Nuova guerra fredda? Tecnologica e a colpi di chip. Coinvolta anche l'Italia

I semiconduttori sono un capitolo fondamentale per lo sviluppo hi-tech e militare. E intorno a questi microchip si combatte una battaglia globale

di Lorenzo Lamperti
Esteri
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Così piccoli, eppure così grandi. I semiconduttori sono un capitolo cruciale della competizione geopolitica del futuro, che in realtà è già presente. Alla base di tutti i principali dispositivi elettronici, più sono microscopici e più sono preziosi. Le vere armi dello scontro tecnologico in atto tra Stati Uniti e Cina, con l'Europa che sta cercando faticosamente di ritagliarsi uno spazio di autonomia tecnologica (e dunque strategica) tra i due contendenti. Perché sono così importanti? Costituiscono l'irrinunciabile base della composizione di tutti i dispositivi elettronici, compresi settori strategici per l'economia del futuro come le auto elettriche o a guida autonoma, ma sono fondamentali anche per lo sviluppo militare di nuova generazione.

Le mosse di Usa e Cina sui semiconduttori

Due mosse nel giro di poco più di 24 ore dei due governi delle due principali potenze mondiali chiariscono ancora una volta, se ce ne fosse stato bisogno, di quanto siano importanti i semiconduttori. Prima il maxi piano di investimenti nel settore tecnologico approvato dal Senato degli Stati Uniti. Dei 250 miliardi totali, 52 sono dedicati esclusivamente allo sviluppo dell'industria americana dei semiconduttori. Non solo. Tutte le recenti mosse dell'amministrazione Biden (e di quella Trump prima di lui) sono volte a creare una catena di approvvigionamento che escluda di fatto la Cina. Durante il suo viaggio in Europa, Biden affronterà anche il tema dell'alleanza tecnologica sui semiconduttori con i partner del Vecchio Continente.

Se Washington chiama, Pechino risponde. In concomitanza con l'annuncio del piano Usa, il media cinese Caixin ha rilasciato i dati degli investimenti del Dragone nel settore dei semiconduttori, che nel 2020 hanno raggiunto la cifra di 35,2 miliardi di dollari. Un aumento monstre del +407% rispetto alla cifra spesa nel 2019. Se si passa al 2021, nei primi cinque mesi dell'anno in Cina si sono registrate 15 mila e 700 nuove aziende operanti nell’industria dei semiconduttori, dalla progettazione alla produzione di chip.

Cina, cifre monstre sui semiconduttori

SMIC, la fonderia più avanzata della Cina continentale, ha conquistato la quota maggiore del mercato globale e case automobilistiche come BYD e Xiaomi hanno annunciato piani ambiziosi per espandersi nel settore dei chip. La produzione di circuiti integrati (IC) in Cina è aumentata di quasi il 30% rispetto al 2020, raggiungendo 28,7 miliardi di unità, e Pechino ha recentemente aumentato anche le importazioni, che sono cresciute del 30% nei primi cinque mesi del 2021 rispetto allo stesso periodo del 2020, raggiungendo 260,35 miliardi di unità per un valore di 1,04 trilioni di yuan (162,5 miliardi di dollari). L'obiettivo del governo cinese è arrivare a produrre il 70% del fabbisogno interno di semiconduttori entro il 2025. Impresa non semplice.

Il caso del golden power di Draghi sull'italiana Lpe

Entrambi gli attori cercano l'autarchia tecnologica, in particolare nel settore dei semiconduttori. A finire in mezzo al tiro di fuoco dei due colossi sono i governi e i produttori dei paesi terzi, Italia compresa. Qualche settimana fa, il governo Draghi ha utilizzato lo strumento del golden power per impedire l'acquisizione della Lpe, una piccola azienda di semiconduttori di Baranzate (provincia di Milano) da parte di un'azienda cinese. Il nuovo esecutivo italiano, evidentemente molto più atlantista dei due precedenti, deve ancora farsi perdonare del tutto l'adesione alla Belt and Road, siglata nel marzo 2019 dal governo gialloverde alla presenza di Xi Jinping a Roma e mai andata giù a Washington e dintorni. Ecco allora l'alt alle mosse delle aziende di Pechino intorno a settori che per gli Usa sono il cuore della competizione tecnologica con la potenza emergente.

Il ruolo di Taiwan nella sfida sui semiconduttori

E poi c'è Taiwan. La parola chiave è TSMC (Taiwan Semiconductor Manufacturing Co.), leader mondiale nella produzione di semiconduttori, elemento essenziale per lo sviluppo del 5G (non a caso in questi ultimi mesi Pechino ha fatto una poderosa campagna acquisti di ingegneri e tecnici della Tsmc) e dell’intera economia digitale. Tanto per intenderci: il colosso di Hsinchu ha il 54,1% del mercato mondiale nel settore fabbricazione e assemblaggio. Il primo competitor, Samsung, ha il 15,9%, mentre la cinese Smic ha il 4,5%. L’industria dei semiconduttori rappresenta circa il 15% del pil taiwanese, in un’economia votata all’export di componenti elettronici, soprattutto verso Pechino e Hong Kong (60%). 

Semiconduttori, questione di nanometri

L'importanza dei produttori taiwanesi non è solo quantitativa, ma anche qualitativa. La TSMC produce già semiconduttori da 3 nanometri e ha fatto trapelare nelle scorse settimane che nei prossimi anni riuscirà ad arrivare a costruirne da 1 nanometro. I competitor cinesi hanno abbattuto solo di recente il muro dei 10 nanometri. Questo fa capire il ritardo competitivo dei produttori del Dragone, che non a caso si sono sempre appoggiate all'import da TaiwanHuawei, per esempio, pesava tra il 14 e il 15% del business di TSMC.

Trump e Biden cooptano le aziende taiwanesi

Questo però è stato cambiato da Trump, che nel 2020 ha imposto l’obbligo di licenze speciali per i fornitori di Huawei e altre aziende cinesi che utilizzano tecnologie o sistemi di produzione made in Usa. Da settembre 2020 è stato bloccato l'export di TSMC verso i colossi delle telecomunicazioni cinesi. Una mossa non revocata, anzi ampliata, da Biden, che sta cercando non solo di accaparrarsi la tecnologia taiwanese (il cui governo avrebbe preferito mantenersi in una posizione più sfumata su un business ritenuto strategico e anche deterrente nei confronti di possibili azioni militari cinesi nei confronti di Taiwan), ma anche di costruire catene di approvvigionamento che rafforzino l'esclusione della Cina e prefigurino possibili alternative ai colossi di Taipei.

Anche l'Europa investe sui semiconduttori

E l'Europa? A dicembre 2020 l'Unione europea ha approvato un piano di sviluppo digitale che prevede di incrementare nettamente gli investimenti in semiconduttori e arrivare a produrre in-house il 20% (dall'attuale 10%)  della produzione totale mondiale, nonché abbassare a 2 nanometri la dimensione dei semiconduttori prodotti. Anche qui, l'obiettivo è cercare di diventare almeno in parte autosufficienti e mettersi al riparo dalle tempeste geopolitiche causate dalla sfida in atto a colpi di semiconduttori e nanometri.