Elezioni in Russia, Putin e lo sberleffo all'Occidente

Tutto il modo in cui è stata condotta l'elezione presidenziale in Russia può essere letto come un suo colossale sberleffo

Di Dario Fertilio
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Esteri

Elezioni in Russia, rieletto Putin

La rielezione trionfale di Vladimir Putin, ormai presidente della Russia praticamente a vita, è una aperta irrisione nei confronti dell'Occidente. Non solo perché il cosiddetto Zar ha ironizzato davanti alle telecamere sui tentativi falliti, in America ed Europa, di influire sull'esito del voto, e di delegittimarlo. Non solo perché ha finto di rammaricarsi per la morte di Navalny, che - ha detto - sarebbe stato "quasi pronto" a scambiare con qualche agente del Kgb arrestato all'estero, ma che purtroppo è morto troppo in fretta. (E' arrivato al punto di ammettere, con impeccabile e sardonico umor nero, che ovviamente nessuno su questo punto gli avrebbe creduto, e però lui non poteva farci niente).

Tutto il modo in cui è stata condotta l'elezione presidenziale, in realtà, può essere letto come un suo colossale sberleffo: per il modo plateale con cui durante la campagna elettorale ha liquidato gli avversari, arrestato i dissidenti, caricato sui cellulari chi protestava per le strade, organizzato il voto online senza possibili controlli, accompagnato uno per uno gli elettori dei territori occupati fino all'ingresso nei seggi, facendo pesare su di loro molto credibili minacce. Ma l'aspetto più clamoroso è che tutto ciò è avvenuto praticamente alla luce del sole. Senza nascondere niente, o quasi, anzi consentendo che decine di video più o meno illegali su quanto stava avvenendo giungessero in Occidente.

Già, ma perché ha agito così? Quello non è certo lo stile a suo tempo adottato nella defunta Unione Sovietica, dove non si scherzava per niente e chi osava anche solo tentare di distribuire volantini di protesta veniva individuato preventivamente dalla polizia onnipresente, e finiva in gattabuia prima ancora di aver tolto le mani di tasca.

La ragione non va fatta risalire soltanto a un aggiornamento della propaganda, ma anche alle radici profonde della ideologia adottata nella Russia putiniana. Non siamo più di fronte al comunismo classico, che per ragioni di immagine, e "fratellanza proletaria", mentiva sul suo operato per preservare una parvenza di legittimità marxista-leninista. Come hanno fatto notare in dichiarazioni pubbliche alcuni oppositori, già sulle soglie del carcere, il regime di Mosca ha ormai incorporato anche uno stile fascista, che può ricordare gli autoritarismi novecenteschi di Franco in Spagna e Salazar in Portogallo. Cioè repressione dura esibita come monito all'interno e avviso all'estero: da noi - questo il messaggio - ci si possono permettere atti di forza senza bisogno di invocare chissà quale legittimità rivoluzionaria.

Chi non condivide, purché se ne stia zitto in casa, non finisce in un gulag siberiano, ma appena se ne presenta la necessità si picchia duro, e lo si fa sotto gli occhi del mondo. Così gli occidentali impareranno a rispettare la Russia "più forte di prima", e saranno soddisfatti in patria coloro - probabilmente la maggioranza - che godono del timore ispirato dal Cremlino, come ai bei tempi di Stalin e dell'Urss. Ed essere "più forti di prima" significa anche essere orgogliosi di una superiorità razziale e di una missione imperiale in cui il comunismo si mescola al nazionalsocialismo: dove c'è sangue e lingua russa, là deve estendersi nuovamente il Reich di Mosca. Qualche brivido correrà lungo la schiena degli occidentali? Non sarà puramente casuale e deve significare per noi: attenti, siete avvertiti.