Siria, i ribelli ora vedono Damasco: il silenzio sempre più imbarazzato dell'Occidente
Hama è caduta e i ribelli anti Assad distano solo 200 chilometri dalla capitale. Il dilemma occidentale: meglio il rais o gli eredi dei jihadisti?
Siria, i ribelli ora vedono Damasco: il silenzio sempre più imbarazzato dell'Occidente
Dopo Aleppo la caduta di un’altra importante città siriana, Hama, è un ulteriore colpo al regime di Bashar al-Assad di fronte all’avanzata delle forze ribelli. Gli avversari del governo di Damasco sostenuto da Iran, Russia e milizie di Hezbollah sono tutt’altro che uniti, tanto che addirittura fanno riferimento a due governi diversi, quello "Siriano ad interim" dell'Esercito Nazionale Siriano formato dai ribelli filo-turchi e quello "di salvezza per la Siria" guidato dai jihadisti di Hay'at Tahrir al-Sham, ma sono concordi nel voler espandere la loro zona di occupazione a scapito del governo centrale.
L’Esercito Arabo Siriano, ovvero le forze armate regolari fedeli ad Assad, hanno comunicato oggi la ritirata da Hama, dove sono entrate le milizie di Tahrir al-Sham, erede di formazioni un tempo legate ad al-Qaeda. La perdita della quarta città del Paese è un colpo strategicamente ancora più duro della caduta dell’importante città di Aleppo perché apre ai ribelli e ai jihadisti la strada del Sud. L’esercito di Assad non ha potuto nascondere la notizia, per quanto abbia tentato di indorare la pillola con la propaganda: “Nelle ultime ore, con l'intensificarsi degli scontri tra i nostri soldati e i gruppi terroristici e l'ascesa di numerosi martiri tra le fila delle nostre forze, queste forze sono riuscite a penetrare in diversi assi della città e ad entrarvi, nonostante abbiano subito pesanti perdite tra le loro fila", ha scritto l’esercito di Assad in un comunicato.
Tra Damasco e gli insorti ci sono ora solo 200 chilometri
Ora Damasco dista meno di 200 km e, al contempo, si apre la prospettiva di veder colpita anche Homs, nodo decisivo per evitare che venga tagliata fuori la fascia mediterranea del Paese. Hama ha anche un valore simbolico per gli anti-Assad. Nel 1982 qui Hafez al-Assad, padre del rais siriano, ordinò un maxi-bombardamento con artiglieria e carri armati contro i Fratelli Musulmani insorti contro il regime laico di Damasco. Ne risultò un bagno di sangue, con 20mila morti e decine di migliaia di arresti tra le file degli islamisti. Nel 2011 oltre 200 protestanti furono uccisi agli albori della guerra civile siriana, nei cui tredici anni il governo centrale di Damasco ha sempre mantenuto saldamente il controllo di questa antica città. La sua caduta è fondamentale perché apre la strada verso Homs e Damasco dopo anni in cui la guerra civile sembrava congelata, porta il conflitto in aree che non lo conoscevano da lungo tempo e, soprattutto, investe le roccaforti politico-ideologiche e militari del regime di Assad. Il cui allarme è palese, tanto che la comunicazione della ritirata può essere letta come una richiesta d’aiuto ai patroni internazionali del governo, che rischia di essere messo all’angolo dall’avanzata guidata dai jihadisti e supportata dai ribelli.
L'imbarazzo dell'Occidente: meglio il rais o gli eredi dei jihadisti?
Per il comandante di Tahrir al-Sham Abu Mohammad al-Jolani si tratta di un secondo, grande successo che apre la strada sia a un rafforzamento della ribellione dopo quattro anni di stasi che a un'egemonia delle frange più radicali nella rivolta, che pone in difficoltà sia gli alleati di Assad che i suoi avversari. Potrà chi per anni ha inneggiato alla destituzione del rais spingere verso questa direzione ora che la guida della guerra civile è in mano agli eredi dei jihadisti, riciclatisi dopo un cosmetico rebranding? L’imbarazzo silenzioso dell’Occidente è quantomeno indicativo della difficoltà di rispondere a questa domanda, che riguarda una fetta importante del futuro della geopolitica mediorientale.