Semiconduttori, Draghi "sveglia" l'Ue. Ma il ritardo con l'Asia è drammatico
Il premier cerca di salvare il futuro del mercato auto (e non solo) chiedendo di limitare la dipendenza dall'esterno per le importazioni di chip. Tema cruciale
"Una sfida decisiva per l'Europa è raggiungere l'autonomia tecnologica nei semiconduttori e nelle tecnologie quantistiche". Parola di Mario Draghi, 20 ottobre 2021. Cosa buona e giusta. Il problema è che siamo ancora alle parole, mentre sul lato delle azioni concrete l'Italia e l'Europa sono ferme da oltre tre decenni Basti pensare a un paio di cifre: nel 1990 l'Europa deteneva il 44% della capacità globale di semiconduttori, mentre oggi ne possiede solamente il 9%.
Il Vecchio Continente dipende sempre di più dalle importazioni dall'Asia, in particolare da Taiwan e Corea del Sud. Proprio l'isola rivendicata dalla Cina è leader mondiale nella fabbricazione e nell'assemblaggio dei wafer per semiconduttori, vale a dire quei chip che fanno funzionare tutto quanto è tecnologico. Vale a dire che fanno funzionare tutto quanto oggi conta per far girare un'economia: dalle automobili ai computer, dagli smartphone alle televisioni. Quasi impossibile trovare un oggetto contemporaneo che non abbia al suo interno queste piccole componenti il cui valore in sé è basso ma fanno girare tutto il resto. Oggi le aziende taiwanesi hanno uno share mondiale superiore al 50% per la fabbricazione e l'assemblaggio dei semiconduttori.
Numeri clamorosi, che espongono Italia, Europa e in generale tutto il mondo a possibili carenze di chip in caso di eventi avversi. Come puntualmente accaduto negli scorsi mesi a causa di una siccità anomala a Taiwan, che si è aggiunta alla disruption sulla produzione causata dal Covid-19 (in questo caso in realtà più in altri paesi del Sud-Est asiatico che ospitano impianti di produzione, come la Malesia). Per non contare delle pressioni militari cinesi. Tanto per far capire quanto contino i semiconduttori, quando nell'estate del 2020 l'allora presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha imposto un ban alle esportazioni verso le aziende cinesi, in particolare Huawei, alla Tsmc (leader indiscusso a livello mondiale della produzione di semiconduttori), in molti sulla rete cinese avevano chiesto di procedere all'invasione dell'isola.
Un problema serio, visto che come ricorda Draghi quando le forniture di semiconduttori "ritardano o si bloccano, come è accaduto in questi mesi di ripartenza economica, le aziende possono vedersi costrette a fermare o rallentare di molto la loro produzione". Ma il ritardo europeo non è solo quantitativo, bensì anche qualitativo. Nel campo dei semiconduttori, più è piccolo è meglio è. A Taiwan si stanno iniziando produrre semiconduttori a 3 e 2 nanometri, in Europa si è ancora su dimensioni minimo sette volte più grandi. Il commissario europeo per il mercato e i servizi, il francese Thierry Breton, ha posto l'obiettivo di arrivare a produrre il 20% dei semiconduttori mondiali entro il 2030.
Per riuscirci, però, servono più degli annunci. Sì, perché mentre Italia ed Europa dibattono, gli altri mettono sul piatto tanti, tantissimi soldi. Negli Usa, Biden ha predisposto un piano di investimenti nel settore tecnologico da 250 miliardi, oltre un quinto dei quali dedicati allo sviluppo dell'industria dei semiconduttori. Non tanto quanto la Corea del Sud, che intende mettere sul piatto 450 miliardi. Più del Giappone, che dal 1990 ha visto la sua quota di mercato precipitare dal 50 al 10%. Tokyo ha approntato una task force sull'argomento, con il coinvolgimento diretto niente meno che dell'ex premier Shinzo Abe. Poi, come sempre, c'è la Cina che gioca con una quantità diversa di fondi a disposizione. Nel piano quinquennale 2021-2025, Pechino ha stanziato 1,4 trilioni sulle industrie strategiche, compresa quella dei semiconduttori. Sul suo territorio ha oltre 90 nuovi stabilimenti pianificati o già entrati in funzione. Il timore degli operatori è che in dieci anni, grazie alle sovvenzioni del governo, le aziende cinesi possano scombussolare il mercato mondiale producendo sotto costo e sconvolgendo la domanda.
Per questo l'Europa dovrebbe, anzi deve, fare in fretta. Molto in fretta. "L'Unione europea deve mettere insieme le capacità di ricerca, progettazione, sperimentazione e produzione di tutti i Paesi europei per creare, ad esempio, un ecosistema europeo di microchip all'avanguardia. Sosteniamo con convinzione la proposta della Commissione Ue di adottare uno European Chips Act per coordinare investimenti e produzione europei di microchip e circuiti integrati. Dobbiamo inoltre agire con la massima urgenza per rafforzare la cooperazione tra pubblico e privato e attrarre investimenti alla frontiera tecnologica", ha dichiarato Draghi.
A dicembre 2020 l'Unione europea ha approvato un piano di sviluppo digitale che prevede di incrementare nettamente gli investimenti in semiconduttori e arrivare a produrre in-house il 20% (dall'attuale 10%) della produzione totale mondiale, nonché abbassare a 2 nanometri la dimensione dei semiconduttori prodotti. Anche qui, l'obiettivo è cercare di diventare almeno in parte autosufficienti e mettersi al riparo dalle tempeste geopolitiche causate dalla sfida in atto a colpi di semiconduttori e nanometri. Ma ancora non è abbastanza. Bisogna passare all'azione, anche perché la dipendenza eccessiva dall'Asia sta avendo risultati negativi adesso. In Francia, per esempio, Renault ha appena annunciato che produrrà almeno 300.000 veicoli in meno quest'anno a causa della carenza di semiconduttori a livello globale: una cifra di gran lunga superiore rispetto alle stime precedenti visto che a settembre prevedeva 220 mila veicoli prodotti in meno. Stessa cosa accaduta, pur con numeri diversi, a molte altre case automobilistiche.