queste azioni”.

Tra i palestinesi che hanno rilasciato testimonianze a B’Tselem sugli abusi nelle carceri dal 7 ottobre ci sono anche cittadini israeliani. Secondo quanto riferisce l’organizzazione, malgrado abbiano uno status diverso e siano soggetti a leggi diverse rispetto ai residenti palestinesi della Cisgiordania, di Gerusalemme Est e della Striscia di Gaza, “questi prigionieri sono stati sottoposti alle stesse condizioni delle loro controparti della Cisgiordania e hanno subito abusi simili. Dal 7 ottobre, centinaia di cittadini palestinesi di Israele sono stati arrestati per sospetto incitamento e sostegno a organizzazioni terroristiche, a volte per atti di minore importanza come l’espressione di solidarietà con il popolo palestinese o la critica a Israele, alla guerra e così via. Gli arresti di cittadini palestinesi, soprattutto su larga scala vissuti dall’inizio della guerra, sono un altro modo in cui il regime israeliano usa i suoi sistemi contro i palestinesi, ovunque, senza distinzione, dalle rive del fiume Giordano, fino al mar Mediterraneo”. Uno di loro è un avvocato, Sari Huriyyah, 53 anni, di Shfaram, arrestato per un post pubblicato su Facebook, nel quale esprimeva solidarietà con la popolazione di Gaza. Il suo fermo è stato possibile grazie a un permesso speciale rilasciato dall'ufficio del procuratore di Stato e dall'associazione degli avvocati israeliani.

All'inferno si arriva a piccoli passi. «La guerra è pace, la libertà è schiavitù e l'ignoranza è forza», scriveva George Orwell nel suo distopico romanzo 1984, pubblicato l’8 giugno 1949. Aveva previsto tutto, tranne la possibilità che un altro abominio potesse consumarsi sotto gli occhi di tutti, nell’indifferenza di molti, con la complicità di pochi e nel silenzio assordante di una larga parte della stampa, che invece di informare e denunciare, tace.

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