Siria, le condizioni dell'Ue per riconoscere il nuovo Governo (e il piano per i rimpatri)

Mentre proseguono i bombardamenti, i Governi europei studiano il piano per avviare il rimpatrio dei rifugiati. Il nodo delle basi russe da chiudere come presupposto per il sostegno dell'Ue al nuovo governo di Damasco

di Mauro Indelicato

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Esteri

Siria, le condizioni dell'Ue per riconoscere il nuovo Governo (e il piano per i rimpatri)

È stata una notte di intensi bombardamenti in Siria: tra domenica e lunedì, in particolare, si è assistito a diversi raid operati dall'aviazione israeliana. A essere presi di mira sono stati soprattutto obiettivi militari stanziati nella regione di Tartus, una delle due ex roccaforti (assieme a Latakia) dell'oramai passato governo di Bashar Al Assad. Uno dei raid, così come segnalato dall'Ong dell'Osservatorio Siriano dei diritti umani, ha anche fatto saltare in aria un intero deposito di munizioni, provocando un terremoto di magnitudo 3.0 della Scala Richter.

Le mosse israeliane sono mirate, così come chiarito dal premier Benjamin Netanyahu nei giorni scorsi, a evitare che il futuro governo siriano possa diventare una minaccia per l'esistenza dello Stato ebraico. Il fronte legato alle azioni di Tel Aviv non è l'unico che riguarda la Siria del dopo Assad anche se, almeno da un punto di vista prettamente militare, appare quello più rilevante.

Le manovre politiche a Damasco

Nella capitale siriana intanto, al fianco di un clima di apparente normalità culminato con la riapertura delle scuole, proseguono le manovre politiche dei vari attori interni e internazionali. Il Paese più attivo al momento è senza dubbio la Turchia, il cui governo viene definito come il vero vincitore del conflitto civile siriano.

Domenica ha riaperto l'ambasciata di Ankara a Damasco, lì dove la bandiera turca non sventolava più da dodici anni. Erdogan sta cercando di capitalizzare in fretta il vantaggio derivante dal successo delle milizie da lui sostenute contro la precedente leadership. Anche il Qatar, altro Paese non così lontano politicamente dai miliziani entrati come vincitori a Damasco l'8 dicembre scorso, è prossimo a riaprire la propria ambasciata.

Sempre a Damasco si è poi avuta la presenza dell'inviato dell'Onu Geir Pedersen, il quale ha incontrato Mohammad Al Joulani. Quest'ultimo, numero uno di Hayat Tahrir Al Sham (Hts) e figura più influente dei miliziani ora al potere, ha parlato della volontà di includere i curdi nel processo di ricostruzione: “I curdi fanno parte della patria – ha dichiarato ai media locali – anche loro sono stati oppressi da Assad”. Una rassicurazione che arriva dopo giorni di cruente battaglie tra l'Sna, gruppo di combattenti armati direttamente dalla Turchia, e le milizie filocurde dell'Sdf.

La questione delle basi russe e l'attesa dell'Europa

Per una Turchia impegnata nel consolidamento della propria influenza a Damasco, c'è una Russia che sta contrattando con le nuove autorità per il mantenimento della base navale di Tartus e di quella aerea di Latakia. Mosca, alleata principale di Assad, sta quindi provando a salvare i suoi obiettivi principali. Nei giorni scorsi, sembrava essere stata raggiunta un'intesa tra le parti per una permanenza, seppur ridimensionata, delle basi russe nelle proprie storiche sedi. Ma un accordo definitivo non è stato ancora raggiunto e, nel frattempo, il Cremlino sta spostando uomini e mezzi fuori dal territorio siriano.

Intanto dai Paesi Bassi è giunta un'indiscrezione, ripresa dal sito Arab News, secondo cui proprio la questione relativa alle basi russe è al centro del paventato dialogo tra l'Ue e le nuove istituzioni di Damasco: “La chiusura delle basi di Mosca – si legge nelle parole attribuite al ministro degli Esteri olandese, Caspar Veldkamp – è una delle condizioni per il sostegno europeo alla nuova leadership siriana”. Nelle scorse ore, era stata l'alto rappresentante per la politica estera Ue, Kaja Kallas, ad aprire alla possibilità di un dialogo con i nuovi padroni di Damasco.


I rimpatri dall'Europa

L'Ue guarda con interesse agli sviluppi dalla Siria anche e soprattutto per la questione dei rifugiati. Molti Paesi nei giorni scorsi hanno annunciato di voler sospendere l'asilo per i cittadini siriani, considerando la fine di Assad come motivo sufficiente per decretare lo stop alla tutela. Ma c'è chi si è spinto oltre. La Danimarca, secondo il quotidiano tedesco Bild, potrebbe ad esempio arrivare a offrire fino a 27mila euro a ogni cittadino siriano per convincerlo alla via del rimpatrio.

La strada dei rimpatri appare però impervia. Questo per almeno due motivi: in primis, occorrerà verificare nelle prossime settimane se la situazione in Siria sarà realmente stabilizzata e se dunque sussistano o meno condizioni ideali per i rimpatri. In secondo luogo, ci sono settori, come ad esempio quello sanitario in Germania, dove la presenza di lavoratori siriani appare significativa. L'impressione è che qualsiasi scelta che verrà intrapresa dall'Europa sui rifugiati siriani, rappresenterà in ogni caso un precedente importante in vista futura. Anche per questo le mosse delle varie cancellerie del Vecchio Continente avranno un peso politico non indifferente.  

 

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