Raisi? Uomo dell'apparato. Ma poteva succedere a Khamenei. E ora..
La morte del presidente iraniano spariglia le carte anche rispetto alla successione di Ali Khamenei. L’intervista all’esperto di Medio Oriente Cassanmagnano
Raisi? Uomo dell'apparato. Ma poteva succedere a Khamenei. E ora..
L’Iran è stato sconvolto dalla morte del presidente Ebrahim Raisi e del Ministro degli Esteri Hossein Abdollaihan in un tragico incidente in elicottero di ritorno da un viaggio di Stato in Azerbaijan. Come cambieranno gli scenari strategici e politici della Repubblica Islamica, al centro di un Medio Oriente in fiamme? Ne parliamo con Alessandro Cassanmagnago, storico, politologo e studioso di Medio Oriente, specializzato nella Repubblica Islamica. Raisi era un Eichmann iraniano, che eseguiva degli ordini. Ma era un candidato serissimo alla successione a Khamenei". Intervista
Cassanmagnago, come impatterà sull’Iran la morte del presidente e del ministro degli Esteri?
La morte di Raisi e Abdollaihan nella provincia iraniana dell’Azerbaijan apre diversi scenari. Partiamo da un presupposto: bisogna considerare il potere iraniano a una serie di livelli di interazione delle forze politico-sociali dentro e fuori il Paese in occasione della morte del presidente della Repubblica. Alla morte di un leader c’è sempre un effetto sulla politica interna, la società e gli scenari esteri. Nella politica interna, gli equilibri di potere della classe dirigente sono profondamente toccati: la morte di Raisi può avere una serie di effetti destabilizzanti. Apre uno scenario di necessità di sostituzione di una figura apicale della gerarchia della Repubblica Islamica in un momento in cui in Iran si stava prefigurando la transizione ai vertici del potere non soltanto politico, dato che le elezioni presidenziali erano previste per il 2025, ma anche della sommità dell’architettura istituzionale del Paese, rappresentato dalla Guida Suprema.
Una doppia successione in cui Raisi spesso era tirato in ballo…
L’età avanzata di Ali Khamanei apre un discorso sul tema. Khamenei è stato dato più volte per spacciato e moribondo, ma tiene botta. Rimane comunque una figura anziana della cui successione è doveroso parlare. La morte di Raisi influenza il tema della transizione ai vertici a ogni livello: Raisi era un candidato serissimo alla successione a Khamenei, partita aperta e non scontata ovviamente ma di cui si discute da tempo. In Occidente Raisi era considerato uno dei favoriti, ma in Iran c’era grande scetticismo sul tema: innanzitutto, per il ridotto carisma; in secondo luogo, per la sua natura di figura artefatta e sostenuta dall’inner circle di Khamenei, che l’hanno sempre protetto e promosso assieme agli apparati securitari.
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Raisi, quindi, frutto di un sistema più che suo architetto?
Raisi era una figura monodimensionale, non un personaggio con un background articolato, nel cui curriculum la componente principale dell’era pre-presidenziale era l’esser stato membro di un gruppo di giudici che nel 1989 aveva contribuito a mandare a morte migliaia di persone con l’accusa di essere dei collaboratori dei ribelli del Mek, sostenuti da Saddam Hussein.
Questo, dunque, ne depotenziava il peso politico?
Raisi era una figura con credenziali di scarso livello sul piano politico e delle macchie pesanti sul suo curriculum che trattengono dal definirlo uno statista indispensabile. Era un Eichmann iraniano, che eseguiva degli ordini. Ma è stato indubbiamente una figura spinta in tutti i modi da Khamenei e da una componente del sistema per esser presidente, candidandosi più volte fino all’elezione nel 2021, quando il Consiglio dei Guardiani, che deve vagliare ogni possibile candidato, ha escluso ogni possibile rivale in un voto partecipato solo dal 41% degli elettori, un’affluenza minima nella storia nazionale. Una figura imposta la cui ascesa ha creato dissensi e la cui morte dal punto di vista della popolazione può invece aprire nuove prospettive.
A che cosa si riferisce?
Da un lato, nuove proteste. Per una parte della società iraniana muore il boia, l’uomo di recente visto come uno dei colpevoli delle repressioni verso le proteste del 2022 e dei più recenti tumulti sociali. Molti, è indubbio, saranno contenti. Ma dall’altro punto di vista si riapre il discorso elettorale, perché da Costituzione l’Iran sarà chiamato a nuove elezioni presidenziali entro cinquanta giorni
Chi deciderà la partita?
Tutto è in mano al Consiglio dei Guardiani. Che faranno con le figure che alle ultime presidenziali sono state escluse? Molto probabilmente Khamenei non sarà netto come nel 2021 e cercherà una via di mezzo. Possibile siano vietate le candidature di figure scomode, come l’ex ministro degli Esteri Zarif e l’ex presidente Ahmadinejad, forse addirittura del più moderato Rouhani, ma che molte figure ritenute in passato al limite, anche nel campo più conservatore, siano ammesse. Non si potrà stringere troppo sulla rosa, ed ecco che potrebbero emergere nuovi volti come lo Speaker della Camera, Mohammad Qalibaf, che era stato vice di Ahmadinejad e sindaco di Teheran, che potrebbe cercare la scalata alla presidenza accordandosi con Khamenei. Più difficile, per prassi, che un militare di alto livello come Ali Shamkhani, ex capo delle forze armate e segretario del Consiglio di Sicurezza Nazionale, possa ambire, anche se la sua figura è molto popolare e rispettata.
Come cambierà la società iraniana alla prova del voto?
La lotta per il potere all’interno del Paese imporrà di rifare del tutto il governo in vista della decisiva, ma ancora lontana, transizione ai vertici con la successione alla Guida Suprema. La popolazione col voto potrà mostrare, se esiste, la sua insoddisfazione per un voto ancora una volta non democratica e fare pressione per spuntare rivendicazioni sociali, soprattutto a livello economico. La popolazione chiede quelle garanzie di tutela economica malgestite negli anni scorsi, soprattutto sul fronte dei salari, dell’inflazione e degli investimenti del Paese, con la popolazione che spesso trova spinoso l’elevato livello di spesa militare all’estero.
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Che cosa cambierà nella postura dell’Iran verso l’estero?
La morte di Raisi condizionerà anche la postura estera dell’Iran. Parto da un presupposto: le probabilità che a causare l’incidente sia stato un fattore esterno sono bassissime, quasi nulle. Nelle guerre, anche le meno ortodosse, è sconsigliato colpire i leader. E oggi azioni del genere darebbero frutti più negativi che positivi ai loro autori. Sta di fatto che è difficile determinare la causa effettiva dell’incidente, anche se propendo sul fatto che sia stato fatale far partire con le drammatiche condizioni meteo dell’Azerbaijan iraniano l’elicottero presidenziale. A maggior ragione considerato il fatto che la componente elicotteristica delle forze aeree iraniane è antiquata e mal gestita. Dopo Kerman, colpita a gennaio dall’attentato dell’Isis-K, un nuovo “buco” della sicurezza iraniana.
Come possono reagire gli attori della regione alla morte di Raisi?
Israele si è affrettato a dire che non c’entra nulla. Mi stupisce come dichiarazione: il silenzio sarebbe stato d’oro, ma non parliamo del primo disastro comunicativo di Tel Aviv. Ma Israele potrebbe sfruttare la situazione alzando la tensione per sondare la tenuta della Repubblica Islamica e del suo complesso politico-securitario in una fase di vuoto di potere. Per quanto riguarda altri attori, non vedo grossi cambiamenti in arrivo nell’assetto estero. La competizione col Golfo si è placata e si sta creando una sostanziale omeostasi, con il riavvicinamento della Siria, vicina all’Iran, all’Arabia Saudita che l’ha di recente esplicitato. C’è una volontà, Gaza e Mar Rosso a parte, di allentare tensioni regionali già ai massimi che vede remare nella stessa direzione Iran e Paesi arabi.